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Cultura

"La comunità è fatta di gente che un luogo lo abita, non soltanto lo visita". Storia di Fabrizio, tamburaio di Gangi, nelle Madonie Siciliane

Classe '87 e originario del paese di Gangi, nelle Alte Madonie siciliane, con la sua bottega “La capra canta” Fabrizio Fazio promuove la conoscenza della costruzione dei tamburi e il loro utilizzo, custodendo la tradizione antica e molto legata a questo territorio montano

di
Erica Balduzzi
18 agosto | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

«Il tamburo celebra una connessione: quella dell’essere umano con i campi, con le forze primigenie che gli han sempre dato nutrimento, con il divino che non si vede ma si percepisce, dentro, al ritmo antico della terra». A parlare è Fabrizio Fazio, tammurinaro, artigiano e artista del tamburo, nella sua piccola e vibrante bottega nel cuore di Gangi, alte Madonie siciliane, che racconta di quanto l'arte della costruzione dei tamburi e del loro utilizzo sia radicatamente parte di questo territorio, delle sue ritualità: «i tamburi si ricollegano a un sapere ancestrale e atavico, quando l’essere umano infondeva significati e senso in ogni oggetto che creava, dandogli potere: ecco perché per la copertura dei tamburi tradizionali si usava la pelle delle capre giunte ormai a fine vita. Ecco perché per il telaio si utilizzava l'armatura di un vecchio telaio per cereali. Il tamburo non era solo uno strumento musicale: era la celebrazione di un legame profondissimo con il territorio. Quello che cerco di valorizzare, tenendo viva quest'arte».

Custodire le radici: il senso del turismo lento a Gangi 

Gangi è situato a oltre mille metri di quota sul livello del mare, e nell'aria vibra un connubio indecifrabile di montagna e di salmastro, un'eco di Mediterraneo che non si vede ma si sente. Con le sue case pietrose color del miele abbarbicate sul fianco di un colle affacciato su spettacolari ondulazioni di campi di grano, Gangi sembra un presepe: ci si arriva da una strada tutta curve che solca un mare d’oro, una terra traboccante abbondanza agreste, mentre alle spalle del paese s'innalzano alcune delle vette più alte della Sicilia (a esclusione dell'Etna). In barba alle esigenze del turismo vorace che altrove sventra i pendii e sbanca i prati, qua i paesaggi sono quasi immutati, fermi in bilico sul tempo. Fermi ma non immobili, perché in questi borghi affamati di riscatto si stanno sviluppando interessanti forme di turismo lento, partecipazione comunitaria, slanci verso un futuro di innovazione sostenibile: dal recupero del dentro storico al sostegno per l'apertura di negozi e botteghe, dalla scelta di integrare il turismo nella vita della comunità e di valorizzare le arti e i saperi locali. «Siamo riusciti a innescare un meccanismo virtuoso partendo dalla consapevolezza che la vera ricchezza di un territorio sono i suoi abitanti» spiega il sindaco di Gangi, Giuseppe Ferrarello. «Senza comunità, non si va da nessuna parte, e la comunità è fatta di gente che un luogo e un paese lo abita, non soltanto lo visita».

Tamburaio di lavoro e di passione 

È in questo contesto che si inserisce l’attività di Fabrizio Fazio, classe ’87, tamburaio per vocazione profondissima e innata prima che per lavoro. «Il tamburo ti chiama» spiega «È lo strumento più antico del mondo: era il tramite che l’essere umano ha trovato fin dai primi passi sulla terra per connettersi con il mondo che lo circondava e per provare a dialogarci». All’arte del tamburo, Fabrizio ci si è avvicinato fin da bambino, attratto e chiamato dalla forza che questo strumento sprigionava. Ha imparato le diverse tecniche di costruzione da vecchi artigiani del territorio e ha accolto la tradizione popolare che essi portavano con sé, diventandone espressione vivente: un vero e abile tammurinaro (tamburinaio), erede non soltanto di un antico sapere artigiano capace di portare nel presente la tradizione connessa allo strumento, ma anche di suonarlo così come da centenaria tradizione gangitana. «Lo vedete questo?» e indica l’armatura in legno del tamburo. «Non è altro che il telaio di un setaccio, di quelli usati dalla civiltà contadina per separare il grano dalla pula. Il tamburo si è sempre fatto con ciò che si aveva a disposizione, con gli strumenti del lavoro di tutti i giorni».

"La capra canta"

La sua bottega porta il nome evocativo “La capra canta” ed è non soltanto uno spazio di lavoro artigiano – Fabrizio realizza interamente a mano tutti gli strumenti, curandone personalmente ogni dettaglio e ogni passaggio – ma anche un centro gravitazionale di storie, leggende e simbolismi. «Ogni tamburo ha una propria voce. Ogni tamburo parla. Ogni tamburo racconta, ha in sé tutte le voci. E il tamburo non si suona: si ascolta. Chiudete gli occhi». La mano scivola sulla pelle tesa della cassa, non è solo ritmo ma anche fruscio cadenzato, un susseguirsi di onde: il mare. Un colpo, fermo, che risuona a lungo, e altri colpi spessi, un rotolare come di massi, un sibilo: la montagna, il vento tra le pietre. Nell’abbandonarsi ai ritmi e alle suggestioni creati da Fabrizio mentre ci accompagna ad ascoltare le voci del tamburo, pare di ricollegarsi a un’umanità arcaica e ipnotica. Oggi i tamburi di Fabrizio sono conosciuti in tutto il mondo, segno dell’artigianalità e frutto di opere uniche, ed egli dal 2022 è iscritto nel Reis, il Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana, in virtù dell’importanza di recupero e custodia del suo lavoro. E’ uno dei soli quattro maestri del tamburo presenti in Italia.


 

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