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Cultura

Chiamami con il mio nome: toponimi, un presidio della montagna

Prima che potessimo dire "mandami la posizione", i toponimi erano essenziali per orientarsi in un territorio come quello appenninico, da secoli luogo di incontro tra comunità e montagna. Oggi abbandono e crisi climatica rischiano, tra le altre cose, di cancellarli. Possiamo farne a meno?

di
Andrea Barzagli
25 gennaio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Le piogge estreme che abbiamo visto riempire le valli attorno a Firenze e Prato lo scorso novembre non hanno risparmiato neanche quei luoghi che si trovano a pochi chilometri di distanza dalle sorgenti, sui versanti dell’Appennino Tosco-Romagnolo. In un brevissimo tratto, la piena è riuscita ad accumulare una potenza tale da far franare sentieri e modificare la conformazione stessa dei torrenti. A subirne le conseguenze è stato anche quello che nel mio paese, a Razzuolo, viene chiamato il “Pozzo Arcobaleno” dove il sentiero guada il fiume, in equilibrio su dei blocchi di arenaria, dando a quel luogo la dignità necessaria a guadagnarsi un nome che lo distingue da tutte le altre “pozze” che si susseguono nella corsa dell’acqua verso la valle. 

 

Sia il sentiero che portava al Pozzo che le pietre per attraversarlo non ci sono più, la piena ha portato via tutto. Poca cosa se pensiamo ai danni che l’acqua ha fatto a valle, eppure un’occasione per riflettere su come in questi territori, in quella che Mauro Varotto definisce “montagna di mezzo”, piccole grandi cose succedano fuori dai riflettori. Dinamica analoga a quella di maggio 2023 quando le frane e i danni subiti sul versante opposto della stessa montagna, quello che guarda alla Romagna e Faenza, hanno visto poca copertura da parte dei media nazionali, rispetto a quanto non sia stato detto e scritto sull’acqua tra le case della valle. Il sindaco di Marradi, Tommaso Triberti, riporta che ad oggi sono ancora più di 200 le frane attive nel comune, senza considerare quelle che, per la loro posizione lontana da strade e case, non sono state censite ma concorrono ugualmente a trasformare la fisionomia del territorio. 

 

Il territorio di cui stiamo parlando è quel tratto di Appennino che sta tra il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Monte Falterone e Campigna, a sud, e la Via degli Dei, l’ormai famoso sentiero che collega Bologna e Firenze, a nord. Due punti di riferimento la cui scelta non è casuale: se ne cercassimo di diversi che possano essere altrettanto conosciuti a livello nazionale, ci renderemmo conto di quanto sia difficile trovarli. Si potrebbe dire che le montagne di cui stiamo parlando sono quelle che incorniciano l’Autodromo del Mugello, ma temo faremmo loro un torto ancora più grande. 

 

In questa montagna alla quale fatichiamo a trovare un nome, vicino ad un paese che anche gli abitanti della stessa valle a volte non sanno posizionare, la piena si è portata via il sentiero e le pietre che permettevano di attraversare il “Pozzo Arcobaleno”. 

 

A discapito della difficoltà di collocarlo, questo territorio di nomi ne avrebbe infatti tantissimi. Una fitta rete di toponimi che ancora oggi testimonia la capillarità del presidio che in passato lo interessava. Nell’era precedente al GPS e agli smartphone, la toponomastica era l’espressione diretta del presidio, ne era sia prodotto che mezzo, la bussola per orientarsi in un territorio così diversificato e solo all’apparenza privo di punti di riferimento. Una scala di dettaglio non riportata su nessuna mappa ma che risiede interamente nella tradizione orale di coloro che, per necessità di orientamento e di vita quotidiana, avevano dato un nome a questi luoghi.

 


Una mappa dei toponimi del territorio intorno a Razzuolo, risultato di interviste agli abitanti e ricerche personali.

 

Va da sé che il calo demografico che da decenni si registra in queste aree, soprattutto quello legato alla morte degli abitanti più anziani, mette a rischio questo enorme quantitativo di informazioni che, senza voler incappare in una narrazione nostalgica, rappresentano parte della cultura e della storia di un territorio e delle comunità che lo hanno abitato. Un archivio immateriale che può darci informazioni, ad esempio, sul perché un determinato luogo si presenta come lo vediamo oggi o, viceversa, su cosa è stato prima di diventare quello che vediamo oggi. Il “Campo al Moro”, sul lato della strada che sale al paese, oggi è un bosco di douglasie, ma il toponimo ci rivela la sua precedente vocazione agricola; il “Tosatoio”, nome di ciò che resta di un piccolo pascolo, era invece il luogo dove un tempo venivano riunite le pecore pronte per la tosatura. 

 

A dare ancora più valore a questo “codice”, il fatto che negli ultimi decenni questa parte di Appennino (come molta dell’intera catena) ha visto il bosco occupare la maggior parte dello spazio a disposizione: chiudendo pascoli, ricoprendo gli alvei dei torrenti, invadendo fuori e dentro le vecchie coloniche abbandonate. Una semplificazione del mosaico di un paesaggio che perde punti di riferimento e diviene più omogeneo, una lunga distesa di alberi che copre un territorio senza nomi.

 

Si perché in questi territori che restano fuori dal circuito dei “borghi”, dei social, dei cammini, dei parchi, e dove il fenomeno dei “ritornanti” o dei “nuovi montanari” (quasi completamente assenti) dimostra quanto ancora siano esigui i numeri di chi sceglie di abitare in montagna, manca una comunità o anche semplicemente delle persone, che possano apprendere e conservare questa conoscenza. Una conoscenza che non è solo memoria, ma testimonianza del rapporto tra uomo e montagna, campanello di allarme di quanto ci stiamo allontanando da questi luoghi. Se il proliferare di toponimi è sintomo di presidio delle montagne, la loro scomparsa è un altro dei segnali che ne certificano l’abbandono. 

 


Curva di Cencione: il supporto vuoto del cartello qualche giorno dopo il furto.

 

É di qualche anno fa un altro episodio che può far riflettere sul tema. Tra le curve della strada del Passo della Colla, quella che passa da Razzuolo e va verso Faenza, ce n'era una di cui era difficile dimenticare il nome, scritto a caratteri cubitali su di un cartello giallo ocra a lato della carreggiata: la “Curva di Cencione”. Era un punto di riferimento quando si parlava della strada: le cose succedevano “prima” o “dopo” la Curva di Cencione, toponimo spartiacque che permetteva di orientarsi in un susseguirsi di curve “tutte uguali”. Ecco, qualche anno fa il cartello è sparito, per ricomparire poi, pochi giorni dopo, in vendita su un mercatino online di oggetti vintage. Tralasciando tutti i possibili commenti sulla questione del furto, tolto il cartello, per quanto ancora ricorderemo il nome di quella curva? Spoiler: molto poco.

 

Ci sono problemi più grandi della perdita di un nome in un punto a caso della lunga catena degli Appennini? Certamente sì, ma quello dei toponimi e della loro scomparsa è una lente utile per guardare a dinamiche più grandi. Perché la scomparsa del cartello, come quella del sentiero che porta al Pozzo, sono segnali di un territorio di cui sempre meno persone si curano, che sia per assenza o per l’allargarsi della frattura culturale che allontana anche coloro che in montagna ci abitano, dalla possibilità di comprendere e agire con dinamiche positive di presidio.

 

E allora che cos’è un nome, un toponimo, se non un grande atto di resistenza a questo apparentemente inesorabile processo? Viene in mente il capolavoro di Hayao Miyazaki, La Città Incantata, dove la strega si appropria del nome della protagonista, per ridurla in schiavitù. Chihiro, privata del suo nome, non è più in grado di trovare una via di uscita, non ricorda il suo nome, non sa più da dove viene, inizia a scomparire. Un luogo che perde il suo nome esiste ancora? “Gennaio”, un piccolo pascolo adesso ricoperto dagli alberi, senza il suo nome è solo una porzione di qualcosa di più grande, del bosco, il luogo preciso non esiste più. Una provocazione, certo, ma non possiamo pensare di parlare di montagna se non sappiamo più neanche come chiamarla

 

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