Raccontare le montagne? ''Pubblicizzare una valle poco conosciuta rischia di snaturarla consegnandola al turismo di massa''
Se da un lato raccontare un territorio può suscitare il desiderio di visitarlo, aumentando conseguentemente le presenze; dall'altro il turismo, quando ben gestito, può integrarsi all'economia locale sottraendo quei luoghi da un non meno pericoloso e mortificante abbandono. Su questo tema ci siamo confrontati con Claudio Bassetti, già presidente della SAT
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
In diverse occasioni, andando in montagna è facile sentirsi una processionaria. In particolar modo nei fine settimana estivi quando lunghe code di escursionisti e alpinisti si trascinano sui tracciati più noti, spinte dal desiderio di vivere per qualche ora paesaggi già ammirati migliaia di volte sui social network.
È un circolo vizioso: più un luogo viene fotografato e condiviso, più cresce la sua carica attrattiva, ma soprattutto la nostra voglia di dimostrare di averlo visitato. Si vengono così a creare dei paesaggi iconici che, come le figurine di un album, si ambiscono ad aggiungere alla propria collezione.
In questo modo si sviluppa una montagna balbuziente, perché i rilievi situati al di fuori della strada maestra risultano invisibili agli occhi dell’escursionista e di chi promuove il territorio.
Ai “troppo pieni”, spesso si alternano i “troppo vuoti”. A valli ricche di servizi e infrastrutture, ma non di rado ammorbate da modalità turistiche che erodono ecosistemi e società, si alternano territori dimenticati da tutto e da tutti insieme ai loro ormai rari abitanti. Turismo di massa da un lato, abbandono dall’altro; chiasso e silenzio.
Il sovraffollamento di alcune località è una dinamica che ha coinvolto l’intera catena alpina, ma anche diversi siti distribuiti lungo la dorsale appenninica.
Oltre a un impatto ambientale non trascurabile, l’assalto di massa riduce notevolmente il valore dell’esperienza, tant’è che molti turisti rientrano a casa accompagnati da un profondo senso di delusione.
Per sfuggire a questa logica è, quindi, necessario uscire dalle rotte più battute.
Proprio per questo motivo, con L’AltraMontagna abbiamo deciso di dare vita a una rubrica settimanale dedicata a itinerari esterni rispetto ai principali percorsi turistici. Crediamo sia un’iniziativa efficace per iniziare a distribuire il turismo e i suoi proventi in modo più bilanciato, con l’obbiettivo da un lato di alleggerire località soffocate dalla loro stessa fama, dall’altro di promuovere, attraverso forme di fruizione leggere, quelle realtà segnate dal progressivo abbandono.
Più capillare si rivelerà l’offerta da noi proposta – auspichiamo – e meno evidente risulterà l’effetto “imbuto”, che incanala le masse in pochi e specifici territori.
Questo nostro intento ieri ha preso corpo con la pubblicazione della prima relazione, subito accompagnata da un commento interessante, che avverte sui possibili effetti non desiderati dell’iniziativa:
“Pubblicizzare una valle silenziosa e poco conosciuta ha come probabile risultato l'eliminazione della sua caratteristica. C'è un rischio nel rendere note località e nel raccontare ambienti che si sono conservati integri ed affascinanti proprio perché non frequentati. Dobbiamo riflettere su questo in modo molto serio”.
L’autore di queste considerazioni è Claudio Bassetti, già presidente della SAT (Società Alpinisti Tridentini). Abbiamo quindi approfittato della sua esperienza per domandargli quale, a suo parere, potrebbe essere quindi il punto di equilibrio tra il sovraffollamento, la necessità di integrare l’economia delle valli afflitte dall’abbandono, e l’esigenza di preservare il carattere ambientale di quei territori oggi poco frequentati:
“Non è facile individuare un punto di equilibrio”, ha risposto, per poi proseguire, “Mi sento però di dire che è necessario contestualizzare, perché in realtà caleidoscopiche come Alpi e Appennini ogni regione, ogni area, ogni valle presenta determinate caratteristiche sociali e ambientali. È inoltre necessario considerare che, soprattutto nel post-covid, si è allargato notevolmente il numero delle persone che cercano in montagna momenti di svago. Persone spesso prive dell’esperienza necessaria per una frequentazione consapevole. Ecco, questo è forse il rischio più grande, perché senza queste basi è facile si diffondano modalità turistiche incompatibili con le specificità del territorio”.
Considerazione opportuna, che evidenzia la complessità delle dinamiche che caratterizzano il nostro presente: perché se da un lato raccontare un territorio può suscitare il desiderio di visitarlo, aumentando conseguentemente le presenze; dall'altro il turismo, quando ben gestito, può integrarsi all'economia locale sottraendo quei luoghi da un non meno pericoloso e mortificante abbandono.