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La montagna non è affascinante solo a Ferragosto o a Natale. Per evitare il sovraffollamento bisogna abbassare l’alta stagione e alzare la bassa stagione

In montagna i vuoti, troppo vuoti, della bassa stagione, si alternano i pieni, troppo pieni, dell’alta stagione. Un’onda umana che, a forza di infrangersi sui rilievi per poi ritirarsi dopo appena qualche giorno, rischia di eroderli

di
Pietro Lacasella
09 novembre | 18:00

C’è un’esperienza che tutti, prima o poi, dovrebbero fare: visitare le capitali del turismo alpino in questa stagione.

È una cosa che provo a fare ogni anno. E così la settimana scorsa, insieme a un amico, ho organizzato un viaggio in bicicletta che, nel suo dipanarsi, toccava anche Passo Rolle.

 

Pedalando a bordo strada siamo stati superati da una manciata di automobili. Anche quando siamo giunti sul valico, avvolti dai colori dell’autunno, le presenze umane scarseggiavano: qualche turista intento a passeggiare, due ragazzi che, come noi, viaggiavano in bicicletta, un fotografo attratto dallo sviluppo aguzzo del Cimon della Pala, e un incessante viavai di operai e di tecnici intenti a rammendare le strutture predisposte per l’ormai prossima (anche se non si direbbe, considerate le temperature e la pressoché totale assenza di neve) stagione invernale.

 

Le strade erano quindi deserte, come le piste da sci sul cui margine sonnecchiavano gli impianti e centinaia di cannoni: un vero arsenale, pronto a trasformare l’acqua in neve.

 

A differenza delle località turistiche balneari, a mio parere i territori montani più gettonati, in bassa stagione, non trasmettono un’analoga sensazione di malinconia. Tutt’altro: l’arrivo del freddo, come un canovaccio, sembra donare al paesaggio un aspetto rinnovato. Più luminoso.

Tuttavia invitano anche a riflettere, perché l’atmosfera placida in cui sono immersi in queste settimane evidenzia l’aspetto bifronte che spesso hanno assunto: ai vuoti, troppo vuoti, della bassa stagione, si alternano i pieni, troppo pieni, dell’alta stagione. Un’onda umana che, a forza di infrangersi sui rilievi per poi ritirarsi dopo appena qualche giorno, rischia di eroderli.

 

Ma non potrebbe essere altrimenti, perché il turismo è un’economia nata assieme al tempo libero: le ferie, come sappiamo, per molti si concentrano in periodi specifici. Destagionalizzare è un obiettivo importante, perché garantirebbe una frequentazione più omogenea, distribuita con equilibrio durante l’anno. Ma per affrancare i territori dal peso del turismo di massa, bisogna prima lavorare su dinamiche di carattere sociale, destrutturando le ciclicità che danno il ritmo alle vacanze. Una regolarità che, tuttavia, è spesso connessa a ricorrenze o a dinamiche climatiche (come ad esempio il caldo estivo).

 

Insomma: è dunque un traguardo non semplice da raggiungere, ma questo non è un buon motivo per tirare i remi in barca. Iniziano infatti a proliferare realtà lavorative più fluide, meno vincolate alle festività. Lavorare su queste fasce sociali, renderle consapevoli che la montagna non è affascinante soltanto a Ferragosto oppure a Natale, potrebbe essere un buon inizio per abbassare l’alta stagione e alzare la bassa stagione.

l'autore
Pietro Lacasella

Antropologo e scrittore interessato ai contesti alpini. Nel 2020 inizia a curare il blog Alto-Rilievo / voci di montagna. Ha lavorato per il Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua. Ha riorganizzato e curato i contenuti della testata online del Club alpino italiano Lo Scarpone. Oggi collabora con Il Dolomiti curando il quotidiano online L’AltraMontagna. Ha pubblicato Sottocorteccia, un saggio-diario sull’emergenza bostrico scritto a quattro mani con Luigi Torreggiani. Ha curato Scivolone olimpico, un volume sulla vicenda della pista da bob in programma di realizzazione a Cortina.

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