Grazie a lui abbiamo imparato a osservare ciò che già pensavamo di conoscere. Katsushika Hokusai, artista a cui dobbiamo tutta la nostra riconoscenza
Nel giorno della nascita, avvenuta a Edo (l’attuale Tokyo) il 31 ottobre 1760, ricordiamo Katsushika Hokusai: "Il vangelo dell’eliminazione dei particolari inutili". Lasciò un numero impressionante di opere, circa trentamila
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Rimane sospesa, trascinando con sé un’energia emotiva che si propaga nel tempo, la Grande Onda di Hokusai, immagine iconica, tra le più note che l’arte ha saputo produrre, anche per la possibilità che essa concede all’osservatore di inserirvi stati d’animo dissimili e contrastanti. Il grande artista giapponese, tra il 1830 e il ’31, ne produsse il disegno, riportato poi nella tavola di legno, per essere trasformato in xilografia.
Anche se è l’Onda a catturare l’attenzione, essa fu la prima delle Trentasei vedute del Monte Fuji, pensate per celebrare una montagna ritenuta sacra dai giapponesi (3776 metri e innevata nella sua sommità per dieci mesi all’anno). Hokusai – in grande anticipo su quanto fece Monet con la Cattedrale di Rouen - l’ha raffigurata col variare delle luci e delle stagioni. Dei circa cinquemila esemplari originariamente stampati, oggi ne restano appena cento e uno di questi, dal 2023, è andato a impreziosire la già formidabile collezione d’arte presente a Palazzo Maffei, a Verona.
Immagine evocativa, dunque, inserita in una pubblicazione dall’immediato successo, tanto che gli fu chiesto di realizzarne altre dieci. Tra le acque agitate di un mare in burrasca (Oceano Pacifico), i primi piani si sovrappongono: sulla sinistra, improvvisa, si alza un’oda gigantesca, pronta ad inghiottire le barche dei pescatori. Collocato in lontananza, al centro della composizione, il Monte Fuji assume il ruolo di osservatore paziente, assorto in altri pensieri: a preoccuparlo non è ciò che accade, ma quanto potrebbe accadergli (l’ultima eruzione, avvenuta nel 1707, coprì con un denso strato di cenere l’intera Tokyo, che dista appena a cento chilometri).
Classica e ancora contemporanea, romantica e visionaria, minacciosa ed elegante, tratteggiata con linee essenziali e “pure”, come un Haiku essa restituisce una serie di raffinati rimandi esistenziali. Anche in questo caso Hokusai interpreta visivamente, come meglio non potrebbe, il “fluttuare” grave e leggero del mondo Hukiyo-e.
Un mondo difficile da penetrare e far nostro, col tempo, però, abbiamo imparato a coglierne la sostanza poetica. Lo sforzo che Hokusai compie è quello di rappresentare, con gli strumenti che l’arte concede, il punto di perfezione che regola la nostra esistenza: una perfezione irraggiungibile. Scandita dal ciclico ripetersi delle stagioni, dei suoni, del respiro, delle correnti e di ogni altro elemento sensoriale capace di indicare la fuggevole transitorietà dell’esistenza.
Ecco il perché delle lunghe sequenze dei temi rappresentati, l’andar per cicli, ecco spiegata la ripetitività del gesto dei maestri calligrafi. L’intera produzione, è un lento avvicinamento. L’artista, utilizzando il valore della sintesi, cerca di oltrepassare la forma rappresentata.
Queste opere, oltretutto, contengono una grazia che molti pittori occidentali hanno subito colto: fogli arrivati in Europa verso la metà dell’Ottocento. Spesso utilizzati come carta d’imballo per proteggere preziose porcellane, essi non suscitarono entusiasmo solo in Monet e negli impressionisti ma, subito dopo, in pittori quali Gauguin e Van Gogh, Vouillard e Toulouse-Lautrec. In un contesto culturale differente, non mancò di ammirarli anche Klimt, rendendo ancor più luminosi i tasselli della sua pittura. Un’ ”Onda” che, ancor oggi, rimane alta e sospesa, indicando la via a tanta arte contemporanea.
Vincent Van Gogh, dai più indicato come il rappresentante massimo dell’irregolarità, colse immediatamente il valore di queste immagini: “Hokusai (...) i suoi disegni, le onde sono come artigli che si aggrappano alla nave e riesco quasi a sentirli” e ancora: “Quello che invidio ai giapponesi è l’estrema limpidezza che ogni elemento ha nelle loro opere (…) Le loro opere sono semplici come un respiro, e riescono a creare una figura con pochi, ma decisi tratti, con la stessa facilità con la quale ci abbottoniamo il gilet. Ah, devo riuscire anche io a creare delle figure con pochi tratti”.
Van Gogh, con altri ma, forse, più d’altri, ne percepì la dimensione filosofica e morale. Hokusai stesso, infatti, ebbe a dichiarare: “Sin dall’età di sei anni ho amato copiare la forma delle cose, e dai cinquanta pubblico spesso disegni, ma fino a quel che ho raffigurato a settant’anni non c’è nulla degno di considerazione. A settantatré (circa l’età in cui realizzò l’“Onda”) ho un po’ intuito l’essenza della struttura di animali e uccelli, insetti e pesci, della vita di erbe e piante e perciò a ottantasei progredirò oltre; a novanta ne avrò approfondito ancor più il senso recondito e a cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino e del meraviglioso. Quando ne avrò centodieci, anche solo un punto o una linea saranno dotati di vita propria”.
Come sappiamo, le cose andarono diversamente, ma questo non sottrae sostanza al pensiero. Parole, oltretutto, confermate da quanto scrisse alla soglia dei novant’anni, sentendo la morte avvicinarsi: “Se il cielo mi desse ancora cinque anni di vita, potrei diventare un grande pittore”. Sta di fatto che, con l’energia di un ragazzo, questo “vecchio pazzo di disegno” - per ricordare solo uno degli oltre trenta nomi con cui scelse di firmarsi - lasciò un numero impressionante di opere (circa trentamila), producendo una varietà di soggetti, di formati e di temi non meno stupefacente. Persino le sequenze Manga, sia pur nate prima, trovano un padre nobile in Hokusai e nei suoi “Lottatori”.
Ricordandolo ora, nel giorno della nascita, avvenuta a Edo (l’attuale Tokyo) il 31 ottobre 1760, rileggere questa sua poesia aiuta a rendere meno incompleto ritratto che qui è stato fatto: “Oh,! La libertà, la bella libertà quando si va per i campi d’estate, solo anima, dal corpo suo liberata”.
Così come importante è manifestare a Katsushika Hokusai, ogni giorno di più, tutta la nostra riconoscenza. Grazie a lui, ma anche grazie a Hiroshige, a Utamaro e a molti altri straordinari interpreti dell’arte orientale, abbiamo imparato a osservare ciò che pensavamo di conoscere con maggiore consapevolezza.
La sua celebre “Onda” fece da copertina alla partitura dell’opera La Mer di Claude Debussy. Anche il grande architetto Frank Lloyd Wright espresse la sua gratitudine nei confronti dell’artista giapponese: “Se la mia educazione fosse stata priva delle stampe di Hokusai non so quale direzione avrei potuto prendere. Il vangelo dell’eliminazione dei particolari inutili, che queste stampe esaltano, divenne la vera ispirazione della mia architettura” e si potrebbe continuare.