Una nuova Legge sulla montagna sarà discussa in Parlamento. Necessaria? Rischiosa? Ne parliamo con Marco Bussone, Presidente UNCEM
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, ha recentemente annunciato l’approvazione in via preliminare, da parte del Consiglio dei Ministri, di un "Disegno di legge per riconoscimento e la promozione delle zone montane", che è solo l'ultima delle tante proposte normative sulla montagna depositate negli anni in Parlamento. Ma è davvero necessaria? Quali punti fermi dovrebbe contenere e cosa, invece, evitare? Ne abbiamo parlato con Marco Bussone, Presidente di UNCEM - Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Da diversi anni ormai si discute della necessità di una nuova "Legge nazionale sulla montagna".
A questo proposito, lo scorso Ottobre, il Ministro Calderoli ha annunciato l’approvazione in via preliminare, da parte del Consiglio dei Ministri, di un "Disegno di legge per riconoscimento e la promozione delle zone montane". Il provvedimento dovrebbe definire esattamente cosa significa "montagna" dal punto di vista legislativo e stanziare, per le aree che ricadranno in tale definizione, "importanti misure a sostegno dei territori".
“L'obiettivo è riconoscere e promuovere le peculiarità delle zone realmente montane, assicurando la tutela dei diritti civili-sociali in quei territori e garantendo un reale godimento dei servizi pubblici essenziali ai cittadini come scuola e sanità” ha spiegato Calderoli, sottolineando la volontà di “prevedere incentivi allo sviluppo economico e delle imprese, con agevolazioni per favorire i giovani e il ripopolamento dei territori montani”.
Quella annunciata dall'attuale Ministro per gli affari regionali e le autonomie è solo l'ultima delle tante proposte normative sulla montagna depositate negli anni in Parlamento (circa 20). Ma è davvero necessaria una nuova “Legge nazionale sulla montagna”? Quali punti fermi dovrebbe contenere e cosa, invece, dovrebbe evitare? Ne abbiamo discusso con Marco Bussone, Presidente di UNCEM - Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, che ha recentemente diffuso un questionario per raccogliere le necessità e le urgenze dei territori proprio in previsione della discussione della nuova Legge.
Perché c’è bisogno, oggi, di una nuova Legge sulla montagna? Quali lacune sono da colmare nell’attuale normativa?
L’ultima legge sulla montagna è del 1994. È vigente e inattuata. Tre decenni non hanno dato gambe a quella norma, che ha bisogno di aggiornamenti, di verificare “i segni dei tempi” e di affrontare le sfide della crisi demografica e climatica, intrecciate tra loro.
Non è vero però che da allora non si è fatto niente. Penso alla legge sui piccoli Comuni del 2017, al Testo unico forestale del 2018, alla legge sulla green economy con le Green communities. Nel nuovo articolato vanno rilanciati due fronti. Il primo riguarda l'attenzione fortissima, culturale e sociale, che registriamo come mai prima per la montagna e i territori. Il secondo è connesso invece a una serie di numerose “buone pratiche”, progetti e impegni di tantissimi Comuni, realizzati da soli o insieme ad altri, che devono ora tradursi in Politiche durature ed efficaci, con indicatori, obiettivi, visione, strategie. E poi servono nuove leggi regionali su montagna e foreste che negli ultimi anni le Regioni non si sono date.
Secondo UNCEM quali dovrebbero essere i punti fondamentali, irrinunciabili, della nuova Legge?
Un nuovo articolato deve a mio giudizio unire tre aspetti.
Il primo riguarda la riorganizzazione del sistema istituzionale, ovvero di come i Comuni montani possono lavorare insieme, dopo che molte Regioni hanno chiuso le Comunità montane e non hanno più un livello istituzionale “di valle”. Anche dove esistono le Unioni montane di Comuni, in alcune Regioni, occorre precisare meglio che lavorare insieme tra Enti, piccoli e grandi, fa la differenza. Il secondo: agire sui servizi. Scuole, trasporti e sanità in primis. Investendo dove sono carenti, potenziandoli ove sono sotto certi livelli di adeguatezza rispetto ai bisogni delle comunità. Terzo: agire sulla leva fiscale, sia per gli Enti locali, sia per le imprese. Non basta dire, "facciamo la fiscalità differenziata" in montagna. Si deve agire con efficacia, nei limiti di uno Stato che ha non poco debito pubblico e che però deve riconoscere peculiarità geografiche e sociali.
Dietro al termine "valorizzazione" la montagna ha talvolta subìto progetti e modelli urbanocentrici o desueti rispetto, ad esempio, agli scenari futuri nel contesto della crisi climatica e ambientale. C’è il rischio che questa legge porti in montagna elementi negativi? Se sì, come fare per evitarli?
Non è una legge, non sono le leggi - da sole - che "salvano" la montagna.
Nuove generazioni di Amministratori pubblici dovranno essere formate dando loro piena consapevolezza di essere decisori - insieme di colleghi del territorio - fondamentali per affrontare crisi climatica e demografica. Dunque una legge o un fondo, fosse anche di miliardi di euro l’anno, non bastano. Sono strumenti, legislativi e finanziari, che poi hanno bisogno di uno scatto culturale, di visioni, di dialogo, di intrecci positivi e legami tra Amministrazioni pubbliche, imprese, terzo settore e scuole. Quest'ultimi sono a mio avviso i "quattro pilastri" di una visione diversa, o comunque i fronti che insieme devono condividere e decidere. Quando mi chiedono cosa sia la comunità, io descrivo questi "quattro pilastri" dicendo che nella comunità si condividono tempo e idee avendo i luoghi come riferimento. Vale anche per le aree urbane, certamente, ma nei Comuni piccoli di più. È un tema urgente e prezioso. Per evitare i rischi di negatività di una legge - possibili sia prima che dopo la stesura - si deve agire nel dialogo e nell’ascolto reciproco. Dal Ministro al ragazzo che va a lezione in quella scuola, fino al parroco, al farmacista, alla maestra, all’operaio. Questo percorso va costruito, non è certo semplice, ma proviamoci. Anche insieme ai media come voi: luoghi di informazione, riflessione e confronto che possono agevolare questo processo.
Dalle parole del Presidente Mattarella a quelle del Papa, passando per la nuova Legge che si discuterà in Parlamento, le Terre alte sono ultimamente spesso al centro del dibattito pubblico e istituzionale. L’Italia si sta finalmente accorgendo del loro valore? E in questo momento di entusiasmo, che genera quindi anche una nuova spinta identitaria dei territori, c'è il rischio di accrescere la storica polarizzazione tra pianura e città da un lato e aree rurali e montane dall'altro?
La sensibilità per la montagna l’Italia l’ha avuta sin dalla Costituente, con l’articolo 44, la prima legge del 1952, le norme successive. Poi l’impegno dei territori nell’essere coesi anche sul piano istituzionale, non solo per fare battaglie sindacali, ma per riconoscersi e sentirsi meno fragili. Negli ultimi anni mi colpisce come sia in atto un dibattito bello, intenso, in crescita, anche schietto, sul futuro della montagna, dei beni naturali, delle foreste, dell’abitare, dei paesi. Una produzione culturale senza pari, molti nuovi mondi che ne parlano. Io credo che UNCEM debba porsi in ascolto, a volte anche più silenzioso di prima. Dialogare, conoscere, approfondire. Capire cosa stia succedendo, indagarlo. Il Presidente Mattarella e Papa Francesco, nel giro di un mese e mezzo, ci hanno dato carica, visione, speranze, fiducia. Dico sempre che prima di tutto, nelle nostre associazioni, dobbiamo stimarci a vicenda e ascoltarci. Lo dico in primis a me stesso. Vale anche sui territori, tra Sindaci. Questa per me è la base. Vale più di un investimento da qualche milione. È una dinamica comunitaria che mi pare imprescindibile. Per dialogare anche con le aree urbane, ad esempio, e stringere nuovi patti. Non è frammentando che è nata l’Italia e poi la Costituzione, bensì unendo e generando pensieri nuovi. Non sintesi o compromessi, ma terze vie tra stato e impresa (la comunità appunto), tra fusioni di Comuni contro municipalismo (le unioni di Comuni, infatti), tra grandi imprese e piccole che sono a rischio (e dunque la cooperazione di comunità), tra concentrazioni di interessi sull’energia e spoliazione (le comunità energetiche), tra riduzione dei beni collettivi naturali e abbandono (la valorizzazione dei servizi ecosistemici-ambientali e i crediti di sostenibilità). Esiste una terza via per superare molte storiche polarizzazioni. Le aree montane hanno anticipato le risposte ai cambiamenti. Stanno arrivando prima, come avvenuto in passato, per poter esistere ancora. Ecco allora cosa deve fare la Politica, a tutti i livelli, UNCEM compresa: favorire questa terza via che nasce dall’interazione, dal dialogo, dall’incontro. Una via difficile, certo, ma possibile e bella da intraprendere.