"Ormai le persone non hanno più idea di come si viveva solo qualche decennio fa". Storia di un piccolo museo etnografico bergamasco e del suo custode Angelo Bonfanti
Nel paese di Vertova, in Valle Seriana (BG), Angelo Bonfanti da anni raccoglie, cataloga e custodisce oggetti e attrezzi dei lavori montani del passato: dal suo lavoro di ricerca è nato un piccolo museo che custodisce la memoria locale di ieri
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Quella di Angelo Bonfanti è una storia di cura e di piccole cose che giorno dopo giorno diventano grandi. E importanti. È la storia di un uomo che ha sentito il peso della memoria e la paura dell'oblio, e che ha scelto di fare qualcosa: conservare, e ricordare. Siamo in Valle Seriana (Bergamo), precisamente nel paese di Vertova: qui, in quel punto strategico dell'orografia valligiana in cui le strade iniziano a inerpicarsi verso le alture orobiche alle spalle del paese, Angelo Bonfanti ha aperto un piccolo e fornitissimo museo etnografico, “Maria fa töt”, nel quale raccoglie oggetti, attrezzi e testimonianze concrete della vita montana di ieri. «Ormai le persone del presente non hanno più idea di come si viveva solo qualche decennio fa», spiega l'uomo, introducendomi negli spazi affollati di oggetti e ricordi. «Penso che sia importante che tutto questo non vada perduto: dopotutto sono le nostre radici».
Custodire il ricordo
“Maria fa töt” in bergamasco significa “Maria fa tutto, sa fare tutto”. Angelo ha scelto questo nome in memoria di sua madre, Maria appunto: «Queste collezioni sono un modo per dare dignità alle donne come lei: donne umili, povere, che per mantenere la propria famiglia e i propri figli facevano qualsiasi lavoro, arrabattandosi come potevano. Donne che facevano tutto, appunto. Come mia mamma, che era una straccivendola e che riuscì a trarre dalla sua capacità di recuperare oggetti vecchi e apparentemente inutili il sostentamento per i propri figli».
Per Angelo, il ricordo è la traccia fondamentale e primaria che guida il suo lavoro di ricerca: lavoro che, negli anni, l'ha portato a girare i mercati, a tessere una rete di rapporti su tutta la valle e con le valli vicine, ad acquistare oggetti e attrezzi che potevano andare a completare il quadro della vita montana del passato. Una vita comune, fatta di artigianato, di capacità di adattamento, di lavori che erano lo specchio di piccole società locali spesso chiuse, e quindi con la necessità di essere autosufficienti.
«Custodisco perché, altrimenti, chi si ricorderà più come vivevamo?» dice. «Guardati attorno: tu, che sei giovane, quanti di questi oggetti conosci? Di quanti conosci l'utilizzo?». Colgo la sfida, osservo gli scaffali, faccio correre lo sguardo sui vari spazi del museo, e la risposta la trovo subito: ne conosco pochi, di ancora meno conosco il funzionamento. «Vedi?» sorride Angelo «Vieni, ti racconto. Quelli sono gli utensili che si usavano per fare il vino. Questo è un torchio. Quelli appesi là, invece, sono ferri di cavallo, e questo è il basto per i muli…».
Un museo di memoria
La casa-museo “Maria fa töt” si sviluppa nelle stanze e nel cortile di un'antica abitazione del centro storico di Vertova. Di stanza in stanza, Angelo mostra gli ambienti che ha accuratamente ricostruito attraverso un paziente lavoro di ricerca, reperimento e catalogazione su tutto il territorio bergamasco: il museo rappresenta una collezione di oggetti di uso quotidiano risalenti soprattutto al XVIII e XX secolo, con attenzione particolare al periodo compreso tra le due guerre mondiali.
Ecco allora che le stanze da letto delle case bergamasche del secolo scorso (con tanto di corredi e indumenti), la cucina, il magazzino e le aree di lavoro. Ecco allora le botteghe dei vari mestieri antichi – il contadino, il vignaiolo, il calzolaio, il tessitore, il fabbro, il cestaio – così come gli ambienti della scuola del tempo, o lo studio del medico condotto. Tra macchine per macinare il mais e banchi in legno di quando ancora si usavano penna e calamaio, cesti di tutte le fogge e dimensioni, bambole in porcellana e utensili di una quotidianità ormai perduta, Angelo passa di stanza in stanza e racconta la storia di ciascun oggetto, me ne mostra l'utilizzo, indica le varie tipologie di questo o quell'attrezzo. Nelle sue parole c’è la sua infanzia, certo, e ci sono i ricordi: ma c’è anche la consapevolezza dell’importanza del preservare. «Ci sarebbe molto materiale ancora da catalogare» spiega Angelo. «Ma da soli è difficile. È una cosa che faccio non per la gloria o per il riconoscimento, ma perché penso che sia importante. E sono felice quando sono le scuole a chiedermi una visita al museo: significa che si sta passando il testimone, e si sta educando al valore delle radici».