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Da dimenticare l'Italia del calcio, da ricordare l'Italia nel ciclismo: il Tour de France, partito da Firenze, ha valicato l'Appennino nel nome di Gino Bartali. Noi c'eravamo

Il 29 giugno 2024 rimarrà una giornata storica per gli appassionati di ciclismo italiani: il Tour de France, la gara a tappe più seguita e famosa al mondo, è partita per la prima volta dal nostro Paese. La “Grande partenza” è avvenuta nel centro storico di Firenze, ma dopo poche decine di chilometri i corridori hanno subito valicato l’Appennino. Noi eravamo nei pressi del valico dei Tre Faggi, per onorare il Tour e ricordare il grande Gino Bartali

di
Luigi Torreggiani
29 giugno | 20:15

Non possiamo mancare, ci siamo detti: il Tour de France, per la prima volta nella sua lunga storia fatta di ben 111 edizioni, parte dal nostro Paese. La prima tappa, con partenza a Firenze, è dedicata a Gino Bartali. E il primo Gran Premio della Montagna, il valico dei Tre Faggi, non è ubicato tra le luccicanti Dolomiti, ma in un passo secondario degli Appennini. Tutto è troppo... "Altra Montagna": no, non possiamo mancare.

 

Non possiamo mancare e allora… eccoci in sella, a pedalare su per la Val di Sieve che, totalmente interdetta alle auto, ci sembra da subito un altro mondo, ovattato, tra campi, vigne, boschi e paesi.

 

Rufina, Dicomano, San Godenzo: i paesi vestiti di giallo inneggiano alla grande corsa francese: W il Tour, W la maglia gialla. Solo un “Juve merda” rompe la poesia ma, d’altronde, il calcio deve sempre metterci lo zampino, qui in Italia. La frase più commovente compare invece su di un grande cartone che penzola dalla finestra di una casetta isolata: è ritagliato a forma di maglia, colorato di giallo e al centro ha una scritta, che con calligrafia antica dice semplicemente “Buon Tour”. Un educato augurio, scritto forse da qualche nonno, pensando alle tante fatiche che per tre settimane questi ragazzi dovranno sopportate. In effetti due anziani signori, a quella finestra, sorridono e ci applaudono, vedendoci soffrire sulle prime pendenze nell’opprimente cappa d’afa che inizia ad annientarci.

 

Basta guardarsi attorno per capire che questa è terra di boschi. La copertura delle chiome è un mantello continuo, che si estende a perdita d’occhio su verso il crinale appenninico. I toponimi non mentono: Località “Castagno” a sinistra, un paese di nome Castagno d’Andrea a destra. Terra d’interazione secolare tra alberi ed esseri umani, con questa specie - il castagno - come grande protagonista. Osservando capiamo che questa è anche terra di vecchie Case del Popolo, che ancora resistono nei paesini, terra ribelle, terra partigiana.

 

Come non ricordare allora proprio Ginettaccio Bartali, fervente cattolico e antifascista, il grande campione a cui questa tappa è dedicata (nonostante storici dissapori con la corsa francese), vincitore di ben due Tour de France a cavallo del secondo conflitto mondiale: 1938 e 1948. Come non ricordare, tra quei due Tour, il suo operato clandestino a favore di tanti cittadini ebrei. Con la scusa di allenarsi tra Firenze ed Assisi trasportava, nascosti nel telaio della sua bicicletta, documenti necessari a salvare decine e decine di vite, ma non solo. Allora il ciclismo era come oggi il calcio, Gino era un vero e proprio eroe nazionale... così arrivava in stazione a Terontola, in Val di Chiana, dove tutti lo circondavano per chiedere un autografo. In quella baraonda, fatta anche di soldati e ufficiali fascisti desiderosi di vedere da vicino il grande Bartali, era facile per i partigiani scambiare documenti o far salire sui treni persone che avrebbero rischiato grosso se fossero state perquisite. Poi proseguiva per Assisi il Gino, dove smontava la sella ed estraeva i documenti clandestini. Ha rischiato anche molto grosso, durante un arresto, a causa di sospetti sempre più frequenti sul suo operato, ma la guerra è finita giusto in tempo. Non disse nulla di tutto questo per anni, fino a quando, anche grazie ad alcune famiglie che aveva contribuito a salvare, fu dichiarato “Giusto tra le Nazioni”.

Il nostro ritmo, lento ma regolare sulla salita sempre più ripida, viene interrotto da sirene e clacson. Deve passare la “carovana”, uno strambo insieme di macchine coloratissime e dalle forme più disparate che portano tra la gente già assiepata lungo le strade gli sponsor del Tour. Macchine, moto, furgoni, musica a palla. Addio al silenzio meditativo dei boschi e delle strade interdette al traffico. Mi viene così da pensare ad un post dell’amico Pietro Lacasella su Alto Rilievo / Voci di Montagna, dedicato proprio all’impatto ambientale di questo grande evento. “A me il Tour de France e più in generale il ciclismo piace da impazzire. Se non ci fosse la montagna ad occupare la maggior parte dei miei scritti, mi lancerei sicuramente a capofitto nel racconto di queste epopee fatte di sforzi sovraumani, di meccanica, di tanta sofferenza e di qualche gioia”, spiegava Pietro. “Il ciclismo si fa spesso metafora della vita, una lunga e difficile scalata capace di offrire sprazi di incontenibile felicità. Ma assomiglia alla vita anche a causa delle sue incoerenze. È uno sport potenzialmente leggero, sostenibile, tuttavia capace di avere un forte impatto sull'ambiente. 216.000 tonnellate di CO2 mandate in atmosfera nell’edizione 2022 tra la carovana pubblicitaria, le ammiraglie, gli elicotteri (ne abbiamo contati 5), i gadget distribuiti (10 milioni di gadget!), i tir che trasportano la logistica. Il ciclismo purtroppo sa essere anche questo: leggero e allo stesso tempo pesante. Un po' come ognuno di noi”.

 

E sempre più pesanti, ma anche stanchi e sudati, ci sentiamo al passaggio in Località Cavallino, dove però una tribuna naturale colma di tantissima gente ci incita a non mollare, come se i Pogacar, i Vingegard o i Roglic fossimo noi. Dopo pochi metri però un poliziotto si piazza in mezzo alla strada e ci intima un “Alt” perentorio: oltre non si può andare, motivi di sicurezza. Ma un valico dobbiamo farlo, il nostro personale GPM di giornata… così svoltiamo verso il Passo del Muraglione, sulla strada voluta da Leopoldo II e sicuramente percorsa più volte anche dal buon Bartali. Il nome di questo Passo deriva proprio da un grande muro, fatto costruire lassù, all’epoca del Granduca, per offrire ai viandanti un riparo dall’insidioso vento di crinale. A noi il sollievo arriva invece da una coca e da una clamorosa schiacciata farcita.

Un'occhiata all'orologio e poi giù, in discesa fino al bivio del poliziotto: il passaggio del Tour è ormai vicino. L’attesa è grande ma, come sempre, tutto si risolve in pochi secondi: prima i fuggitivi, poi il gruppone. Un’emozione veloce come un lampo, ma come un lampo esplosiva, folgorante. Sai che quei pochi secondi sono un frammento di tre settimane densissime, durissime, di un viaggio sportivo e umano, fisico e metafisico. Senti in quei pochi secondi un'epica, una storia, un'appartenenza difficili da raccontare, ma straordinarie da vivere. Il ciclismo è una festa improvvisata e collettiva, non ti costringe in uno stadio, in curve di questa o quella fazione, in settori differenti per ricchi o per poveri, è lui che viene a trovarti sulle strade di casa tua, le strade di tutti noi. Anche in queste dimenticate, meravigliose montagne di mezzo.

 

Osserviamo passare la freccia colorata del Tour da una posizione aerea, seduti su di un paracarro in pietra, in un tornante poco sopra la strada. E così ci torna in mente quella canzone, proprio lei ovviamente: Bartali, di Paolo Conte.

 

Farà piacere un bel mazzo di rose / e anche il rumore che fa il cellophane / ma un birra fa gola di più / in questo giorno appiccicoso di caucciù.

Sono seduto in cima a un paracarro / e sto pensando agli affari miei / tra una moto e l'altra c’è un silenzio / che descriverti non saprei.

Oh, quanta strada nei miei sandali / quanta ne avrà fatta Bartali / quel naso triste come una salita / quegli occhi allegri da italiano in gita.

E i francesi ci rispettano / che le balle ancora gli girano / e tu mi fai - dobbiamo andare al cine - / - vai, al cine vacci tu! -

In discesa, di fronte a una maglia gialla monumentale posizionata in un parchetto pubblico, ci concediamo la foto di rito per fissare la nostra piccola impresa. Stiamo per risalire in sella quando vediamo arrivare un signore, su una bicicletta da corsa piena di addobbi gialli. Sul manubrio ha un numero, come quelli di gara, e la battuta viene facile: “questo corridore si è perso… ma ad un Tour di cinquant’anni fa!”. L'uomo ci guarda e capisce che stiamo osservando il suo numero. Si avvicina e ci dice che quelle cifre hanno un significato particolare: “Forza, pensateci bene, non è difficile!”. Il numero è 82 e, dopo qualche secondo di silenzio, l’uomo ci svela il mistero: si tratta della sua età.

 

Era lassù, con noi, tra i faggi del crinale appenninico, a faticare nel caldo per vivere questa giornata storica, per poter dire “io c’ero”. Il ciclismo è anche questo: una passione lunga una vita, passata su e giù per le montagne.

l'autore
Luigi Torreggiani

Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella. 

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