Tra precipizi e campi di grano: paesaggi interiori che si fanno realtà attraverso l'artista Max Klinger
Il 18 febbraio 1857 nasce l'artista Max Klinger. A Klinger premeva essenzialmente indagare l’interiorità e, per riuscirci, ricorreva a simbologie sempre attuali e presenti negli strati più segreti della psiche
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Innumerevoli sono i fattori che, da sempre, condizionano le scelte di un artista: le origini geografiche e familiari, il contesto storico, le vicende personali, le punte irregolari del carattere, il giudizio della critica e del mercato e molto altro ancora. Tenerne conto, aiuta a conferire valore e significato a ciò che stiamo guardando. Non so se il paragone regge, ma è un po’ come se di un vulcano in eruzione ci colpisse solo la lava incandescente, senza interrogarci su come possa quel fuoco fuoriuscire dal ventre della terra.
Detto questo, ad alcuni artisti ci si avvicina istintivamente, poiché esprimono un’andatura emotiva che subito sentiamo nostra. Con altri l’approccio è meno diretto: essi paiono chiedere uno sforzo ulteriore, per non travisarne l’essenza e la peculiarità: è questo il caso di Max Klinger (1857-1920).
Elogiarne per prima cosa il rigore e la grande padronanza tecnica e compositiva nel giorno del suo compleanno (167 anni oggi) potrebbe essere dannoso, poiché rischia di metterne in risalto qualità che, guarda caso, gli venivano rimproverate da molti suoi contemporanei, che giudicavano la sua espressività avvitata a un passato incapace di cogliere e testimoniare le grandi trasformazioni che l’arte, nei suoi stessi anni, andava compiendo.
Al contrario, così come a Böcklin prima di lui, a Klinger premeva essenzialmente indagare l’interiorità e, per riuscirci, ricorreva a simbologie sempre attuali e presenti negli strati più segreti della psiche. Una verità non visibile, ma non per questo meno presente. Un mondo, il suo, attraversato da allusive apparizioni. Filosofia, poesia, letteratura, musica e arte sono gli strumenti di una sola, grande orchestra: un’immersione “totale”, infatti Klinger, nato e morto in Germania, porterà uno contributo importante allo sviluppo della Secessione viennese.
Nel 1920, Giorgio De Chirico ne commemorerà la morte, sottolineandone la grandezza, in un lungo articolo comparso nella rivista “Convegno”, e descrivendo una sua incisione commenterà: “È un sogno e nello stesso tempo è una realtà; a chi guarda sembra scena già vista, senza poter ricordare quando né dove”. Aggiungerà le seguenti parole: “Riunisce spesso in una stessa composizione scene di vita contemporanea a visioni mitiche, ottenendo così una realtà di sogno altamente impressionante”, per poi affermare con risolutezza: “Klinger è l’artista moderno per eccellenza. Moderno non nel senso che oggi si dà a questa parola, ma nel senso di un uomo cosciente che sente l’eredità di secoli che vede chiaramente nel passato, nel presente e in se stesso”.
Dal 1882 al 1884 sarà a Parigi: difficile per lui scansare le attraenti luci dell’Impressionismo (la prima mostra del gruppo si era tenuta nel 1874, nello studio del fotografo Nadar, una decina d’anni prima). Quanta lontananza da loro. A questo proposito scriverà Klinger: “La possibilità di rappresentare forme fantastiche è significativamente accresciuta dalla possibilità di lavorare senza colore; il colore obbliga a restituire fedelmente le apparenze esteriori della natura”. A Parigi guarderà Gustave Doré o Pouvis de Chavannes, incontrerà nei musei e per la prima volta Goya.
Determinante si rivelerà il lungo soggiorno italiano, con base a Roma (1888-1893) e con lo studio a pochi passi dal Colosseo. I dintorni della capitale, e poi Napoli, Paestum, Pompei; un susseguirsi stordente di edifici e statue antiche, che rafforza, come mai prima, il contatto con la classicità.
In questo mondo due Centauri lottano nella neve e tra le vette dei monti per contendersi una piccola lepre, altri corrono in un campo di grano, altri ancora, con la furia che li contraddistingue, sostano nel pendio di un monte per osservare gli effetti provocati da una recente frana: incisioni tutte contenute nella serie intitolata Intermezzi, del 1881.
Gli Intermezzi composti da Schumann sono del 1832: quello di Klinger è quindi un omaggio al pianista e compositore tedesco, tra i precursori del Romanticismo musicale. La poesia e la filosofia, ma forse più di queste, è la musica la grande assente quando si ammirano queste opere, anche perché Klinger stesso suonava in modo eccellente il pianoforte: Beethoven, Brahms, Wagner, Mahler. A Beethoven dedicò un’importante e complessa scultura, mentre per l’amico Brahms, oltre a incidere il ciclo di lastre intitolate Brahmsphantasie, cercò il più alto degli omaggi, scolpendo per lui il monumento funebre di Amburgo. Oltre ad averlo conosciuto, Klinger ebbe la grande emozione di vedere Mahler dirigere il coro della Nona Sinfonia di Beethoven a Vienna, proprio accanto alla sua scultura, nel 1902, nell’occasione della Quattordicesima esposizione della Secessione.
Quando il poeta Novalis afferma che “non si dovrebbero vedere opere d’arte figurativa senza ascoltare musica”, trova una sua ragione assoluta per Klinger e per tutti coloro che in quegli anni, come detto, andavano teorizzando una forma d’arte totale, la “Gesamtkunstwerk, nella quale il pensiero (da Shopenhauer e Nietzsche), la ricerca figurativa, l’ambiente e il suono possono e devono raggiungere un essenziale punto di unione, compenetrandosi e rafforzandosi vicendevolmente.
Un luogo ideale, solo interiormente raggiungibile.