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Cultura

Un boscaiolo può essere anche un educatore ambientale? Storia di una piccola grande “rivoluzione” che può scardinare tanti luoghi comuni

Un'esperienza di educazione ambientale nata da un giovane boscaiolo della Val di Scalve. Una riflessione sull'utilità di educare ragazze e ragazzi, ma anche adulti, ad un corretto rapporto tra esseri umani e risorse naturali

di
Luigi Torreggiani
30 maggio | 06:00

Il cerchio è grande e popolato da mille colori: magliette, felpe, pantaloncini e scarpe dalle tinte sgargianti che contrastano col verde omogeneo degli abeti che ci circondano. I tanti occhi presenti sono vispi, attenti, curiosi. Gli sguardi sono distesi, sollevati dall’idea che la lezione di oggi si terrà tra gli alberi e non sui soliti banchi chiusi tra quattro mura.

 

Sono al centro del cerchio e parlando del paesaggio tutt’attorno - “che può essere letto proprio come un libro di scuola!” - ad un certo punto incrocio lo sguardo di Angelo, l’ideatore di questa cosa a cui stiamo dando vita assieme. Sembra un po’ intimorito, in effetti è la sua prima volta, ma non riesce a trattenere un sorriso sincero. Probabilmente, penso, quell’espressione lo avrà accompagnato anche al suo primo giorno di lavoro da boscaiolo, o alla prima lezione da Istruttore forestale.

 

Angelo ha 27 anni e di mestiere taglia alberi. Ma oggi è qui per insegnare a ragazze e ragazzi della sua valle, la Val di Scalve, il valore del bosco, il legame antico e profondo che unisce esseri umani e foreste. Oggi, sotto al casco e ai pantaloni anti-taglio, non c’è solo un ragazzo che ha scelto le foreste delle proprie montagne come luogo di vita e lavoro, c’è anche un educatore ambientale, ancora non del tutto consapevole dell’importanza di questo ruolo, dell’assunzione di responsabilità che sottende.

A dargli supporto siamo in diversi: l’Associazione dei boscaioli lombardi (ARIBL), quella degli Istruttori forestali (ISFOL), l’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali, lo studio Ruralia, Scalve Mountain, la locale Sottosezione del CAI, l'Associazione Atiesse e il Museo Etnografico di Schilpario… e poi ci sono anch’io, che a uno come Angelo non potevo proprio dire di no.

 

Mi aveva contattato diversi mesi prima, per raccontarmi con un po’ di imbarazzo la sua idea. Un’iniziativa tanto semplice quanto rivoluzionaria, dati i tempi che corrono.

“Faccio il boscaiolo perché mi piace vivere il bosco”, mi aveva spiegato, “e vorrei che la conoscenza di questo ambiente, che è ovunque attorno a noi, sia trasmessa anche agli altri, a partire dalle scuole. Non parlo solo del lavoro in bosco, della selvicoltura, del legno… anche di tutto il resto: la flora, la fauna, lo sport, il paesaggio, la cultura, la letteratura. Insomma, vorrei organizzare quassù due giorni tutti dedicati alle foreste, viste a trecentosessanta gradi”.

 

“Lo fai perché la gente ti critica? Perché non capisce l’utilità del tuo lavoro?”, gli avevo chiesto allora, per capire le reali motivazioni che lo muovevano nel profondo.

 

“Tutti noi boscaioli ci lamentiamo un po’ della percezione negativa che la gente ha del nostro mestiere, ma il punto è un altro”, mi aveva risposto, “il punto è che se noi per primi non proviamo a raccontare il nostro lavoro, le regole che ci sono dietro, la passione che abbiamo per l’ambiente forestale, è anche normale che alcune persone si facciano idee strane sul nostro conto. Ma ti ripeto, non voglio tanto difendere la mia categoria, quanto sensibilizzare su che cosa significa avere cura del bosco”.

Avere cura, lavorare con le scuole, far vivere la montagna. Mentre Angelo parlava al telefono nel suo forte accento, ho ripensato a quel motto che Don Lorenzo Milani aveva fatto scrivere, in grande, nella sua scuola di Barbiana: “I CARE”, mi interessa, me ne prendo cura. Quella richiesta così inusuale stava arrivando da un ragazzo che, pur non partendo da una tradizione di famiglia, ha scelto di investire la sua vita in un mestiere di montagna difficile, pericoloso, troppo spesso bistrattato, ma in fondo fondamentale per tutti noi, che ogni giorno (anche se spesso inconsapevolmente) “chiediamo” al bosco beni e servizi ecosistemici.

 

“Conta su di me”, gli avevo allora risposto istintivamente… ed eccoci qui, mentre ragazze e ragazzi, divisi per squadre, si incamminano nelle sei “stazioni” che abbiamo predisposto. Nel pomeriggio è in programma un’escursione dedicata alla cittadinanza, dove ascolteremo diversi punti di vista che si affacciano alla multifunzionalità del bosco. Poi ci sarà un momento di poesia e musica a tema. Poi ancora presenteremo un libro. L’indomani, invece, si terrà un’assemblea dell’Associazione dei boscaioli aperta a tutti, dove si affronteranno altri temi e opportunità.

 

La due giorni, neanche a farlo apposta, è stata chiamata: “La cura del bosco. Il bosco che cura”, un titolo che strizza l’occhio al motto della Val di Scalve, quello che campeggia, insieme a tre abeti e un orso, nel suo storico stemma: “Tutus in silvis”, sicuri nella selva, la salvezza nella foresta.

Mi dirigo verso la mia postazione, dove dovrò parlare di selvicoltura e servizi ecosistemici. È un’area di bosco all’apparenza “selvaggia”, ma dove, se si osserva attentamente, ancora si notano le ceppaie di un diradamento eseguito non troppi anni fa. Alcuni angoli di foresta sono fitti di rinnovazione naturale di abete rosso, abete bianco e faggio. Farò cercare a ragazzi e ragazze le ceppaie, chiederò loro di posizionarsi sopra di esse: così percepiranno spazialmente l’intervento selvicolturale che è stato eseguito. Ragioneremo poi assieme di quei tronchi che sono stati tolti: che fine avranno fatto? In cosa si saranno trasformati? Sarebbe preferibile un oggetto in plastica o in fondo è meglio il legno? E perché? Poi li farò concentrare su quelle nuove piantine già affermate: il futuro della foresta, che nei prossimi anni vedranno crescere, dopo qualche altro diradamento realizzato, perché no, magari proprio da qualcuno di loro, sotto l’occhio esperto del “vecchio Angelo”.

 

Devo sbrigarmi, ho solo un quarto d’ora di tempo, poi arriverà un altro gruppo e via così, fino all’ora di pranzo. Angelo farà lo stesso, e come noi tutto il resto di questo strano team di educatori ambientali magari un po’ improvvisati, ma appassionati e legati da mesi di messaggi e riunioni online che ci hanno stretti attorno ad un obiettivo comune. 

Prima di mettermi all’opera lancio un’occhiata ad Angelo, posizionato nella sua “stazione” posta un centinaio di metri più in là, e mi chiedo: ma un boscaiolo può davvero trasformarsi in educatore ambientale?

 

Secondo me non solo è possibile, ma anche fortemente auspicabile. Perché la complessità di un sano e sostenibile rapporto tra esseri umani e risorse forestali passa anche da operatori professionali e appassionati come lui. Ma di loro, a studenti e cittadini, non parla mai nessuno. Ho definito l’idea di Angelo come “rivoluzionaria” proprio per questo: ha mostrato con disarmante semplicità che anche per uno che di mestiere taglia alberi... “Tutus in silvis”, la salvezza sta lì, nel bosco. Una risorsa da gestire con cura e da preservare, un equilibrio da comunicare e da tramandare.

 

Glielo dirò stasera, davanti a una meritatissima birra. Ma so già che alzerà le spalle e scrollerà la testa, sostenendo che, in fondo, non ha fatto poi chissà che.

 

Sono questi i “rivoluzionari” che preferisco.

l'autore
Luigi Torreggiani

Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella. 

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