Il Vajont fu una tragedia o un disastro? Un viaggio tra le parole
A oltre sessant'anni dalla notte del Vajont, ha ancora senso riflettere sulle parole utilizzate per descrivere ciò che accadde a seguito del distacco dal Monte Toc di una gigantesca frana, alle 22.39 del 9 ottobre 1963
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
A oltre sessant'anni dalla notte del Vajont, ha ancora senso riflettere sulle parole utilizzate per descrivere ciò che accadde a seguito del distacco dal Monte Toc di una gigantesca frana, alle 22.39 del 9 ottobre 1963.
Anche sull'Altramontagna abbiamo scritto a più riprese la parola tragedia, e lo stesso ha fatto il Dipartimento per la Protezione civile nel ricordare l'evento nel suo anniversario sui propri social network. Tragedia è un termine mutuato dal linguaggio del teatro e fa riferimento a un'opera e una "rappresentazione drammatica che si caratterizza, oltre che per il tono e lo stile elevato, per uno svolgimento e soprattutto una conclusione segnati da fatti luttuosi e violenti, da sventure e gravi perdite e sofferenze" (Treccani).
Se portiamo questo termine nel linguaggio comune, con tragedia s'intende un "evento luttuoso", una "grave sventura" o una "disgrazia, che suscita sentimenti di dolore e di terrore".
Riflettendoci, allora, non è forse tragedia la parola più corretta per descrivere i fatti del Vajont o quel che successe quasi quarant'anni fa in Val di Stava, in Trentino, dove nel luglio del 1985 crollò una discarica di rifiuti dell’attività mineraria composta di due bacini, facendo 268 vittime. Il termine più appropriato è probabilmente quello scelto per raccontare il Vajont dall'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), la cui pagina dedicata richiama "il disastro del Vajont".
Disastro, sempre per Treccani, è una "grave sciagura che provochi danni di vaste proporzioni o causi la morte di parecchie persone, con riferimento soprattutto ad eventi legati ad attività umane (scontri ferroviari, collisioni di navi, incidenti aerei) ma anche a calamità naturali, e anche la rovina, il danno irreparabile prodotto da tali accadimenti". Il disastro è qualcosa che dipende ed è legato ad attività umane, dà conto insomma di una responsabilità, come ben descrisse nel suo libro "Sulle pelle viva" la giornalista Tina Merlin (qui Pietro Lacasella parla del libro che racconta “come si costruisce una catastrofe”).
Perché non fu una tragedia a muovere quel volume di roccia di circa 270 milioni di metri cubi, che scivolò dal Monte Toc a una velocità di circa 70-90 km/h e in una ventina di secondi raggiunse il lago formato dallo sbarramento artificiale costruito lungo il torrente Vajont. Non fu una tragedia l'onda di circa 50 milioni di metri cubi causata dal suo impatto con l'acqua. Non fu una tragedia a causare la massa d'acqua e detriti che spazzò via (usa questo termine il CNR) la cittadina di Longarone "con la quasi totalità dei suoi abitanti". I morti furono 1917, "400 dei quali mai più ritrovati". Disastro, con tutta probabilità, è la parola più giusta per descrivere un evento del genere senza nascondersi dietro il paravento della fatalità. Aiuta, come aiuterebbe non leggere più "maltempo" nelle testate e nei titoli di giornale che danno conto di ogni nuovo disastro figlio del cambiamento climatico.
Nella foto in apertura, una veduta aerea dell'area del Vajont nel novembre 1963. Foto pubblicata dal CNR nella pagina dedicata al disastro del Vajont. Photo courtesy: VENET01 – Opera propria, CC BY-SA 4.0