Storia di una "valle da poco" che ha da raccontarci molto: Alzarsi presto di Sandro Campani
Alzarsi presto. Il libro dei funghi (e di mio fratello) (Einaudi 2023), di Sandro Campani, è una guida sentimentale rivolta a chi conosce già i ritmi lenti dell’alba e dei passi attenti, ma anche a chi va solitamente veloce e vuole provare a fermarsi
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Con Alzarsi presto. Il libro dei funghi (e di mio fratello) (Einaudi 2023), Sandro Campani ci guida a mettere un passo dopo l’altro nel bosco, invitandoci a prestare attenzione ai dettagli delle foglie, all’umidità del suolo, alle orme dei cinghiali e ai rumori circostanti.
La scrittura di Campani ci immerge non in “una valle da tanto”, ma in “una valle da poco” dell’Appennino tosco-emiliano: non ha attrazioni turistiche, non ha vette note e panorami romantici; da una parte c’è la Garfagnana con i suoi “toschi” e dall’altra ci sono i “lombardi”, ovvero gli emiliani (tra cui l’autore) e i confinanti. Questi sono boschi presi di mira per le campagne elettorali, facili oggetti su cui progettare strade e grandiose infrastrutture che poi naufragano nel dimenticatoio; boschi in cui è difficile trovare servizi, non tanto per il turista, ma per gli abitanti; boschi in cui i bar chiudono e le case vengono abbandonate.
Nel mio paese c’erano due alimentari, un bar-ristorante, la scuola elementare, un campo da bocce e uno da tennis, una gelateria che era anche ferramenta, e una specie di negozio di vestiti […] Adesso non c’è più nemmeno il bar.
La questione dello spopolamento e del conflitto personale tra l’andarsene e il rimanere nel piccolo paese in cui si è nati emergono fin dalle prime pagine, e restano nei pensieri dello scrittore durante tutte le sue camminate con il fratello Pietro. Il rapporto tra i due fratelli si muove su queste tensioni – lo stare e l’andare, il bosco e la valle – per ricercare un nuovo equilibrio: Pietro e Sandro sono nati fra quei boschi e fin da piccoli hanno visto il padre partire all’alba per andare a cercare i “funghi” (nome generico che indica solo i tanto pregiati porcini); il primo di quel camminare ne ha fatto una professione ed è diventato micologo (cioè fungaio e tartufaio professionista), il secondo dopo anni spesi in pianura a lavorare decide che “quest’anno, tutti i giorni che potrò, avendo poca spinta per ogni altra cosa […] andrò in giro con mio fratello per i boschi”.
Da questa necessità di ritrovare un ordine scatta il racconto, che si presenta come un’autobiografia di Campani, una biografia del fratello Pietro, ma anche, anzi soprattutto, una biografia del bosco e una guida per imparare a camminarci, a rispettarlo e a usufruirne. Ogni capitolo narra di spedizioni recenti e passate alla ricerca di funghi e tartufi, di camminate all’avventura per localizzare nuove fungaie e tartufaie. Ogni escursione diventa esempio d’apprendimento da cui trarre le regole e le abitudini di questi camminatori-ricercatori: un tartufaio parcheggia sempre la sua jeep lontano dai tartufi e ricopre le sue tracce; un tartufaio ogni volta che torna nei suoi posti fa un percorso diverso per arrivarci; un tartufaio odia i cinghiali che stanno diventando troppi (e i cacciatori che li nutrono per farli frequentare sempre le solite zone); allo stesso tempo, un tartufaio cammina proprio sul sentiero aperto dai cinghiali e si lascia guidare da loro.
Attraversando il bosco, Campani istruisce alle pratiche quotidiane dei camminatori-ricercatori, ce ne racconta le abitudini e le ossessioni senza retorica nostalgica verso un mondo passato, ma mostrandoceli con sguardo sincero e prendendoli anche un po’ in giro bonariamente nei loro lati più severi: le chiacchiere rudi tra uomini, l’irrigidimento verso ogni tipo di cambiamento, il loro essere burberi.
Come fossero una famiglia (piena di frizioni e gelosie, ma anche rispetto e fiducia), i fungai nominano gli altri fungai anche se non li hanno mai incontrati, conoscono le riuscite e le sconfitte di ognuno (tanto che a volte qualcuno bara e va a comprare dei funghi prima di ripassare dal bar), si danno soprannomi come il Camisa, il Mutanda e Occhio languido. Lo stesso fanno con il bosco che, come una grande casa, viene battezzato con nuovi toponimi a seconda della “prassi famigliare” (La carbonaia de Cento, L’orologio, Il passaggio a Nordovest, La costaccia, e da Gerla), e in cui ognuno trova il suo luogo d’affezione: “posti che ti attirano in forza di una mitologia che ti sei costruito negli anni; magari la fungaia è morta, il bosco è stato tagliato, ma tu devi andare”.
Nel raccontare le storie di cammini, il bosco non volge mai la funzione di cornice del racconto, ma ne è il primo protagonista, illustrato come un personaggio che muta, chiede, agisce e interagisce con l’uomo:
Il bosco non sta lì per salvarci; non sta lì per controbilanciare la nostra perdizione e il nostro esserci votati al demonio della vita accelerata, per ricordarci le cose che contano, il contatto con la natura, e via dicendo; queste cose possiamo anche dirle, ma il bosco sta lì a prescindere da noi: ci precede e ci sopravviverà.
Campani ci insegna a osservare il bosco con sguardo antiromantico: ci fornisce un erbario scientifico, ci mostra la varietà degli alberi che popolano il bosco, e ci ammonisce su come camminare con consapevolezza, avendo cura di se stessi e di ciò che ci circonda. Alzarsi presto è una guida sentimentale con tanto di glossario finale per imparare a parlare boschese, rivolta a chi conosce già i ritmi lenti dell’alba e dei passi attenti, ma anche a chi va solitamente veloce e vuole provare a fermarsi.