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Cultura

"Un mondo a parte": recensione di un film che racconta le difficoltà dei territori montani, grazie ad Antonio Albanese e Virginia Raffaele

"Un mondo a parte", il film di Riccardo Milani che vede come attori protagonisti Antonio Albanese e Virginia Raffaele, punta i riflettori sulle difficoltà che stanno attraversando molti paesi di Alpi e Appennini. Difficoltà che si propagano di anno in anno, ma di cui ancora si parla poco. La nostra recensione

di
Pietro Lacasella
28 marzo | 20:15
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

"Qui la rassegnazione si mangia a morsi, come la scamorza".

 

Questa frase, ripetuta a più riprese nel film fresco di uscita Un mondo a parte, riflette con efficacia il presente di molti paesi di montagna, erosi dallo spopolamento, graffiati dall’abbandono.

 

Un patrimonio umano che se ne va ancor prima di svanire veramente, a causa della rassegnazione che avanza di pari passo con i servizi che via via si riducono, fino a rendere un luogo difficile da abitare. È così che si innesca il fatidico cortocircuito: meno abitanti, meno servizi, più rassegnazione. Rassegnazione ad abbandonare per sempre il proprio territorio alla ricerca di un altrove capace di garantire un futuro svincolato dalla precarietà.

 

È una dinamica sociale che si propaga di anno in anno, abbracciando infaustamente Alpi e Appennini, ma di cui ancora non si parla molto: sia a livello politico, sia sul piano mediatico. Per questo Un mondo a parte si rivela un film prezioso, perché porta sul grande schermo (oggi è stato proiettato in oltre cinquecento sale nazionali) uno spaccato sociale italiano da pochi conosciuto.

 

La trama, che vede come attori protagonisti Antonio Albanese e Virginia Raffaele nel ruolo di maestro e vicepreside, è ambientata nel Parco Nazionale d’Abruzzo, in un paese dove la scuola, con un’unica pluriclasse, è costretta a chiudere per mancanza di alunni. Con la giusta accortezza, il regista Riccardo Milani ha deciso di alternare momenti esilaranti, dove viene evidenziato lo sguardo edulcorato del maestro abituato ad osservare le montagne dalla pianura, a passaggi più ruvidi, a tratti malinconici, dai quali emergono le difficoltà che sfibrano questi territori. Per esaltare il carattere montano si è fatto uso di qualche eccesso narrativo, di qualche forzatura, di qualche cliché: ad esempio il lupo, animale notoriamente schivo, compare a più riprese. Ma poco importa: il messaggio di fondo è chiaro, così com’è nitido il desiderio del regista di concludere la storia offrendo una prospettiva di speranza.

 

Una speranza che tuttavia, ancora una volta, si concretizza solo grazie alla forza di volontà e all’etica civile dei singoli: quello che viene indirettamente denunciata è dunque l’assenza di una visione politica finalizzata a riattivare dinamiche di abitabilità nei territori montani; indirizzata a includere quello che oggi viene percepito come “un mondo a parte”.

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