''Camminando nella grande guerra'', sul Nagià Grom trincea a 360 gradi, caposaldo dell’Impero (per capire come si viveva al fronte)
Nella seconda puntata della rubrica “Camminando nella Grande Guerra”, con cui il Dolomiti e il Museo della Guerra di Rovereto illustrano gli itinerari del primo conflitto in Trentino, ci troviamo sul Nagià Grom, in Val di Gresta. Caposaldo austro-ungarico, fu al centro dei combattimenti d’artiglieria con la linea italiana, formidabile posizione per controllare la valle e la via verso il Garda
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Basso e tozzo, il Monte Nagià Grom (748 metri di quota) si mostra agli occhi dell’escursionista come un caposaldo trincerato fondamentale. Passeggiare tra le sue trincee, incappare nelle cucine, nei resti delle costruzioni, nelle caverne e nelle postazioni di artiglieria dà modo di tuffarsi nella vita di quello che fu un luogo di centrale importanza per la difesa austro-ungarica del territorio imperiale durante il conflitto combattuto dalla primavera del 1915 contro il Regio esercito italiano.
A rendere possibile e interessante l’escursione in questo luogo della Grande Guerra in Trentino è stato il lavoro della sezione Ana di Mori, che ha ripristinato il sito, dotandolo di targhe e tabelle esplicative per comprendere il funzionamento e la funzione del caposaldo austro-ungarico situato fra il paese di Mori, in Vallagarina, e la Val di Gresta, lungo la Valle del Cameras. Rispetto all’itinerario proposto nella scorsa puntata (Monte Vignola e Corno della Paura, QUI l’articolo) di “Camminando nella Grande Guerra”, rubrica di approfondimento e promozione del territorio e della conoscenza storica dello stesso in collaborazione con il Museo Storico italiano della Guerra di Rovereto (QUI la presentazione), questa volta passiamo pertanto all’altro lato del fronte trentino-tirolese, quello austro-ungarico.
Le località attorno al monte Nagià Grom furono infatti il limite settentrionale del fronte, stabilitosi nel maggio 1915. Proprio per questo, gli abitanti di questi territori, di Mori e della Val di Gresta, furono evacuati allo scoppio della guerra, rientrando fra gli oltre 70mila trentini trasferiti nei campi baraccati – le famose “Città di legno” – dell’Austria o dispersi nei villaggi della Boemia e della Moravia. Qui, le difficili condizioni di un Impero che soffrì particolarmente la fame, segnarono il tremendo destino di molte persone.
Prima di passare all’illustrazione del percorso, però, è bene specificarne i dettagli tecnici. Percorribile tutto l’anno, l’itinerario del Nagià Grom conta tre diversi percorsi possibili: da Mori Vecchio, nel fondovalle, è possibile salire da località Forni lungo un sentiero attrezzato, che attraversa trincee scavate nella roccia, ricoveri e postazioni per mitragliatrice, fino a unirsi con l’altro, che dal paese di Valle San Felice, al bivio della chiesa, attraverso una stradina di campagna porta alle pendici del monte. Nel primo caso, il dislivello si aggira attorno ai 550 metri, il tempo di percorrenza attorno alle 5 ore. Non si tratta di un percorso adatto a tutti e richiede la massima attenzione.
Nel caso del percorso che parte da Valle San Felice, invece, la salita è alla portata di tutti. Dalla strada di campagna, seguendo le indicazioni, si sale per un sentiero breve ma ripido che porta in poco tempo al sistema trincerato. Questo si sviluppa per 360 gradi, dando la possibilità di tener sott’occhio tutto il panorama, dalla Val di Gresta alla Valle di Loppio, passando ovviamente per la Vallagarina. In circa 3 ore e mezza è possibile così visitare il caposaldo, scendendo poi verso il paese di Manzano – e da lì lungo la strada vecchia, fino a Valle San Felice (dislivello totale 50 metri). Proprio da Manzano parte infine il terzo percorso, che ancor più velocemente permette di salire al caposaldo del Nagià Grom.
Giunti sulla sommità del Monte, ci si rende immediatamente conto dello straordinario lavoro svolto dagli Alpini moriani. In più di 12mila ore, dal 2001, sono stati infatti sistemati e puliti oltre 3 chilometri di trincee e camminamenti. Più di 2000 metri di sentieri e mulattiere, oltre a 1200 metri di strade, sono stati disboscati e resi accessibili. 5 caverne e 7 manufatti sono stati ripuliti ed il Monte è stato dotato di panche e tavoli, alla cima, dove poter sostare. Il tutto lungo un percorso – parte del progetto intercomunale “Un territorio due fronti” - impreziosito da tabelle esplicative e targhette che offrono all’escursionista delle importanti notizie riguardo alla funzione e alla posizione del Nagià Grom nella Grande Guerra.
La Val di Gresta, infatti, fu interessata nei mesi immediatamente precedenti alla dichiarazione di guerra italiana dai lavori di apprestamento della linea difensiva. Dalla piana di Rovereto, questa linea saliva al Monte Faé, a Nord Est del Nagià Grom, per poi proseguire lungo lo stesso e, gradatamente, abbassarsi verso Passo San Giovanni. Un sistema trincerato univa i diversi caposaldi, protetti da ampie fasce di reticolati.
Allo scoppio della guerra, le truppe imperiali arretrarono, stabilendosi su questa linea. Da parte sua, l’esercito italiano occupò rapidamente e senza spargimenti di sangue la dorsale dell’Altissimo di Nago, Corna Piana, San Valentino, Postemone e Vignola. Dopo qualche mese, nell’ottobre del ’15, cominciò ad avanzare, occupando dapprima Brentonico e poi Besagno e Castione. Attorno a quota 500, lungo il versante nord del Baldo, impostò la propria linea, che di fronte si trovava proprio il caposaldo austro-ungarico del Nagià Grom – costruito grazie a centinaia di soldati, operai militarizzati e prigionieri, in particolare serbi. Alla fine dell’anno, gli italiani riuscirono poi a conquistare Mori e Loppio, prendendo di sorpresa i nemici: il 10 gennaio 1916, gli Alpini del battaglione Val d’Adige salirono le rampe meridionali della Val di Gresta, arrivando fino alla località Piantim e all’altura del Carpeneda.
Nella primavera, però, l’offensiva austro-ungarica (QUI l’articolo) – lanciata nel territorio compreso fra la sinistra Adige e la Valsugana – si riflesse anche sull’altro lato del fiume. La linea avanzata italiana, che si era spinta fino alla base della Val di Gresta, dovette essere così ritirata sul versante settentrionale del Baldo per raccordarsi alle nuove posizioni stabilite a seguito dell’attacco imperiale, perdendo così gli avanzamenti fino a quel momento ottenuti. Nella seconda metà di maggio, gli austro-ungarici occuparono pertanto la Valle di Loppio, dove costruirono una linea di avamposti collegati alle prime linee da trincee e camminamenti. La linea del fronte, da quel momento, sarebbe rimasta sostanzialmente inalterata.
Passeggiando fra le trincee, le postazioni di artiglieria e fucileria, le caverne e le infrastrutture costruite dalle truppe imperiali, si può comprendere quale fosse la vita sul Nagià Grom. Perno della difesa, assieme al Monte Faé, della linea difensiva del sottosettore 4A, formava un gruppo di combattimento (“Kampfgruppe”) autonomo, dotato di 4 mitragliatrici, 2 cannoni da 9 centimetri M.75/96 e 2 cannoni da montagna da 7,5 centrimetri M.15. Nel caposaldo erano presenti inoltre un lanciamine (“Minenwerfer”) ed un riflettore da 60 centimetri.
Nel corso della guerra, la presenza militare sul Nagià Grom cambiò a seconda delle necessità. Nell’estate del ’15, il caposaldo era presidiato da un plotone di fanteria, composto da una cinquantina di soldati al comando di un cadetto aspirante ufficiale, oltre che da un distaccamento d’artiglieria. Nel ’16, poi, la guarnigione raggiunse la forza di 3 plotoni al comando di un capitano, rimpolpata da una parte del battaglione Standschützen Kitzbühel.
Dotato di 14 postazioni su 360º, ricavate in una trincea perimetrale, il caposaldo era in grado di difendersi da ogni tentativo d’aggiramento. Dalla trincea sommitale, inoltre, partivano i camminamenti con cui si assicurava il collegamento protetto con i servizi situati nel cuore della fortificazione, oltre che il cambio delle truppe impegnate nelle trincee e il rifornimento delle munizioni. In una parte più defilata dal tiro delle artiglierie nemiche, si sviluppavano i servizi per gli ufficiali, le truppe e gli operai militarizzati, dalla cisterna per l’acqua alle cucine e alla mensa, dai magazzini agli alloggi. Nella roccia, vicino alla cucina, era stato scavato un ampio magazzino per i viveri, ancora visitabile.
La guerra d’artiglieria trovava così nel Nagià Grom un luogo di centrale importanza. In caverna e “in barbetta”, cioè all’aperto, gli osservatori potevano beneficiare di un punto privilegiato per dominare gli imbocchi alla Valle di Loppio, alla Vallagarina e alla Val di Gresta. Numerosi crateri, ancora visibili lungo la salita, testimoniano i bombardamenti compiuti dalla linea italiana. Nel corso del conflitto, tuttavia, il Nagià Grom non fu mai coinvolto in combattimenti ravvicinati.
Sulla sommità, in uno spazio aperto e affacciato verso sud, si incontra l’osservatorio. Da qui gli ufficiali addetti verificavano l’efficacia e la giustezza dei tiri, comunicando le informazioni attraverso linee telefoniche. Dall’osservatorio, in una giornata dal cielo limpido, lo sguardo può spaziare su buona parte del Trentino meridionale, tra il Col Santo e le propaggini settentrionali del Pasubio ad Est, e la Rocchetta sulla sponda occidentale del Garda ad Ovest. Su tutto questo territorio si poteva sviluppare il campo di tiro delle artiglierie, colpendo così quelle che dall’Altissimo di Nago proteggevano la prima linea italiana e tenevano sotto tiro quella austro-ungarica.
Nel corso della visita si incappa in diversi piccoli monumenti, dedicati ai caduti. Tra croci di diverse dimensioni e lapidi, le associazioni di ex combattenti dell’Impero e del Regio esercito hanno così omaggiato le diverse vite stroncate nei duri combattimenti sul fronte trentino-tirolese e nel settore in questione. Diversi sono stati anche i civili rimasti uccisi nel recupero di materiali bellici, anch’essi ricordati con delle lapidi.
Nel corso del conflitto, fino al novembre ’18 e alla ritirata delle truppe imperiali – con conseguente avanzata di quelle italiane – la Val di Gresta e nello specifico il Nagià Grom rimasero sempre sotto controllo austro-ungarico. Alla fine della guerra, lo spettacolo era desolante. Non solo le esigenze militari avevano spinto al disboscamento, ma pure campi e pascoli erano resi impraticabili dai residuati bellici. Al suo ritorno dopo le terribili esperienze nei campi dell’Impero, la popolazione si trovò di fronte alla totale distruzione dei paesi, dovendosi rimboccare le maniche per il ritorno alla vita.
Foto Museo della Grande Guerra di Rovereto