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Cultura

Nello stato indiano "il lupo ha diritto di vivere". Viaggio di ricerca da Bolzano al Karnataka, dove pastori e grandi carnivori vivono a stretto contatto

Nello stato indiano del Karnataka, pastori e grandi carnivori hanno un rapporto di vicinanza. Sebbene le perdite di bestiame siano, a volte, ingenti rispetto al profitto medio annuo di un pastore, la spiritualità della popolazione rende intoccabile la fauna selvatica. Ecco cosa ha scoperto il ricercatore di Eurac Research Filippo Favilli durante il suo viaggio alle radici di una convivenza millenaria

di
Marta Manzoni
23 October | 13:15
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Nello stato indiano del Karnataka, pastori e grandi carnivori vivono a stretto contatto. Sebbene le perdite di bestiame possano essere, a volte, ingenti rispetto al profitto medio annuo di un pastore, l'induismo avvolge la fauna selvatica di una sacralità che la rende intoccabile. Durante i trenta giorni trascorsi in India, il ricercatore di Eurac Research Filippo Favilli e il fotografo Jóse Rámon Gorret hanno effettuato uno studio che ha donato loro una nuova prospettiva sulla convivenza. Abbiamo approfondito questo lavoro di ricerca insieme a Filippo Favilli.

 

Favilli, Com’è nata l’idea del progetto?

La collaborazione con il Wildlife Institute of India è nata nel 2020. L’obbiettivo, sin dall’inizio, è stato quello di studiare il lupo nel suo rapporto con i pastori, con tutte le relative integrazioni sociali legate per esempio alla tradizione e alla religione. Volevamo capire cosa guidasse l’attitudine dei pastori nei confronti del lupo, da cosa derivasse.

 

In quale zona si è sviluppato il progetto?

Nello stato indiano del Karnataka, una regione nel sud-ovest dell’India, una zona tropicale e arida, con diverse foreste, dove per un mese abbiamo studiato la presenza del lupo, accompagnati dalle guide forestali locali, che ci hanno aiutati con la traduzione e nell’approcciarci ai pastori.

 

Su quali aspetti si è concentrata la ricerca?

In quella zona semi-arida, ci sono numerosi piccoli villaggi dove c’è una presenza notevole di pastori, pecore, capre e fauna selvatica: l’obbiettivo dello studio era studiare la loro convivenza da un punto di vista sociale. Ho quindi realizzato una serie di interviste con questi pastori, per capire come si svolgesse la loro vita a stretto contatto con i lupi.

 

Come si sono sviluppate le interviste con i pastori?

Ho intervistato 42 pastori di diverse età, alcuni molto giovani, di quindici anni, altri di oltre ottant'anni.

Quali sono le differenze tra il nostro modo di gestire il rapporto con il lupo e quello dei pastori del Karnataka?

Per molti contadini nostrani, il lupo è ancora qualcosa che crea solo problemi. Problemi che si possono risolvere solo tramite l’uccisione del predatore. L’aspetto ecologico, per esempio, non viene molto considerato quando ci sono delle scelte da fare. Da noi conta tantissimo il lato economico della questione. La società di pastori con la quale sono entrato in contatto in India è per lo più nomade o semi-nomade, vive ancora una realtà molto lenta, e con molte contraddizioni. La rete 5G, per esempio, prende ovunque: le persone magari non hanno le scarpe ma tutti hanno il telefono con internet. Così entrano sempre più in contatto con la pressione economica che viene dal nostro modo capitalista di vivere.

 

Cosa ti ha colpito in particolare dell’esperienza che hai vissuto?

Ho voluto andare in un posto così lontano proprio per ribaltare completamente la nostra immagine del lupo. C’è una forte visione antica, spirituale e filosofica del lupo, che viene visto un po’ come una divinità, un protettore, un po’ come un fratello. Questa concezione impedisce fisicamente ai pastori di fare del male al lupo.

 

Quindi i pastori non uccidono i lupi?

Quando abbiamo chiesto se avessero mai ammazzato un lupo, i pastori hanno sempre risposto di no e anzi si stupivano per questa domanda. Per i pastori, non esiste proprio l’idea di uccidere i lupi, anche se questi ultimi causano delle perdite economiche. Tutti però hanno dei cani, anche quattro o cinque, che non sono i “classici” cani da guardia, ma che servono come deterrente per spaventare i lupi.

Quali sono le reazioni dei pastori quando ci sono degli attacchi al bestiame da parte dei lupi?

Questo secondo me è l’aspetto più interessante: tra le generazioni che vanno dai trent’anni in su, e che hanno già famiglia, è diffusa ancora un’idea molto spirituale: il lupo ha diritto di vivere. L’animale è considerato un protettore per la salute del gregge. Secondo alcuni, infatti il lupo prende gli animali del gregge malati, mantenendo il gregge in salute. Per altre persone, invece, il lupo preferisce gli animali migliori, ed è giusto così perché gli spetta di diritto, in modo tale che il pastore sia tenuto a essere ancora più vigile. In ogni caso, i pastori riconoscono quanto la presenza del lupo sia fondamentale per mantenere gli ecosistemi in salute, e che esso faccia parte dell’armonia della natura. Il danno che subiscono i pastori viene accettato, anche quando causa la perdita del dieci per cento, del gregge, come è successo in alcuni casi. Anche i forestali, rappresentati dello stato, cercando di mantenere questa tradizione tra le persone: il lupo va protetto, ha diritto di vivere. Per lo Stato, l’uccisione di un lupo è un grosso danno, anche se non è prevista alcuna compensazione economica per i pastori a seguito della perdita di parte del gregge.

 

Quale è invece il parere delle generazioni più giovani di pastori?

Dall’altra parte, ci sono i pastori più giovani, nati già con internet, che iniziano ad avere una prospettiva diversa, sicuramente influenzati dalla visione della società occidentale, e vedono il lupo come un danno, perché mangiando le pecore porta via il guadagno per la mia famiglia. Diversi giovani sono favorevoli all’uccisione dei lupi o vogliono che il governo regolamenti la loro presenza. Il pastore adulto non dirà mai nulla di simile. Sicuramente stiamo assistendo ad un forte cambiamento tra i pastori nella loro relazione con il predatore.

Ritieni che il modello di convivenza che hai conosciuto in India sia applicabile anche in Italia?

Il fine era vedere e capire come si comportano loro e portare questa esperienza da noi, per stimolare una riflessione. Per questa ragione sarà anche realizzato un video documentario sul viaggio, il cui messaggio non vuole essere quello di fare anche noi come nel Karnataka ma semplicemente mostrare il loro modo di convivenza. Forse, qui in occidente, potremmo inserire una visione più positiva del lupo, che non è solo quello che divora il gregge, o come ci ha insegnato la religione, il diavolo, che mangia le povere pecore innocenti.

 

Come viene visto il lupo in culture diverse dalla nostra?

In molte culture il lupo è una figura positiva, che permette il rinnovamento. Forse potremmo interrogarci maggiormente su quanto il lupo sia stato, e sia, importante anche per noi. Credo sia interessante riflettere su questi aspetti.

 

Cosa ti sei portato a casa da questo viaggio?

A parte le riflessioni sul lupo in senso stretto, ho avuto modo di vedere con occhi diversi il rapporto che ha l’umanità con la natura nel suo insieme. Il lupo è solo un simbolo. Trovo molto triste, per esempio, che continuiamo a concentrarci solo sugli aspetti economici. Se l’ambiente è sano ne beneficia l’intera comunità, non solo i pastori. Le persone con le quali ho parlato mi hanno anche parlato dei grandi cambiamenti che hanno notato nell’ambiente: alcuni hanno notato, per esempio, una importante frammentazione del territorio, che secondo loro influisce sulla presenza e distribuzione della fauna selvatica.

 

Quale è il messaggio che vorresti trasmettere grazie al tuo lavoro di ricerca?

Il diritto alla vita del lupo esiste a prescindere dalla volontà dei pastori. È semplice da capire, eppure per noi sembra avere più importanza altro, il denaro soprattutto. Penso che i pastori del Karnataka ci possano aiutare a ritrovare una spiritualità, che non è qualcosa legato al cristianesimo. Si tratta, semplicemente, del diritto alla vita. Se comprendono questo aspetto i pastori del Karnataka penso che ci possano arrivare anche in Trentino e in Alto Adige.

 

Foto: Jóse Rámon Gorret

Credits: Eurac Research

 

 

 

 

 

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