Contenuto sponsorizzato
Attualità

Gianni Rigoni Stern: da Asiago alla Bosnia Erzegovina per aiutare gli allevatori a ripartire dopo la guerra

Gianni Rigoni Stern è nato ad Asiago ed è uno dei figli di Mario Rigoni Stern. Legato al suo territorio, ha studiato scienze forestali. Attivo e impegnato sul fronte della conservazione delle malghe, è un profondo conoscitore dei pascoli e delle tecniche più aggiornate per la produzione del formaggio. Competenze che da sempre ha trasferito anche in altri ambiti, come quello della cooperazione internazionale con il progetto della “Transumanza della pace”

di
Camilla Valletti
16 febbraio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Gianni Rigoni Stern è nato ad Asiago ed è uno dei figli di Mario Rigoni Stern. Legato al suo territorio, ha studiato scienze forestali. Attivo e impegnato sul fronte della conservazione delle malghe, è un profondo conoscitore dei pascoli e delle tecniche più aggiornate per la produzione del formaggio. Competenze che da sempre ha trasferito anche in altri ambiti.

 

 

Perché l’hanno chiamata agronomo solidale?

 

Il 5 maggio 2023 ho ricevuto il “Premio SAT categoria sociale” e la giuria nella motivazione mi ha dato questo gradito appellativo di agronomo solidale, questa scelta  ha fatto riferimento impegno iniziato 15 anni fa per aiutare a ripartire, dopo le distruzioni di tre anni di guerra e altrettanti di profugato, gli agricoltori dell’alta collina e montagna del Comune di Srebrenica a nord-est nella Bosnia Erzegovina al confine con la Serbia.

Il tutto nasce dalla mia esperienza lavorativa presso la Comunità Montana ”Spettabile Reggenza dei Setta Comuni” ad Asiago, dove ho lavorato come funzionario per trent’anni nel settore del primario, seguivo la gestione dei boschi e degli alpeggi di proprietà dei cittadini con diritto di uso civico e l’attività degli agricoltori, essenzialmente allevatori di bovini, delegata dalla Regione Veneto alla Comunità Montana. Ho sempre cercato un rapporto diretto, sincero, stabile con il mondo contadino soprattutto verso quegli allevatori gestori di aziende che ricadevano nelle aree più marginali del mio Altipiano, in ambiti difficili dal punto di vista della pendenza del suolo e dalla piccola proprietà terriera.

 

 

Come ha condizionato la sua nascita in Altipiano con le sue scelte di vita e professionale?

 

La mia infanzia l’ho trascorsa nel cortile delle case a riscatto chiamate “Fanfani”. La mia famiglia fu assegnataria di un appartamento dove ho vissuto dal 1955 al 1964, mio papà lavorava all’Ufficio del Catasto, mia madre era casalinga e noi eravamo tre fratelli maschi. Ricordo il periodo che va dalle scuole elementari, fino alle medie inferiori come il più bello della mia vita, eravamo un numeroso gruppo di ragazzini che dopo la scuola giocava fino all’ora di cena. D’inverno si andava a sciare e d’estate si frequentava il torrente  Ghelpak a trenta metri di distanza dal cortile di casa e i boschi più prossimi. Nel 1965 poiché ad Asiago non c’erano le scuole superiori e chi voleva proseguire gli studi era obbligato a scendere nelle città di  pianura in collegio o presso qualche famiglia per tutta la settimana. Io scelsi di frequentare l’Istituto Tecnico Agrario a Lonigo nel basso vicentino. Ero attratto dallo studio delle scienze naturali e dalle attività delle produzioni agricole. Dopo l’ esame di maturità decisi di iscrivermi all’Università di Padova nel corso di Scienze Forestali. Dopo la laurea ed il servizio militare ho insegnato per 5 anni in un Istituto Professionale per l’Agricoltura e nel 1980 ho iniziato a lavorare in Comunità Montana. La montagna, il paesaggio, gli ambienti naturali e quelli creati dall’uomo agricoltore li ho vissuti dal didentro: in bosco a far legna da ardere per riscaldare la casa, a caccia con mio papà con la licenza fatta a 16 anni, raccogliere funghi, fare escursioni sulle vette più alte,  passeggiare nei boschi e nei pascoli di alpeggio. Per non parlare del lavoro estivo esercitato per tanti anni: quello della fienagione. Con i soldi guadagnati nel 1965 io e i miei fratelli acquistammo la prima lavatrice di casa.

 

 

Non avrebbe alcun senso chiederle quale eredità le ha lasciato suo padre dal momento che il suo lavoro e la sua politica sono improntate ai suoi valori. Piuttosto in cosa diverge, se diverge per qualche ragione?

 

Parlare del proprio padre è sempre difficile perché spesse volte ci sono ricordi ed aspetti che devono rimanere solamente fra noi due. Posso dire che mi ha sempre lasciato libero nelle mie scelte di studio e lavoro, è stato sempre presente e vicino a noi tre figli in modo imparziale fino alla sua morte. Amava passare tutti assieme con le nostre famiglie i giorni di festa o le ricorrenze particolari. Ci invitava a leggere il “Discorso della Montagna” nel Vangelo di San Matteo dove c’è l’essenza della vita dell’uomo. Un aspetto del suo carattere che ho invidiato è stato la calma con cui affrontava le situazioni difficili e la sua capacità di risolvere i problemi. Non ho memoria di divergenze importanti con mio papà.


Ci racconti come è nata l’esperienza di Transumanza della Pace dal Trentino

 

Spesso alcune scelte che si fanno sono legate al caso e il progetto della “Transumanza della pace” rientra in una casuale sommatoria di incontri tra il 2008 e il 2009. Il primo con lo scrittore-giornalista Paolo Rumiz e con l’attrice Roberta Biagiarelli che erano saliti ad Asiago ad incontrare mio papà gravemente ammalato che assistevo a casa . Mi hanno fatto conoscere in modo più preciso la guerra civile della Bosnia Erzegovina e mi hanno invitato a visitare la cittadina di Srebrenica e il  memoriale di Potocari. Viaggio che ho fatto nell’estate del 2009 con mia moglie, mi sono reso conto di cosa era rimasto dopo i tre anni di guerra e cosa la popolazione sopravvissuta dopo il genocidio ha trovato di ritorno dal profugato, terre fisicamente distrutte: case , stalle, prati e pascoli che non esistevano più. Tutto questo ha sollecitato in me la necessità di aiutare quelle popolazioni rurali portando la mia esperienza lavorativa. Ho prodotto un progetto che prevedeva l’aumento dei bovini allevati, il recupero dei prati e dei pascoli, l’assistenza agronomica e veterinaria. Il progetto dal titolo “Progetto per il recupero sociale, economico, paesaggistico dell’area rurale di Suceska e contrade limitrofe” di oltre 100 pagine, l’ho spedito a Roma ma si è perso nei meandri del Ministero degli Esteri negli uffici della Cooperazione Internazionale. Una sera, ecco il caso, mi incontrai con il Presidente della Provincia di Trento Lorenzo Dellai ad una cena di lavoro nella Valle dei laghi, gli raccontai questa mia esperienza in Bosnia. In breve il progetto rientrò fra i finanziamenti previsti per la cooperazione internazionale e il primo dicembre del 2010 sono partite per Sebrenica le prime 48 manze di razza rendena.

 

 

A Srebrenica si è compiuto il più grande genocidio d’Europa. Cosa ha voluto dire da un punto di vista dell’abbandono delle coltivazioni e della cura degli animali? Come si fa a ricostruire una pratica di sussistenza dopo la guerra e la sua devastazione?

 

La guerra in Bosnia inizia ufficialmente nel 1992 a seguito del referendum popolare in cui si dichiarava l’indipendenza della Serbia dopo il crollo dello stato di Jugoslavia e la formazione dei nuovi stati indipendenti: Slovenia e Croazia. Finirà nel 1995 con la firma dell’accordo di Dayton. Di fatto le tre etnie religiose presenti: ortodossa, mussulmana e cattolica si sono scontrate in una sanguinosa ed assurda guerra civile. Innanzitutto ci sono stati massacri crudeli della popolazione civile sia nelle città che nella campagna. In particolare a Srebrenica e nelle are e limitrofe si è compiuto un eccidio della popolazione civile definito dalla Corte dell’Aia genocidio. La popolazione rurale è stata sottoposta ad un assedio durato tre anni, numerose sono le testimonianze raccolte in più libri. Di fatto gli abitanti maschi di quell’area dai 12 anni  in su sono stati trucidati: circa 10.000 morti. Le donne furono portate profughe in territori lontani. In base agli accordi di pace sono ritornate nelle loro abitazioni intorno all’anno 2000. Tutte le abitazioni e gli altri annessi rustici sono stati bruciati e depredati, restano a tutt’oggi scheletri di case e stalle, i prati e i pascoli abbandonati dalle cure agronomiche si sono infestati di felce aquilina e di arbusti vari a seconda della vicinanza dei boschi. Tutto il patrimonio zootecnico è stato depredato, in pratica bisognava partire da zero. Ci sono stati aiuti per la ricostruzione delle case, in pratica la fornitura di materiale edile per circa un valore di 5.000/7.000 €. I lavori di ricostruzione sono stati fatti dagli stessi beneficiari; quando sono arrivato nel 2009 le case non avevano intonaci, servizi igienici, pavimentazioni, ora un po’ alla volta si sono sistemati con degli standard abitativi che non sono certamente come i nostri. Per quanto riguarda i prati e i pascoli è iniziata una complessa fase di recupero non ancora ultimata. In particolare come descritto nel mio libro "Ti ho sconfitto felce aquilina" si tratta di operare con diverse tecniche agronomiche associate al pascolo degli animali sia bovini che ovini e caprini. Aspetto fondamentale del progetto è riservato all’assistenza tecnica sia in forma collettiva presso le scuole elementari di Suceska dove sono stati trattati aspetti agronomici, di allevamento di bovini da latte, della salute degli animali con i veterinari che operano nella zona e presso le aziende con lunghi colloqui con i titolari affrontando anche temi di gestione famigliare.

Riassumendo questa attività di 15 anni con il sostegno della Provincia di Trento, l’Associazione Provinciale Allevatori di Trento, della Chiesa Valdese, del club Papillon e di tantissimi altri piccoli e grandi donatori sono riuscito a portare: 134 bovini di razza rendena, 3 trattori nuovi e l’acquisto parziale di altri 2, 5 motofalciatrici, 2 motocoltivatori, 3 voltafieno, 4 aratri, 2 botti per il diserbo del mais, 3 imballatrici, 4 rimorchi, 3 erpici, 4 frese, 1 pala, 1 lama per sgombero neve e permettere l’accesso alla scuola. Per le stalle ho acquistato 5 mungitrici a carrello a 2 secchi, 100 tazzette per l’abbeverata, una vasca refrigerante per il latte, filo e batterie per recinzioni elettriche; sono stati eseguiti interventi murari su vecchie strutture quali aperture di finestre, sistemazione delle poste e delle mangiatoie, ampliamenti e sostituzione del manto di copertura in amianto di 3 tetti oltre alle 3 stalle nuove finanziate in parte dalla Chiesa Valdese per 15 vacche da latte e 10 animali di rimonta ognuna. Ho fatto arrivare 500 dosi di seme di 3 tori rendeni ogni due anni. Recentemente ho acquistato un camion cisterna usato da 30q per la raccolta del latte organizzando il giro nelle varie contrade. Spero in un futuro non molto lontano di realizzare il mio sogno: costruzione di un caseificio.

SOSTIENICI CON
UNA DONAZIONE
Contenuto sponsorizzato
recenti
Attualità
| 22 gennaio | 19:45
A New Orleans si è verificata una tra le nevicate più importanti di sempre. "Il sistema climatico è complesso, non possiamo aspettarci che risponda in modo semplice e lineare. In un mondo sempre più caldo non è assurdo che si verifichino locali e temporanei eventi freddi con una frequenza addirittura più alta che in passato"
Attualità
| 22 gennaio | 18:00
La piana del Fucino, in Abruzzo, è uno dei principali poli spaziali europei. L'area è finita sotto i riflettori dei media perché ospiterà il centro di controllo del progetto "Iris2", una delle più importanti iniziative finanziate dall'Unione Europea per sviluppare una rete di satelliti dedicati a fornire connessioni internet sicure ai cittadini europei
Sport
| 22 gennaio | 13:00
Donato al Museo etnografico Dolomiti, è stato esposto dopo un’accurata ripulitura e manutenzione che lo ha portato all'originario splendore
Contenuto sponsorizzato