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Attualità

La dimensione "coloniale" della Diga del Vanoi. Varotto: "Dobbiamo mettere sullo stesso piano le necessità della pianura e della montagna"

Mauro Varotto, geografo dell’Università di Padova e membro del Comitato Scientifico de L’AltraMontagna: "Per superare questo schema dominante-dominato che ha ormai una vita secolare è necessario un confronto alla pari con le esigenze del territorio locale: più che piazzole di sosta per turisti o una viabilità per mountain bike, è importante che ogni intervento abbia ricadute che garantiscano l'abitabilità dei territori, senza dipendere dal supposto turismo lacuale"

di
Michele Argenta
17 luglio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Parlare della diga del Vanoi non significa parlare solo del progetto di fattibilità. Non si può trattare solo di metri cubi di acqua, dell’impatto sugli argini o della produzione elettrica. Bisogna adottare uno sguardo multidisciplinare e capire come un invaso in montagna non rappresenti solo un’operazione di stoccaggio d’acqua. Con l’aggravarsi della crisi climatica, l’intensità e la frequenza degli eventi estremi è destinata ad aumentare. Mauro Varotto, geografo dell’Università di Padova e membro del Comitato Scientifico de L’AltraMontagna sottolinea tre punti essenziali su cui ragionare quando si parla del Vanoi.

 

1 - Serbatoio e lago non sono la stessa cosa

Spiega Varotto: "Nello studio di fattibilità compare 17 volte la parola “serbatoio” e altre 17 volte la parola “lago”. Quando si parla di “lago” si ragiona in termini di fruibilità sociale e turistica mentre quando si parla di “serbatoio” si scende in aspetti tecnici di gestione dell'invaso; come ammoniva sin dagli anni Cinquanta il grande geografo Lucio Gambi, il serbatoio non è un lago: non si comporta come un lago. Non è solo una differenza semantica, mette in evidenza una prima criticità di fondo nella gestione dell'opera, che ovviamente ha come obiettivo primario la funzione di serbatoio idrico, non di lago. Questo subordina o mette a repentaglio le altre funzioni connesse all'idea di lago, a meno che non vi sia un accordo sulle esigenze di regolazione che metta tra le funzioni primarie anche quella legata alla fruizione turistico-sociale del bacino".

 

La fruizione turistica dell’invaso viene riportata nel capitolo 5.3 della “Relazione ambientale” dove viene suggerito come “si può sfruttare la esistente strada della Cortella, ora inaccessibile, come percorso ciclopedonale. A seguito dei lavori della diga sarà fruibile. La strada verrà prima messa in sicurezza con rete di protezione anti-massi e poi attrezzata con panchine e strutture per il loisir (percorso vita) [...]

 

2 - Notevole vantaggio a valle di un'opera che si colloca a monte

Continua Varotto: "Questa frase estrapolata dalle relazioni disponibili svela l'asimmetria territoriale alla base del progetto, che serve innegabilmente alla crisi idrica e climatica della pianura (peraltro sempre più drammatica), prima che alla montagna (qui ancora concepita prioritariamente in termini di risorsa più che come luogo di vita). Da questa frase emerge, ancora una volta, la dimensione "coloniale" dell'intervento, con un centro (lo Stato, la città, la pianura densamente popolata, l'agricoltura industriale) che determina le sorti delle periferie mediante progetti presentati "a scatola chiusa" (finora sono stati tenuti all'oscuro di tutti i passaggi gli enti territoriali coinvolti dall'intervento), salvo poi proporre compensazioni piuttosto risibili, in termini di viabilità cicloturistica o turismo dolce sul lago (vedi punto precedente). Per superare questo schema dominante-dominato che ha ormai una vicenda secolare è necessario un confronto alla pari con le esigenze del territorio locale, mettendo sullo stesso piano le necessità della pianura e della montagna: più che piazzole di sosta per turisti o una viabilità per mountain bike (d’interesse ancora una volta per l’uomo urbano), è importante che ogni intervento abbia ricadute che garantiscano l'abitabilità dei territori, senza dipendere dal supposto turismo lacuale (se il lago non è un lago, il turista prima o poi se ne accorgerà).

Tra le azioni che possono avere reali ricadute sul territorio si possono citare canoni adeguati per i servizi sociali, il mantenimento di servizi essenziali come scuole, banda larga, servizi sociosanitari, meccanismi di concertazione nell'utilizzo del serbatoio o la creazione di una comunità energetica che gestisca la produzione idroelettrica a livello locale".

 

L'invaso del Vanoi e quello dello Schener

 

3 - Acqua in cassaforte

Conclude Varotto: "La necessità di mitigare i picchi estremi legati ai cambiamenti climatici richiederà sempre di più in futuro questo genere di interventi, che servono a conservare l'acqua ma anche a mitigare/laminare i picchi di piena (paradossalmente il maggiore vantaggio di questo invaso lo ottiene il comune di Valbrenta e l'abitato di Valstagna, ora ad alto rischio idraulico, più che il Vanoi). Ma gli interventi “ecotecnici” come questo dovrebbero accompagnarsi a strategie “ecotattiche”, ovvero a comportamenti e azioni di adattamento e mitigazione anche a valle della diga, che riducano i fabbisogni idrici dell'agricoltura industriale, il consumo di suolo, la concentrazione demografica, gli esosi consumi urbani. Invece che portare acqua all'uomo che vive in una pianura sempre più assetata ed energivora, perché non immaginare di portare l'uomo all'acqua, favorendo il ripopolamento della montagna con politiche e progetti di sviluppo sostenibile e manutenzione del territorio?

Il fallimento di un certo modello di sviluppo richiede un ripensamento radicale delle sue esigenze, e degli stili di vita che le determinano, che continuano ad essere sempre le stesse, senza ripensamenti. Tanto ci pensa la montagna a salvarci, ma la montagna e i montanari non sono più disposti a pagare il conto".

 

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