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Cultura

Dolomiti Superski: a passo di gnomo

Il marketing del Superski non punta sulla qualità dell’offerta (per altro universalmente nota), ma sul valore immateriale che incombe su piste e impianti: le leggende dolomitiche. È una buona trovata pubblicitaria. Ma è giustificata?

di
Marco Albino Ferrari
11 gennaio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

«Gnomi, ninfe, re, streghe… Nelle Dolomiti ogni montagna è una leggenda. Dolomiti Superski», così recita la nuova pubblicità dell’immenso sistema sciistico dei Monti Pallidi, forte di dodici comprensori per un totale di 1200 chilometri di piste.

 

Il marketing del Superski non punta sulla qualità dell’offerta (per altro universalmente nota), ma sul valore immateriale che incombe su piste e impianti: le leggende dolomitiche. È una buona trovata pubblicitaria. Ma è giustificata? Ha un qualche senso parlare di gnomi, ninfe & c. riferendosi a quei territori?

 

Incantesimi, amori fatati, prove iniziatiche, il vento Vissinèl, l’Anguana, il Salvanel, l’Uomo Selvatico, il Dahu, fanno parte di quel mitico storytelling delle Alpi che un tempo animava il veillà o filò. Terminato il magro desinare scoccava l’ora della fiaba, e nell’odoroso spazio buio accanto alla vacca che emana calore, il gatto sulle ginocchia per scaldarsi, forse il lumino tremolante accanto al novellatore… e si ripartiva con il rituale «c’era una volta…».

 

Dalle Liguri alle Giulie, le Alpi sono un grande serbatoio di racconti fantastici che a partire dal Secolo Romantico una serie di raccoglitori ha fissato sulla pagina mutando la tradizione orale in elaborati narrativi e creando la cosiddetta “fiaba d’autore”. Ma quando parliamo di “fiabe delle Dolomiti” il discorso cambia, e si fa ancora più interessante.

 

Tutto è nato con l’apertura della Strada delle Dolomiti, l’infrastruttura costruita con il fine di avviare l’industria del turismo tra quelle montagne. Fu inaugurata nel 1909. E subito versanti, specchi d’acqua, borgate fino a quel tempo sconosciuti divennero vere e proprie tappe-cartolina lungo il percorso da Bolzano a Cortina e poi a Dobbiaco passando sotto i gruppi dolomitici più famosi.

 

Intorno alla Dolomitenstraße spuntarono grandi alberghi di primissima categoria nei quali si consumavano i riti delle villeggiature dell’alta borghesia cittadina che prevedevano grandi balli, passeggiate contemplative, alta cucina e bagni di sole. Ma ci voleva un di più, un mito fondativo che desse sostanza epica a qui luoghi, magari infiorettandola con caratteri medievaleggianti e tardo romantici. Ci voleva un tocco di colore. Ed ecco l’arrivo di Wolff.

 

Karl Felix Wolff

 

Karl Felix Wolff, giornalista tirolese, si mise al servizio delle attività di marketing e raccolse le antiche leggende locali trasformandole e adattandole ad una vera e propria estetica da APT, di cui oggi si riverberano gli effetti nel gusto kitsch, per esempio, della funivia intitolata a Re Laurino o dei gadget dedicati al popolo dei Fanes. Non per niente i cicli delle fiabe dolomitiche si collocano proprio sulle montagne circostanti la Strada delle Dolomiti. Il giudizio di diversi filologi arriva a dire che il suo lavoro è «nullo», frutto di pura invenzione.

 

Ulrike Kindl, massima studiosa della tradizione orale della montagna, sostiene che uno degli errori più eclatanti di Wolff fu localizzare la fiaba del Giardino delle Rose nel Catinaccio. Oggi, dopo i libri di Wolff, il Catinaccio viene chiamato Rosengarten, un vero brand turistico presente anche come toponimo ufficiale sulle cartine, mentre i ladini lo chiamavano Vaiolón.

 

La principessa Dolasilla, il filo di sole Soreghina, il glorioso guerriero Occhio di Notte della stirpe dei Duranni sono diventati il riflesso immateriale di altrettante guglie, pinnacoli e campanili dalle forme antropomorfe. Letto Wolff, si supera la soglia e tutto lassù si fa fiabesco. E si può, spensieratamente, lasciarsi sedurre dalla pubblicità del Superski.

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