Gli itinerari de L’AltraMontagna: dalla Val Genova ai ghiacciai dell’Adamello
Un solitario e impegnativo itinerario per raggiungere la più grande distesa glaciale italiana, tra Lombardia e Trentino. Tra echi della Grande Guerra e orizzonti selvaggi
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
L’entusiasmo per un’escursione vive di vita propria, spesso inizia e termina con l’escursione stessa, e nella testa e negli occhi restano i ricordi, intensi, indelebili. Un entusiasmo che raramente è contagioso, e anzi, per certi versi più è intenso, meno è “trasmissibile”. Succede quindi che, ascoltando il racconto di una gita, di una salita, anche condito con belle immagini, ti sembra quasi di sentire il rumore del torrente, l’aria fredda che scende dai ghiacciai, il sole che scalda le rocce, ma senza quella sensazione di “immersione” che si può vivere solo con l’esperienza fisica diretta. Succede, ma non sempre, perché a volte la voce narrante, anche attraverso l’eterea consistenza di una conversazione telefonica, è capace di trasmettere molto più di un racconto. Soprattutto se ti narra di luoghi e ambienti che conosci, dove sei stato in passato. Ed è proprio quello che mi è successo con Giacomo – il nome non è di fantasia –, quando rispondendo al telefono sentii le sue prime parole: “L’ho fatto, è stupendo”. Sapevo di cosa parlava: era il Sentiero alpinistico del Matarot (l’accento va sulla “o”), che dal fondo della Val Genova sale l’omonima e selvaggia valle del versante destro orografico, sbucando al Passo della Lobbia Alta, affacciato sulle vaste distese glaciali dell’Adamello. Era appena sceso, il suo entusiasmo era quasi incontenibile, e decisamente contagioso.
Dai placidi boschi…
Intendiamoci: il Sentiero del Matarot non è per tutti. Si tratta di un percorso a metà tra l’escursionismo e l’alpinismo facile, attrezzato con cavo d’acciaio e qualche staffa nei punti più ostici, ma dove servono esperienza, capacità di orientamento, una sana dose di umiltà (tornare indietro in caso di maltempo non è una dote di tutti), piede fermo e gambe allenate. Non è una vera e propria ferrata, non nel senso classico almeno, e per la salita non è strettamente indispensabile – anche se vivamente consigliata, soprattutto ai meno esperti – l’apposita attrezzatura (casco, imbragatura, dissipatori ecc.). È, per l’appunto, una “via ferrata alpinistica”, come la definisce la Società Alpinisti Tridentini, dove, oltre alle difficoltà oggettive – peraltro limitate –, bisogna tenere conto soprattutto della severità dell’ambiente, della quota e del notevole dislivello. È ancora Giacomo a confermarmelo: “Niente di difficile, ma in alcuni punti devi tirarti su, devi orientarti sulle rocce montonate, nonostante i bolli e gli ometti. Ma sbucando sulla Lobbia Alta… Che spettacolo…”. E detto da uno che in Rendena e nelle Giudicarie è più che di casa, ci è praticamente nato, tale affermazione assume una intensità ancora maggiore. Mi racconta tutto, dall’inizio, quando da Malga Bedole, al termine della rotabile percorribile in auto della Val Genova, dove ogni estate si accalcano centinaia, migliaia di gitanti, escursionisti e alpinisti (d’altronde siamo nel Parco naturale Adamello Brenta), si prosegue sulla sterrata al vicino rifugio Adamello Collini al Bedole (1641 m). È qui che inizia la vera escursione, abbandonando la frequentata traccia che sale al rifugio Mandron – Città di Trento, splendido – e frequentato! – belvedere sulla Vedretta del Mandrone (e classico accesso alpinistico al Ghiacciaio dell’Adamello), per seguire invece, superando il torrente sul Ponte delle Cambiali, il segnavia n° 241. Inizialmente la salita, dopo la teleferica per il rifugio Mandron, si snoda placidamente nel bosco, portandosi alla vicina Malga Matarot Bassa (1784 m). E dopo l’attraversamento del torrente si inizia a fare sul serio.
… ai ghiacci delle alte quote
Nel primo tratto si resta nel bosco, con la pendenza che aumenta tra sassi e gradoni, che rendono il procedere un po’ faticoso. Si esce poi su terreno aperto, restando sulla sinistra orografica della Valle del Matarot, e con ripide svolte si raggiunge il grande salto roccioso dove scende la cascata del Matarot, con un salto di circa 200 metri, alimentata dalle acque di fusione della Vedretta della Lobbia. “Uno spettacolo anche in questa fine estate non proprio piovosa”, sono le parole di Giacomo, e non stento a crederlo. A circa 2200 metri di quota iniziano le attrezzature, che permettono di rimontare le lisce placche di rocce montonate, alternando salti verticali e strette cenge. Niente di difficile, come si diceva, ma dove bisogna comunque prestare attenzione, con l’ambiente circostante che si offre in tutta la sua selvaggia maestosità. Ecco un piccolo lago di fusione, poi la Vedretta della Lobbia, con gli evidenti segni del ritiro degli ultimi anni, che si costeggia salendo su terreno morenico, man mano che la pendenza diminuisce. Oltre il ghiacciaio, il Crozzon di Lares, il Corno di Cavento e il Caré Alto. Guidati dai bolli bianchi e rossi e dai frequenti ometti, si volge a ovest per mettere piede sul piccolo e facile ghiacciaio ai piedi del Passo della Lobbia Alta, che si attraversa e si risale fino al valico. Ed è qui che si apre lo spettacolo unico del più grande ghiacciaio italiano: una grande, grandissima distesa bianca, dalla pendenza modesta e non a caso chiamato, nella sua porzione centrale, Pian di Neve (ma che la sabbia del Sahara a volte tinge di un rosso tenue), quasi interamente in territorio lombardo, circondata da alte vette, dal Corno Bianco, che nasconde la cima dell’Adamello, alla Punta del Venerocolo e al Monte Mandrone. Si rimane a bocca aperta, e quasi non ci si accorge che lì a destra, a pochi minuti di distanza sul fianco meridionale della Lobbia Alta, sorge il rifugio Ai Caduti dell’Adamello, dove ci si può infine concedere una più che meritata sosta, contemplando il panorama che si offre allo sguardo. Sarebbero tante le storie da raccontare su questi luoghi, dalle tristi vicende della Guerra Bianca alla visita di papa Giovanni Paolo II, dai primi alpinisti ai moderni scienziati che studiano l’evoluzione di questa massa glaciale. Ma a volte è più inebriante farsi rapire dal paesaggio dell’alta quota, lasciando che i pensieri vaghino per le cime senza una meta precisa. Per poi ridestarsi, quasi all’improvviso, al ricordo della strada del ritorno ancora da percorrere. “Sei sceso per la Vedretta del Mandrone?”, chiedo a Giacomo. “No, non avevo né ramponi né piccozza, meglio evitare, sono tornato giù dal Matarot, e non è stato così semplice… Ma che spettacolo…”. Sorrido, cercando di contare quante volte ha utilizzato il termine “spettacolo”, un uso sicuramente non fuori luogo.
IL PERCORSO
Regione: Trentino – Alto Adige
Partenza: Val Genova, Malga Bedole (1574 m)
Accesso: si risale la Val Rendena verso Madonna di Campiglio e, subito oltre Pinzolo, a Carisolo, si devia a sinistra per la Val Genova, che si risale fino al suo termine (strada a traffico regolamentato; servizio navetta nei mesi estivi)
Arrivo: rifugio Ai Caduti dell’Adamello (3040 m)
Dislivello: 1450 m
Durata: 4/5 h
Difficoltà: EEA (escursionisti esperti con attrezzatura); media difficoltà
Immagine di apertura: il rifugio Ai Caduti dell’Adamello (3040 m), sul pendio meridionale della Lobbia Alta; ai suoi piedi si distende la Vedretta del Mandrone. Sullo sfondo, da sinistra, la Punta del Venerocolo (3323 m), il Monte Venezia (3289 m) e il Monte Mandrone (3282 m). © Zonta72