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Cultura

Amedeo Modigliani: artista alcolizzato e senza regole? Non proprio. Tutto nacque da un "monte-non monte", dove la quota conta relativamente

Oggi si celebra il 140esimo anniversario della nascita di Amedeo Modigliani: impossibile guardare i suoi quadri, i suoi volti malinconicamente inclinati sul lungo collo, quegli occhi privi di pupille, senza andare a patti con la commozione

di
Silvio Lacasella
12 luglio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

In tanti casi la parola monte non indica un rilievo roccioso, con una vetta difficile da raggiungere. Spesso viene utilizzata come toponimo rafforzativo, per sottolineare la valenza simbolica di un determinato luogo. Stabilirne la quota conta relativamente. Quasi nessuno sa, ad esempio, che Monte Berico, situato a un paio di chilometri dal centro di Vicenza, è alto 124 metri. Quel che conta è che i fedeli trovino sulla sua sommità il santuario dedicato alla Madonna, apparsa in quel luogo ad una contadina nel 1426.

 

A Roma, Montecitorio, Monte Testaccio o Monte Mario, collina alta 140 metri e legata nel nome alle vicissitudini storiche della città. Ogni regione ha i propri monti-non-monti.

 

Non solo qui da noi ovviamente. In Normandia “svetta” Mont Saint-Michel, la celebre isola di marea che, grazie a una sorta di “trucco” antropico, è riuscita quasi a raddoppiare la sua altezza, passando dai 92 metri reali ai 170 della statua di San Michele, posta sulla cima della guglia dell’abbazia.

 

Una lunga premessa per arrivare, sempre in Francia, a Montmartre: monte dedicato a Marte per la presenza di un antico tempio costruito in epoca gallico-romana oppure, come seconda ipotesi etimologica, monte che ricorda il martirio del vescovo Dionigi, proclamato poi santo dalla chiesa. Oggi però Montmartre congiunge a noi un’epoca assai più vicina, quando, tra Otto e Novecento divenne il centro del rinnovamento artistico. Quello che accadde in questa collinetta di 130 metri a nord di Parigi, con i suoi celebri cabaret e lo stile di vita bohémien, è un lungo e coinvolgente racconto, impossibile da cancellare.

In quegli anni, numerosi artisti vi hanno soggiornato, producendo opere fondamentali: quanti incontri, quante storie, alcune rabbuiate dallo sconforto e dalla miseria, altre illuminate da lampi di grande fiducia e positività. Un crocevia di esperienze, di intenzioni, di caratteri e identità pittoriche tra loro anche contrastanti ma che, proprio in quella collina, andarono congiungendosi grazie ad un sentire comune.

 

Persino la posizione di Montmartre, allora collocata fuori dai confini parigini, rimarcava una lontananza simbolica dall’ufficialità, consolidando in tutti il forte desiderio di rinnovamento: non solo Moulin Rouge, Le Chat Noir, non solo trasgressione e vita notturna; al Bateau Lavoir, un ex laboratorio di pianoforti trasformato per accogliere artisti e poeti, si scriveva e si dipingeva con grande consapevolezza. Fernand Léger, Robert Delaunay, Braque, Apollinaire, Gauguin, tra un viaggio e l’altro, per citarne solo alcuni. Picasso qui dipinse, tra il 1906 e il 1907, il suo primo quadro cubista, Le Demoiselles d’Avignon.

 

Per qualche tempo in quei locali vi entrò anche Amedeo Modigliani, giunto a Parigi nel 1906. Indubbiamente, come poche altre, tocca il cuore la sua vicenda artistica e umana: il suo coraggio, le sue avventure, i suoi drammi. Coinvolge la fantasia con la sua bellezza, la sua eleganza, i suoi eccessi, la fiera spregiudicatezza. Una biografia trasformatasi presto in materiale prezioso per rafforzare un’impressionante serie di stucchevoli luoghi comuni: l’artista rissoso dall’animo delicato; amato ma interiormente solo; deciso e nello stesso tempo fragile. L’artista che trova nell’alcol e nella droga una spinta disinibitoria. E ancora: squattrinato e incompreso. Col fisico debole, malato, col destino segnato, però in grado, come un eroe mitologico, di sfidare sino all’ultimo la morte.

Certo è che quando ci si imbatte in Modigliani, nato centoquarant’anni fa, il 12 luglio 1884, è faticosissimo parlare dei suoi quadri senza pensare al suo essere “maudit”. Non ha che undici anni quando una pleurite suona per lui come un campanello d’allarme. Cinque anni dopo, infatti, un nuovo cedimento e il verdetto definitivo dei medici: tubercolosi. La madre lo porta ad Amalfi, a Capri e a Napoli. Chiese, opere d’arte, musei. Letture disordinate eppure fondamentali: Nietzsche, Dostojevsky, D’Annunzio. Soprattutto Dante. Appena può se ne va a Firenze (1902), dove incontra le opere di Giovanni Fattori; successivamente sale fino a Venezia (1903) per frequentare la Scuola Libera di Nudo, accanto a Mauroner, Cadorin, Marussig, Boccioni. Proprio nella città lagunare ha modo di parlare a lungo di Parigi con Ardengo Soffici.

 

Modigliani vi arriva l’anno della morte di Cezanne. Sottobraccio stringe una serie di riproduzioni dei suoi amati pittori italiani: Simone Martini, Filippo Lippi, Botticelli, Carpaccio, artisti in cui prevale l’uso della linea per delimitare gli spazi all’interno della composizione. Non si ambienta facilmente, anche perché la sua presenza verrà notata più delle sue opere, additate di provincialismo: si può dire che per alcune stagioni il suo desiderio di pittura fu superiore alla sua arte; ciò lo rese positivamente irrequieto, insoddisfatto.

 

Decisivo risulterà l’incontro con Paul Alexandre, un giovane dermatologo appassionato d’arte. Intuendone il talento, gli compra qualche quadro e gli mette a disposizione uno spazio all’interno di un caseggiato: una sorta di falansterio abbandonato, in Rue du Delta. Fu proprio Alexandre, nel 1909, a favorire l’incontro con lo scultore Costantin Brancusi. Una rivelazione: l’opera di Brancusi gli aveva suggerito la via per raggiungere una convinta sintesi espressiva. Sperava di diventare a sua volta scultore: “Farò tutto nel marmo”, dichiarò ad Alexandre con ottimismo. In realtà, utilizzò pietre altrettanto dure ma meno nobili, rubate di notte in qualche cantiere.

 

Decine e decine di disegni preparatori, in prevalenza cariatidi, immaginando di costruire un “Tempio della Voluttà”. Sappiamo che andò diversamente: di cariatidi ne terminò una sola e poche saranno anche le teste. La vita disordinata, passata tra bistrot e brasserie, tra assenzio e hashish, e la condizione dei suoi polmoni non gli permettevano sforzi prolungati, tantomeno di respirare la polvere sollevata dallo scalpello. Rimase in parte scultore anche quando, dal 1914, iniziò a definire architettonicamente lo spazio all’interno della sua pittura.

 

E’ vero che, come diceva Cocteau, nei ritratti Modigliani “riportava tutti ad un modello che lui aveva dentro”, così come, altrettanto forte, era il suo bisogno di instaurare un contatto profondo col soggetto. Osservando le persone raffigurate nei suoi ritratti è possibile ripercorrerne la vita: Alexander, ma anche Leopold Zborowski, mercante d’arte, figura centrale per l’ultimo, difficilissimo periodo di Modigliani. Quello del pittore polacco Kislingt e quello di Soutine, quello di Paul Guillaume. Senza cercarli, escono nitidi quelli di Jeanne Hébuterne.

Jeanne Hébuterne posò per lui quasi trenta volte dal loro primo incontro nel 1917, avvenuto nelle stanze dell’Accademia Colarossi. Jeanne, mettendosi contro la famiglia, che disapprovava la relazione con un artista squattrinato ed ebreo (“Je suis juif” usava dire dopo essersi presentato), si pose dolcemente accanto a lui. Non molto alta, occhi azzurri, capelli scuri ma non neri, spesso raccolti sul capo o in lunghe trecce, viso ovale: “noce di cocco” la chiamava Modigliani. Proprio quando, nel 1918, dalla loro unione nasce la figlia Jeanne, le sue le condizioni di salute iniziano a peggiorare e poco servirà un soggiorno a Nizza. Nonostante questo il 1919 sarà un buon anno per il suo lavoro: cominceranno ad arrivare persino i primi riconoscimenti.

 

Siamo ora nel gennaio del 1920. Modigliani è sempre più stanco. Rifiuta i medici. Jeanne, nuovamente incinta, oramai a poche settimane dal parto, si vede costretta a chiedere aiuto a Zboroswski. Modì viene ricoverato all’Ospedale dei Poveri - Hospital de la Charité - dove, il 24 gennaio si spegnerà a causa di una meningite polmonare. Trascorrono meno di quarantotto ore e Jeanne, piena di disperazione, lo raggiungerà, gettandosi dal quinto piano. Aveva ventidue anni. Per interessamento del fratello, Amedeo e Jeanne dopo un po’ si ritrovano, riposando nella medesima tomba, nel cimitero Père Lachaise.

 

Impossibile guardare i suoi quadri, i suoi volti malinconicamente inclinati sul lungo collo, quegli occhi privi di pupille, senza andare a patti con la commozione.

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