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Cultura

Una montagna è una montagna, prima ancora di chi la scala per la prima volta. Questo ci insegna la salita di Francesco Petrarca sul Monte Ventoso

A volte capita che la narrazione della vita nascosta negli elementi naturali, nonostante il mutismo al quale è obbligata dall'essere umano, arrivi a qualche uomo o donna come un regalo. Francesco Petrarca lo comprese e condivise questo dono con un confidente

di
Simone Saccucci
22 maggio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Ogni elemento naturale che ci circonda racconta la sua storia.

Questa narrazione, però, rimane sprovvista di ascolto e sostituita da racconti umani che con arroganza si impongono ed agiscono rendendola sempre più muta.

Ma una montagna è una montagna, come il mare è sempre mare.

Molto prima di chi arrampicò o navigò agli albori del genere umano.

 

Una montagna è una montagna ed è forte: è un fuoco vivo! E il suo significato profondo emerge che lo si voglia oppure no. E a volte lo fa violentemente dando vita a fenomeni che possiamo chiamare disastri naturali, se sanno distruggere il territorio circostante e gli esseri umani. Altre volte li definiamo metafora o allegoria, se sanno imporsi interiormente ad animi ben predisposti e curiosi.

 

Francesco Petrarca, nel 1336 scalò il Monte Ventoso, Mont Ventoux: un imponente massiccio della Provenza, in Francia, così solitario da essere esposto, appunto, ai venti.

 

Il poeta amava camminare ed anzi è ricordato come un temerario camminatore. Aveva sentito raccontare di questo monte francese ed era nata in lui la curiosità di andare a vedere, di salire sulla cima per sentirne i venti. Il viaggio lo intraprese con il fratello Gherardo.

 

Alle pendici del monte, prima di intraprendere il viaggio, i due incontrarono un vecchio. Lui chiese loro dove stessero andando. Francesco e Gherardo risposero che stavano per salire su quel monte.

 

Dieci anni dopo Gherardo sarebbe diventato monaco e si sarebbe allontanato dal fratello ma i due sarebbero rimasti sempre in contatto.

 

Il vecchio li consigliò di non salirci su e di ritornare alle loro case, perché lui ci si era avventurato e la fatica era stata enorme con alla fine nessuna gratificazione. I due salutarono e salirono.

 

Per Gherardo fu una scalata agile e potente. Per Francesco tutto il contrario. Fu difficile e faticoso, ma lo colpì dentro e lo aiuto a riflettere su di sé e sulla natura e sul fatto sacrosanto che ciò che ci circonda ha un significato oltre quello che ad esso noi diamo. Ha una storia che se noi stessi zitti per un attimo avrebbe voce.

 

Petrarca scrisse una lettera a Don Dionigi di Borgo San Sepolcro ed esordì:

 

Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Da molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall’infanzia e questo monte, che a bell’agio si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre negli occhi. […]

 

Quella montagna di vento comunicò un pezzo del suo senso a un essere umano ben disposto ad ascoltarlo.

 

Avevamo appena lasciato quel colle che già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato verso il basso, e mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi difficoltà. Volevo differire la fatica del salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di corporeo raggiunga l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più. Deluso, sedevo spesso in qualche valletta e lì, trascorrendo rapidamente dalle cose corporee alle incorporee, mi imponevo riflessioni di questo genere: «Ciò che hai tante volte provato oggi salendo su questo monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che vogliono accostarsi alla beatitudine; se gli uomini non se ne rendono conto tanto facilmente, ciò è dovuto al fatto che i moti del corpo sono visibili, mentre quelli dell’animo son invisibili e occulti. La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce. Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. […]

 

A volte capita che la narrazione della vita nascosta negli elementi naturali, nonostante il mutismo al quale è obbligata dall'essere umano, arrivi a qualche uomo o donna come un regalo.

Francesco Petrarca lo comprese e condivise questo dono con un confidente, con i suoi lettori e con i miei che hanno quasi finito di leggere questo articolo che concludo così:

 

Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi della mente in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentavano il mio silenzio. Non potevo certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri.

 

Con la montagna, nella montagna ed attraverso la montagna, un uomo di nome Francesco Petrarca sente che c'è una storia altra che la vetta da raggiungere e poi raggiunta gli vuole raccontare. Così rimane zitto per farla narrare.

Io auguro a tutti i camminatori ben disposti e curiosi di provare questa esperienza necessaria più che mai.

 

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