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Cultura

Dopo l'incidente torna a camminare contro ogni pronostico. Ma non basta: la storia di Giovanni Ludovico Montagnani insegna a cambiare prospettiva

La vita di Giovanni Ludovico Montagnani, ingegnere elettronico e attivista per il clima, è cambiata il 3 luglio 2022 quando è caduto mentre scalava il Mittelruck. La sua storia - raccontata nel libro "Dopo l'incidente" (MonteRosa edizioni) - ci insegna che rifugiarsi in un passato che ha subito diverse trasformazioni rischia di essere controproducente; individuare in quel passato gli elementi per costruire un futuro a nostra misura, magari rimodulando alcune vecchie abitudini sui nuovi scenari che stiamo attraversando, può invece rivelarsi una strategia efficace

di
Pietro Lacasella
08 agosto | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Se penso al 3 luglio 2022 percepisco l’odore denso della salsedine. Il fragore del crollo avvenuto sulla Marmolada non ci ha impiegato molto, infatti, a propagarsi di valle in valle fino a tracimare in pianura, lungo le coste, tra i rilievi degli Appennini e nelle isole. Ma non solo. Presto si è diffuso anche all’estero.

 

Quella sera mi trovavo in un porticciolo croato. Mentre passeggiavo ho sentito due signori commentare il fatto. Non parlando croato, ovviamente non ho afferrato mezza considerazione, ma non era difficile intuire l'argomento che animava i loro discorsi, perché il nome della “regina delle Dolomiti” rimbalzava di frase in frase. Anche i loro sentimenti si percepivano con facilità: erano concitati, forse preoccupati, sicuramente sconsolati. "Marmolada booom" ha detto, provando a mimare il crollo, il signore più anziano. Poi ha aperto le braccia, ha scosso la testa e il discorso si è esaurito nello sciabordio delle onde.

 

Dai loro sguardi mesti, dal loro gesticolare malinconico, emergeva con chiarezza l'ampio respiro della tragedia. Il crollo è avvenuto in montagna e loro lo commentavano preoccupati seduti in riva al mare.

 

Quel giorno però, a scuotere i miei sentimenti, dalle montagne italiane è arrivata una seconda notizia. Questa però di carattere più intimo, perché riguardava un amico, Giovanni, e a informarmi non è stato il frastuono dei media, ma un messaggio delicato di un altro amico, Michele.

 

Giovanni era miracolosamente vivo, ma si trovava in ospedale dopo un caduta paurosa avvenuta mentre scalava il Mittelruck. Probabilmente aveva la schiena spezzata, probabilmente non avrebbe più camminato. Ipotesi che annullavano l’effetto rilassante del porticciolo croato. Se da un lato mi sentivo sollevato continuando a pensare “almeno è vivo”, dall’altro ero pervaso da una profonda sensazione di spaesamento, sicuramente provocata dal cattivo vizio di identificare le persone attraverso dei simboli precisi. Forse troppo precisi, perché semplificano e rendono statiche le nostre personalità liquide.

 

In ogni caso, fino a quel momento per me Giovanni Ludovico Montagnani simboleggiava un ingegnere elettronico decisamente forte sul piano sportivo e fermamente determinato nella lotta alla crisi climatica (e alle politiche che la stanno provocando). Ero quasi intimorito dalla sua energia, però da un certo punto di vista in essa trovavo conforto. In questo periodo assetato di grandi trasformazioni culturali e tecnologiche, infatti, la consapevolezza di poter contare su persone competenti e motivate non solo lenisce le angosce, ma allo stesso tempo induce a portare un contributo concreto alla causa.

 

Passeggiando sul molo, mi chiedevo se mai Giovanni, dal punto di vista fisico ma anche da quello mentale, sarebbe tornato quello di prima. Sarebbe riuscito a godere ancora di quel notevole surplus di energia che gli permetteva non solo di essere un performante atleta, ma lo stimolava anche a credere in un futuro slegato dai combustibili fossili?

Una domanda che nel tempo si è rivelata inconsistente: era chiaro fin dal principio che non sarebbe più tornato quello di prima, meno semplice era invece intuire che sentiero avrebbero imboccato il suo fisico le la sua mente; come si sarebbero adattati a una condizione nuova. L'ho compreso solo alcuni mesi fa, quando ho incrociato – anche se per pochi minuti – Giovanni a Trento. A differenza di quanto pronosticato dai molti convinti che non sarebbe più riuscito a reggersi sulle gambe, mi è venuto incontro camminando: con il passo un po’ incerto, con l’assistenza delle stampelle, ma camminava ed era altissimo, più di quanto ricordassi.
 

In quel momento ho riflettuto che rifugiarsi in un passato che ha subito diverse trasformazioni rischia di essere controproducente; individuare in quel passato gli elementi per costruire un futuro a nostra misura, magari rimodulando alcune vecchie abitudini sui nuovi scenari che stiamo attraversando, può invece rivelarsi una strategia efficace.

 

È proprio questo che, da quel 3 luglio 2022, Giovanni ha fatto con grande consapevolezza: una consapevolezza che emerge in modo chiaro nel suo libro Dopo l’incidente (MonteRosa edizioni). Meno coscienti di tale dinamica forse siamo noi, che continuiamo a considerare “normali” comportamenti e politiche che non lo sono più in un presente climatico profondamente mutato. E nel farlo non smettiamo di rincorrere un passato che non tornerà.

 

Giovanni, con la sua storia e con il suo libro, ci invita invece a guardare al futuro: un cambio di prospettiva che può creare spaesamento – perché ogni trasformazione fa perdere l’equilibrio –, tuttavia necessario per tornare a camminare.

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