Esplorare le montagne di casa è considerabile un viaggio? Una riflessione sugli spostamenti minimi che possono darci e insegnarci tanto
I "viaggi minimi" attorno a casa sono forse più importanti dei "viaggi veri", perché rappresentano un'evasione costante, a portata di pochi passi o di poche pedalate. E se la routine della propria esistenza comprende qualche ora "in viaggio" a settimana, forse significa che stiamo vivendo una vita migliore
Un giorno, durante un'attività didattica con una classe delle scuole medie, invitai i ragazzi a guardare verso l'alto, dalle finestre della propria aula, delle proprie case o dalle vie della città, per osservare le montagne che spuntano tra palazzi e campanili. Li invitai a guardare e a porsi alcune domande: come si chiamano quelle montagne? Quanto sono alte? Che boschi ospitano? Di che rocce sono fatte? C'è qualcuno che vi abita? E che mestiere fa? Come sono cambiate nel tempo?
Raccontai loro quanto è importante, per me, esplorare i dintorni collinari e montuosi della città in sella alla mia bicicletta. Per fare sport e tenermi in forma, certamente, ma anche per scoprire, per capire, per esplorare un territorio troppo vicino che, proprio per questo, spesso ignoriamo inconsapevolmente, derubricandolo a periferia del quotidiano. Spesso utilizzo il termine "sfondo" per indicare questa sensazione: le montagne sono spesso percepite proprio così, come uno sfondo delle nostre vite, una quinta, una skyline, niente di più.
"Secondo voi qualche ora in bici su e giù per le montagne attorno a casa è un viaggio?", chiesi ad un certo punto.
Un ragazzo esuberante alzò la mano e mi rispose, con aria un po' schifata, urlando che no, assolutamente no! Un viaggio degno di questo nome deve durare tanti giorni e avere come protagonista un luogo molto lontano, esotico, tipo le Hawaii.
Risposi che per me i "viaggi minimi" attorno a casa sono forse più importanti dei "viaggi veri", perché rappresentano un'evasione costante, a portata di poche pedalate. E se la routine della propria esistenza comprende qualche ora "in viaggio" a settimana... beh, forse significa che stiamo vivendo una vita migliore, no?
Qualcuno annuì assai timidamente, molti altri rimasero della loro idea, guardandomi attoniti come si guarda un pazzo che odia il mare e le spiagge delle Hawaii.
Li avrei voluti portare con noi, quei ragazzi, nel "viaggio minimo" vissuto in bicicletta questo fine settimana, organizzato per andare semplicemente a trovare due amici che vivono in montagna, in Casentino, a pochi chilometri dalla città di Arezzo, dove vivo insieme a mia moglie.
Per raggiungerli in bici abbiamo salito il Pratomagno, montagna stretta e lunga, fatta di piccoli paesi, rimboschimenti e pascoli di crinale, arrancando lungo "la panoramica" e poi su e giù per una strada bianca (purtroppo forse ancora per poco) fino al Monte Secchieta, balcone in cui nelle giornate nitide si vedono i due mari e luogo in cui spuntano come funghi schiacciate farcite da Oscar. Per tornare a casa siamo saliti a La Verna, nei luoghi di Francesco, per poi scavallare dalla valle dell'Arno a quella del Tevere, lungo colline che sono un caleidoscopio di boschi, campi e paesi. All'andata abbiamo attraversato il ponte che, molto probabilmente, compare nello sfondo della Gioconda e, al ritorno, i luoghi che ispirarono Piero della Francesca. Abbiamo solcato la piana della Battaglia di Campaldino, alla quale partecipò Dante in persona, e il crinale dove passava la Linea Gotica. 185 km in totale, più di 3.000 metri di dislivello, chiacchiere e incontri, storia e paesaggi... come non chiamarlo "viaggio"? Come non rivendicare la parola "viaggio" anche per queste minime, meravigliose scorribande attorno a casa?
"Negli ultimi decenni si è istallata nella percezione comune la convinzione che la lontananza amplifichi il valore esperienziale del viaggio", ha recentemente spiegato Pietro Lacasella su Alto Rilievo / Voci di Montagna. "Questa percezione ovviamente trova delle fondamenta concrete, perché la ragione principale che spinge il viaggiatore a levare le ancore, a partire, è il desiderio di vivere contesti diversi dal proprio (sia dal punto di vista culturale, sia da quello naturalistico-ambientale) e, naturalmente, più chilometri si percorrono e più diventa semplice respirare quell’atmosfera di alterità tanto inseguita". "Ma per fortuna non sempre è così", spiegava Pietro, "a volte, per stupirsi, è sufficiente curiosare tra i luoghi “di casa”, o comunque prossimi a casa, spesso trascurati proprio a causa del meccanismo percettivo appena descritto. Sono appunto troppo vicini per catturare la nostra attenzione. Dunque capita con crescente frequenza di conoscere nel dettaglio località molto distanti e di sentirsi estranei a casa propria. È un peccato, perché conoscere è il primo passo per affezionarsi e affezionarsi è il primo passo per rispettare il territorio e le persone che lo abitano".
Forse il "viaggio", più che un concetto puramente geografico - "L’andare da un luogo ad altro luogo, per lo più distante, per diporto o per necessità", come ci rammenta la Treccani - è una condizione al tempo stesso fisica e mentale: movimento unito a una particolare predisposizione all'ascolto, alla scoperta, all'esperienza, all'approfondimento, alla meraviglia, al senso di liberazione da ciò che ci limita nella vita quotidiana. E tutto questo si può vivere alle Hawaii, ci mancherebbe altro, ma anche trasformando lo sfondo delle montagne di casa in quella sovrapposizione di storie, di luoghi e significati che esse sono realmente, e per la quale meritano di essere riscoperte, vissute e "viaggiate".
Lo so, si tratta probabilmente di un'assoluta banalità per voi che leggete queste pagine, ma mi andava di scriverne lo stesso. A cosa serve, un viaggio vero, se non per riviverlo continuamente dentro sé stessi e per raccontarlo, poi, a tutti gli altri? In fondo, è così che il viaggio ha trovato nella storia umana la sua definizione più autentica: nel resoconto, nella narrazione, di bocca in bocca, di poesia in canzone, di libro in film.
Il viaggio, vicino o lontano che sia, non è solo spostamento. È soprattutto energia, fisica e mentale, che si trasmette con la forza del racconto. Emozioni, vibrazioni, connessioni, che possono nascere anche dietro casa.
Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella.