Piero Guccione, viandante sui mari siciliani. Uno sguardo intimo sul suo percorso artistico
Piero Guccione, nato a Scicli nel 1935, oggi avrebbe compiuto 89 anni. L'anniversario offre l'occasione per ricordare la sua arte che, dopo averla ammirata, ritroviamo in noi stessi
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
L’estate del 2018 pareva non dovesse finire mai. Settembre era terminato e ancora non si respiravano i primi vapori autunnali.
La mattina del 7 ottobre, verso mezzogiorno, leggo nel telefono questo messaggio: “Ieri è morto Piero”. Una notizia che non avrebbe dovuto cogliermi di sorpresa. Da mesi, infatti, sapevo che Piero Guccione lentamente si stava spegnendo. Quel messaggio, però, non conteneva solo una notizia, ma trasmetteva un dolore, aprendo dentro me un vuoto improvviso.
Non feci una telefonata, non mandai un messaggio. Per molte ore pensai a lui intensamente, ritrovando nella memoria aneddoti personali e una serie di fotogrammi difficili da collocare: il nostro primo incontro, il suo volto, quel suo modo inconfondibile di scandire le parole, sino a risentirne il timbro della voce. Tanti altri particolari, come sempre capita, sembravano invece perduti per sempre. Una delle cose che ricordo è che il giorno successivo telefonai al Giornale di Vicenza per proporre una mia breve testimonianza. Uno scritto senza pretese, un gesto affettuoso, un saluto. Subito mi fu fatto presente che, purtroppo, questo mio desiderio arrivava con ventiquattro ore di ritardo, e “i tempi dei giornali” non possono prevedere i ritardi: risulterebbero una colpa. Adesso, nel giorno del suo compleanno (Guccione, nato a Scicli nel 1935, oggi avrebbe compiuto 89 anni) ho ritrovato quel breve e disarticolato testo e, senza modificarlo, lo pubblico qui, con cinque anni e mezzo di ritardo.
A dispetto del calendario, che già avrebbe dovuto farla terminare, la mia estate - afosa e insonne, però generosa di luci, di freschi risvegli, di tramonti, di riappacificanti silenzi notturni - è improvvisamente finita ieri. Eppure l’aria è ancora tiepida, compattata verso il basso da uno strato di nuvole imperforabili e grigie. La mia estate termina con la notizia della morte di Piero Guccione.
Uno dei miei amici più cari, una delle presenze che più ho tenuto nel cuore, se ne è andata. Per me, ma non solo per me, Guccione è stata una guida: un lontano e provvidenziale faro, un ravvicinato esempio. Un grande pittore. La distanza geografica ha frenato la nostra frequentazione e questo, paradossalmente, ci ha avvicinati, poiché ha permesso di evidenziare quanto simile fosse tra noi, il modo di intendere l’arte. Linee guida etico-culturali, non solo artistiche, che ho cercato di far mie, grazie al suo esempio. Rare telefonate, un po’ più spesso ci siamo incrociati a qualche mostra. Ci scrivevamo dei biglietti, questo sì. In sostanza: ci vedevamo senza vederci e ci sentivamo senza sentirci.
Non essere mai andato a trovarlo a Scicli, in Sicilia, come peraltro in più occasioni mi aveva chiesto, rimarrà un rimorso, uno dei tanti. A Scicli andrò senza di lui, così da ritrovare, in quei luoghi, il suo respiro. Capiterà di certo. Capiterà, lo spero. L’arte tutta ha la straordinaria capacità di trattenere visivamente le origini di chi la produce, impastandosi con le emozioni che si incontrano nel percorrerla in una dimensione tanto lontana quanto estremamente vicina al proprio tempo. Questo non accade solo quando la ragione, avvitandosi nel presente, sottrae energia al cuore. Nelle opere di Piero Guccione, così vicine al reale, il presente riflette stati d’animo di sconfinata sensibilità. Dopo il periodo romano, sul finire degli anni Settanta, rientra in Sicilia e, da allora, non abbandonerà più la sua terra, inserendola nei dipinti così come la vede: arida e rigogliosa, aspra e malinconica. Con gratitudine e affetto, ne ritrae la campagna, le pietre che la punteggiano, la vegetazione, i carrubi sanguinanti e spezzati dalla violenza del vento. Un vento improvviso che sfoga la sua rabbia scendendo impetuoso dai Monti Iblei, che vanno a formare un altipiano nella parte sud-orientale dell’isola, la cui cima più alta, il Monte Lauro, non raggiunge i mille metri. Anche gli Iblei compaiono nella sua pittura.
Per altre, ma convergenti ragioni, è stato il mare, come sappiamo, uno dei suoi soggetti preferiti. Anche in questo caso, però, non è un mare qualsiasi: sono le acque che, nel sud della Sicilia, guardano lontano. Le guarda tenendo nella memoria la grande mostra sul Romanticismo visitata a Parigi nel 1977. In questi suoi dipinti, così come nei suoi pastelli, acqua e cielo si toccano, compenetrandosi vicendevolmente. Nell’essenzialità dell’impianto compositivo, la linea irraggiungibile dell’orizzonte, anche se talvolta è appena percepibile, è un elemento determinante. Aveva capito bene Guccione che l’unico modo per ritrarre l’assenza, è formare all’interno dello sguardo un punto elevato, dal quale la mente può scrutare in lontananza ciò che l’occhio non riesce a vedere, come avviene nel celebre Viandante di Friedrich, opera alla quale, agli inizi degli anni Ottanta, dedicherà una serie di versioni.
Ecco dunque che, anche in Guccione, come in Friedrich, il confine tra astratto e figurativo non è così definito come potrebbe apparire. Dopo aver deciso dall’esterno come suddividere lo spazio e come orchestrare tra loro luci e ombre, egli entra in ciò che rappresenta, per coglierne la sostanza interiore. Così faceva Giorgio Morandi e così hanno fatto altri pittori a lui molto cari. Questo suo procedere, che per certi versi pare un solfeggio filosofico, restituisce il battito segreto dell’esistenza. Non a caso nella ricerca espressiva di Guccione, un’intera fase pittorica può essere letta e percepita come un’unica opera. Tra astratto e figurativo, dunque, ma anche tra reale e percepibile e, ovviamente, tra ciò che è stato e quanto deve ancora accadere.
La luna, incantata e ferma; il cielo che si riflette nell’acqua; i fiori dell’Ibiscus; le rondini in volo, le rivisitazioni di alcune grandi opere del passato: tutto appare e tutto sembra potersi disperdere, proprio come avviene nei ricordi. Non si perderà la sua arte: dopo averla ammirata, la ritroveremo in noi stessi.