Il 19 gennaio 1839 è nato Paul Cezanne: la sua montagna apre all'arte contemporanea
Il 19 gennaio 1839 nasce Paul Cezanne. “Cezanne, il padre di tutti noi”, diranno di lui Picasso e Matisse. Il Mont Sainte-Victoire era uno dei suoi soggetti preferiti: tra acquarelli e dipinti l’ha raffigurato, cogliendolo da tre angolazioni diverse, circa trenta volte
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Ricordandone la data di nascita, 19 gennaio 1839 (185 anni oggi), con Paul Cezanne la mente non può che fissare anche l’anno della morte: 1906 (morì a causa di una polmonite contratta dopo essere stato sorpreso da un violento temporale, mentre dipingeva a contatto con la natura). Proprio alla fine di quell’anno, infatti (Cezanne morirà il 22 ottobre), grazie ad una delle straordinarie coincidenze che l’arte sa intrecciare, Picasso inizierà a dipingere il quadro che segnerà l’inizio della contemporaneità: Les demoiselles d’Avignon (terminato nel luglio dell’anno successivo). È un testimone che passa.
“Cezanne, il padre di tutti noi”, diranno Picasso e Matisse. Altri ancora ne capirono la grandezza, soprattutto coloro che sentivano l’esigenza di ricompattare la luce impressionista, così da modulare la forma senza delimitarne i contorni. Non una sorta di “muratore che dipinge con la cazzuola” come con ironia e lingua tagliente disse di lui Manet, piuttosto un architetto che “indaga le strutture più profonde dell’essere” (Argan).
Se la luce crea emozioni, esse si concretizzano grazie all’intelletto, indagando ciò che ci circonda. Questo ci fa capire Cezanne. Un post-impressionismo il suo, che viaggia verso noi, imboccando una via inedita. Diversa da quella indicata da Van Gogh, tesa a trasmettere una serie di moniti esistenziali.
Volumi e forme chiamati a suddividere lo spazio seguendo regole precise, ma capaci di modificare un impianto prospettico prestabilito, scriverà: “Non dobbiamo dipingere ciò che pensiamo di vedere, ma ciò che vediamo. A volte bisogna sforzarsi per farlo, ma è questo che la nostra arte ci chiede (…). Alle Belle Arti vogliono insegnarti le leggi della prospettiva, ma non hanno mai capito che la prospettiva risulta da una giustapposizione di superfici verticali e orizzontali, e che questa è la prospettiva”.
Dopo questa premessa, risulta facile capire come mai il Monte Sain-Victoire sia divenuto uno dei suoi soggetti preferiti (tra acquarelli e dipinti l’ha raffigurato, cogliendolo da tre angolazioni diverse, circa trenta volte). Iniziò a vederlo da fanciullo, dalla casa dei suoi genitori ad Aix-en-Provence. Più da vicino, ripetutamente e non solo con gli occhi, lo incontrò quando alle sue pendici, in compagnia di Emile Zola, declamava i versi di Omero o di Virgilio oppure commentava pieno d’entusiasmo la trascinante prosa di Victor Hugo. Da allora non lo perse più di vista, tenendolo saldo nel ricordo anche durante gli anni parigini. A spingere, però, l’artista verso quel monte, alto poco più di mille metri, era la sua forma e la sua collocazione solitaria. Ecco i volumi ed ecco le forme che andava cercando: rientranze e luminosissime sporgenze rocciose, in grado sia di assorbire che di riflettere, senza impastarli tra loro, i toni azzurri del cielo della Provenza, i bruni e le gradazioni di verde della vegetazione sottostante.
A differenza di un pittore come Segantini (morto sette anni prima), Cezanne la montagna non la sale. Eppure, osservandola da lontano, stabilisce con essa un rapporto intimo e segreto, che accompagnerà l'intera sua esistenza. Tanto è vero che a lei dedicò uno dei suoi ultimi dipinti.