Ciclismo e montagna: un sogno a due ruote, in primavera
Uno dei primi lunghi giri in bici a primavera, una scritta trovata su un muro, un pensiero su quanto il ciclismo potrebbe veicolare un nuovo messaggio sulla montagna e su chi ancora vi abita
L’appassionato di ciclismo con ben poche velleità atletico-sportive, come il sottoscritto, vive l’arrivo della primavera da due diversi punti di vista.
Il primo è quello agonistico, in cui i protagonisti però sono gli altri, i corridori veri. Primavera significa infatti grandi corse in casa, lungo la Penisola. Io aspetto in particolare la Strade Bianche, straordinaria cavalcata tra ghiaia, polvere e fango su e giù per le colline senesi; e poi la monumentale Milano-Sanremo, la “classicissima”, dove il plotone di corridori sembra incarnare la rappresentazione di un vento rinnovatore, che dalle nebbie umide di una Pianura padana ancora impastata nell’inverno svalica l’Appennino per spingerci dritti in Riviera, dove è già primavera.
Il secondo punto di vista è quello sportivo, ma personale: vissuto in sella, menando sui pedali. Alla vista delle corse di inizio stagione sale sempre un forte prurito su per le gambe e la schiena, una strana ma incontenibile eccitazione che spinge a mollare gli impegni, il computer, la casa da ordinare e uscire là fuori, dove il primo sole davvero tiepido inizia a svegliare una natura in parte ancora sonnecchiante, in parte già in fremito.
Pedalavo, oggi, cercando goffamente di imitare movenze e scatti dei campioni, ma soprattutto godendomi il risveglio del bosco. Pruni e ciliegi punteggiavano i bordi della campagna con nuvole di bianche fioriture; qualche olmo sporadico mostrava fiero le verdissime “disamare”, i frutti alati che vengono emessi da questa specie ancor prima delle foglie; macchie gialle di primule abbellivano le scarpate stradali al limite di castagneti ancora assonnati; dalle gemme di altri alberi e arbusti, ormai pronte ad esplodere, facevano capolino, come occhi timidi ma curiosi, pochi millimetri di quel fogliame che presto inonderà le valli.
Pedalavo e riflettevo su come questi due mondi appena descritti - le grandi corse e le piccole avventure personali - abbiano in fondo una sola, emblematica cosa in comune (oltre alla bicicletta, ovviamente): le strade, i paesaggi.
Il ciclismo, come ha scritto qualcuno, è uno dei pochi sport che viene a trovarti sulle tue strade, quelle che le gente vive ogni giorno, non sei tu a doverlo andare a seguire al chiuso, nel recinto di uno stadio.
E pedalando ho incrociato una scritta, su un vecchio muro: “W COPPI”. Una scritta sopravvissuta ad almeno sette decenni.
Ho inchiodato e mi sono fermato a contemplarla, come si adora una reliquia. A volte certe scritte si ritrovano ancora, nei paesi mezzi abbandonati dove il tempo sembra essersi fermato. Lettere che brillano di un'aura antica, tra mattoni silenziosi e macchiati dal tempo. Nomi di campioni inobliabili, come aggettivava un vecchio giornale proprio parlando di Fausto Coppi; nomi che hanno il potere di proiettarti in un'Italia che non c'è più, dove tutti impazzivano di ciclismo. Dove gli italiani scoprivano il territorio nazionale proprio grazie al ciclismo.
Così, arrancando tra le colline, mi è sembrato all’improvviso di veder sbucare da un argine, tra i pruni e i ciliegi in fiore, il nonno, lo zio, il vecchio meccanico di paese, quelli che da ragazzino già appassionato di bici mi raccontavano di Coppi, Bartali, Binda e Guerra. Chilometro dopo chilometro vedevo uscire da campi, boschi e paesi i volti di un'Italia povera, allegra e polverosa: il fabbro, la sarta, il fornaio, la maestra, il falegname. Uomini, donne e bambini che mi strillavano a gran voce qualcosa di incomprensibile. Poi, uno di quei fantasmi del passato, in braghe corte e sandali, mi è corso accanto, vicinissimo, scandendo più chiaramente quelle parole misteriose e permettendomi finalmente di capire: “Il ciclismo”, mi urlava, “è scoperta del territorio!”.
Quanto aveva ragione. Il ciclismo, sia quello dei campioni che di noi poveri epigoni, è un mezzo straordinario per conoscere le altre colline, le altre montagne. Il ciclismo potrebbe allora essere un grande alleato per mostrare l’Italia, quella minore, quella nascosta, quella sì obliata, agli italiani. Un’arma potentissima per veicolare, tra strade, paesaggi, fughe e scatti, una narrazione differente, con l’Italia di periferia, le sue storie, i suoi problemi, finalmente al centro.
In parte lo si fa già durante le lunghe telecronache del Giro d'Italia, ad esempio grazie ai bei racconti dello scrittore Fabio Genovesi, ma quanto si potrebbe espandere e approfondire questa narrazione, uscendo dalle solite cartoline patinate che talvolta oscurano la vera realtà delle aree interne: di cosa vivono i territori? Quali problemi li attanagliano? Quale il genius loci che li caratterizza? Cosa hanno da dire davvero le comunità al resto dei cittadini? Che messaggi vogliono lanciare, loro che nei territori ancora ci vivono, a quelli che vedono scorrere, curva dopo curva, tra salite e discese, questa Italia troppo spesso lontana dai riflettori?
Quando si potrebbe fare di più, anche ben oltre al Giro d'Italia. Quanto si potrebbe investire su un grande progetto culturale dedicato alla riscoperta delle aree interne con al centro questo magnifico ed ecologico mezzo di viaggio, puntando con forza su questo veicolo di emozioni e conoscenza capace di proiettarci, con rispetto, dentro al vero cuore pulsante dei paesaggi.
In preda a pensieri e allucinazioni ho sbandato, decidendo ben presto di fermarmi in uno spiazzo. La testa girava, le gambe erano molli. Crisi di fame, così si chiama in gergo tecnico. E carenza d’allenamento: un grande classico, a primavera.
Così ho cercato un bar e vi sono entrato alla disperata ricerca di un pezzo di crostata e di una coca. L’aria era tesa, nessuno si è voltato verso di me, tutti guardavano in alto come inebetiti, verso un enorme maxischermo che sparava urla a tutto volume...
... benedetto, maledetto calcio!
Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella.