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Cultura

Dall'Appennino marchigiano l'artista Osvaldo Licini vedeva Parigi

Il 22 marzo del 1894 nacque una delle “alte vette” artistiche del ‘900 italiano: Osvaldo Licini. Dopo aver tanto viaggiato e visto decise, nel 1926, di rientrare definitivamente a Monte Vidon Corrado (429 metri), un rilievo dell'Appennino marchigiano dove i diversi stimoli artistici assorbiti si consolidarono in un percorso originale e, per certi aspetti, solitario

di
Silvio Lacasella
22 marzo | 18:07
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Dove siamo quando ci avviciniamo ai cinquecento metri di altitudine? In collina o abbiamo raggiunto quella fascia intermedia comunemente chiamata mezza-montagna? I manuali spiegano che, con l’altitudine, occorre osservare l’andamento morfologico del paesaggio. Infatti, un conto è se i rilievi s’impennano in modo brusco, un altro se questi si alzano dolcemente, dando vita a una sorta di solfeggio melodioso, dialogante con la pianura sottostante. Dire che le colline sono i “seni” di un grande corpo, è un’immagine retorica, però, in effetti, rende bene l’idea di quello che sono, pur marcati dalle loro diverse peculiarità, i colli. Quelli Berici sono così, gli Euganei, anche: ma ognuno può vantare i propri: le colline trevigiane, quelle del canavese, quelle senesi, quelle marchigiane e così via per tutta la penisola.

 

Poi vi sono i monti intesi come “sommità” e questi spesso precedono nel nome luoghi o paesi (la basilica di Monte Berico, poco distante dal centro di Vicenza, è appoggiata nella cima di un colle alto appena 124 metri); quindi si possono considerare come ondulazioni antropizzate che punteggiano il paesaggio, rendendolo in molti casi affascinante. Non lontano da Fermo, nell’entroterra marchigiano, troviamo Monte Vidon Corrado (429 metri). Qui, osservato in lontananza dai monti Sibillini, il 22 marzo del 1894 nacque una delle “alte vette” artistiche del ‘900 italiano: Osvaldo Licini.

 

Ricordarlo nell’occasione del suo compleanno non fa bene solo all’arte, ma anche a chi si riavvicina alle sue opere con lo sguardo e, nel farlo, con la mente ne ripercorre la poetica espressiva. Un racconto intimo, interiore - il suo - che ha saputo proteggere l’autore dalle mode e dalle impetuose correnti artistiche del suo tempo. Un racconto capace di trasformare la fragilità in un punto di forza, solidificando quei convincimenti e quei dubbi che sempre lo accompagneranno. Dirà: “Chi cerca, suole mai trovare certezza. Io cerco sempre, senza mai trovarla, una certezza dove poter gettare tutte le forze di una mia lontana, miracolosa vita, forse sognata, forse trascorsa un poco troppo col cuore nella mano, col cuore e col pensiero nella mano, un po’ troppo bella dell’anima che io cerco ancora, senza mai stancarmi, troppo sperando di incontrarla un giorno”. Quanto egli ha saputo trasmettere attraverso l’arte s’intreccia con toccante esemplarità col suo percorso biografico. Non gli sono mancati gli incontri, le relazioni, i viaggi, le occasioni per riflettere, ma sarà dalla “sommità” del suo paese e, più su ancora, dall’altana di casa, nella quale sostava nelle ore del crepuscolo e della notte, che il suo occhio attento riuscirà a osservare l’intero mondo. Una condizione, oltretutto, privilegiata per dialogare con l’amata luna “garantita d’argento per l’eternità”, come dirà a Giuseppe Marchiori. Un atteggiamento che ricorda, sempre da quelle parti, un altro illustre abitatore di colle: Leopardi. Tanto che, Licini stesso, tra le righe di una lettera si lascerà scappare queste parole: “Recanati e Monte Vidon Corrado sono forse la stessa cosa?”

Un passaggio molto singolare apre la sua biografia: saranno i genitori, nel 1896, quando il piccolo Osvaldo non aveva che due anni, a lasciare il paese per recarsi a Parigi. Il padre per svolgere l’attività di cartellonista pubblicitario e la madre, disegnatrice di cappelli, dirigerà invece una casa di moda. Lui rimarrà col nonno, il quale, accortosi della sua predisposizione per la pittura, quattordicenne lo iscriverà all’Accademia a Bologna, dove diverrà amico di un altro grande solitario, Giorgio Morandi. 

 

A diciassette anni, per breve tempo, la sua tavolozza fu sferzata dalla foga futurista, poi, col sopraggiungere della guerra, Licini si arruola. A Pdgora, durante la battaglia dell’Isonzo e, poco più che ventenne, riporterà una profonda ferita a una gamba, episodio che lo renderà claudicante per tutta la vita. Dimesso dall’ospedale militare di Firenze, nel 1917 deciderà di trascorrere i giorni di convalescenza a Parigi, dalla madre che, rimasta vedova, viveva con Esmeralda, figlia nata in Francia e ballerina all’Opéra.

 

In quel periodo Licini avrà modo di conoscere Picasso, Cocteau, Severini, Kilsing, l’artista polacco naturalizzato francese, il cui volto compare in un celebre ritratto di Modigliani, del 1915. Ammirandolo molto, Licini cercherà Modigliani e i due diventeranno amici. Anche Matisse, in quel primo o nei viaggi successivi, entrerà nella sua pittura. Poi, dopo aver tanto visto e dopo essersi sposato con la pittrice svedese Nanny Hellstrom, egli decise, nel 1926, di rientrare definitivamente a Monte Vidon Corrado.

Dai primi Ritratti e dai Paesaggi tonali degli anni Venti - nei quali, oltre a Matisse si percepisce nitida a presenza di Cezanne -  alla pittura astratta del decennio successivo. Una svolta solo all’apparenza brusca e traumatica. Egli elaborerà un’astrazione strutturata in modo da suddividere lo spazio senza però volgere le spalle alla pittura precedente. Non a caso, in quel momento, dichiarò fiducioso: “Dimostreremo che la geometria può diventare sentimento”. Come in precedenza e come avverrà in futuro, la sua indole lo costrinse a viaggiare solitario. Allontanandosi dagli astrattisti italiani del tempo, che pur in quel periodo a Milano, alle pareti della galleria del Milione, esponevano con lui, egli allargherà il campo visivo, cercando semmai un confronto con le fasi più liriche di Kandinskij e, ancor più, con Paul Klee, artista che sentiva vicino anche per la capacità di ricomporre nelle contenute dimensioni del dipinto, gli spazi enormi e pericolanti dell’inconscio.

 

Visioni che affioreranno dal sottosuolo, lacerando ogni griglia geometrica, nell’ultima sua fase, e contenute nella serie degli Angeli Ribelli e delle Amalassunte. Raffigurandoli, negli Angeli Ribelli egli vede e ritrae se stesso nella dualità della rappresentazione tra il bene e il male. Nelle Amalassunte trova il modo di riflettere desideri e speranze, entrando quasi fisicamente nell’alone accogliente di una luna: “Amica di ogni cuore un poco stanco”.

 

Osvaldo Licini morirà là dove era partito, a Monte Vidon Corrado, nell’ottobre del 1958. Pochi mesi prima, allestita da Carlo Scarpa, gli era stata dedicata una sala personale alla XXIX Biennale d’Arte di Venezia. La giuria gli assegnerà il gran Premio internazionale per la pittura e a giugno farà a tempo a scendere in laguna per ritirare quell’ultimo, meritatissimo riconoscimento.

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