Sci elettrici: la polemica non accenna a placarsi. Ma la domanda è: il problema è il mezzo o il suo uso inappropriato?
Spesso le tecnologie arrivano senza il libretto di istruzioni. Questo è il cuore del problema. È quindi necessario avviare o potenziare i percorsi formativi affinché i territori vengano vissuti con maggiore consapevolezza.
C’è inoltre un aspetto da non trascurare: questa tecnologia potrebbe permettere di salire in montagna a chi pigro non è, ma che magari a causa di problemi fisici necessita di un aiuto e allo stesso tempo, però, non pretende la realizzazione di un'impattante infrastruttura per soddisfare le proprie velleità.
Proviamo ad aggiungere un po’ di complessità alla questione
La questione degli "sci elettrici" sta facendo molto discutere. E fin qui niente di strano. Ma proviamo ad aggiungere un po’ di complessità alla questione, cercando di non cadere nella tentazione di schierarsi.
Nella discussione avviatasi sotto agli articoli che abbiamo pubblicato, ho letto un commento, categorico, che mi ha particolarmente colpito: "Lo scialpinismo è fatica!"
Ecco, sebbene io stesso abbia sostenuto in più di un’occasione che la bellezza di alcuni paesaggi possa essere amplificata da una fatica sana, con questa affermazione non sono del tutto d'accordo.
Trovo profondamente piacevole faticare in montagna e non sono estraneo alle sensazioni benefiche offerte da un prolungato sforzo fisico: il senso di appagamento che ne consegue è impareggiabile.
Ciononostante, per quanto mi riguarda, andare in montagna sugli sci è anche e soprattutto altro: uno scorcio particolarmente suggestivo, gli elementi paesaggistici che testimoniano l'antico dialogo tra uomo-ambiente, una chiacchierata tra amici, i giochi di luce nati dall'unione tra alberi e sole, una fotografia ben riuscita, un profumo, un rumore, le impronte di una lepre sulla neve fresca, una vecchia masiera che, incrostata di ghiaccio, regge all'urto del tempo.
La fatica autoimposta (è inoltre bene ricordare) è un lusso contemporaneo che, tra l'altro, non tutti si possono permettere, perché c'è tanta gente che di fatica si sfonda già al lavoro, per arrivare a fine mese.
Il punto è questo: chi frequenta la montagna con finalità sportive, purtroppo, in molti casi (non sempre per fortuna), ha un approccio quasi esclusivamente "muscolare": oltre alla performance, c'è il vuoto. Le montagne si riducono così a un'enorme palestra a cielo aperto.
Insomma, credo sia quindi sbagliato riassumere nel termine “fatica” un’esperienza scialpinistica.
Leggendo i numerosi commenti sorgono spontanee altre riflessioni. In tanti stanno comparando questa tecnologia agli impianti di risalita. È tuttavia doveroso distinguere tra il supporto offerto da un piccolo dispositivo elettrico applicato sugli sci e un supporto composto da funi, piloni d’acciaio, cavi e cemento armato. Il primo offre una scorciatoia personale, il secondo può avere un’influenza su uno spazio collettivo. Un conto è un dispositivo che sicuramente potrebbe avere delle ricadute ambientali (soprattutto in fase di produzione) ma che non porta allo stravolgimento di un bene comunitario, un altro è un'infrastrutturazione capillare dei territori montani per finalità ludico-sportive.
C’è un altro aspetto da non trascurare: questa tecnologia potrebbe permettere di salire in montagna a chi pigro non è, ma che magari a causa di problemi fisici necessita di un aiuto e allo stesso tempo, però, non pretende la realizzazione di un'impattante infrastruttura per soddisfare le proprie velleità (un esempio è quello di Giovanni Montagnani, che abbiamo raccontato QUI).
Poi, come ha commentato qualcuno, verrebbe da chiedersi: “Ma si inizia a essere ‘duri e puri’ solo dal parcheggio? Le valli attraversate in automobile per raggiungere il punto di partenza non fanno parte della montagna?”
Per queste ragioni fatico a condannare gli "sci elettrici", ma c’è un però. Ed è un però importantissimo. Proprio come nel caso delle e-bike sono convinto che l'utilizzo di tali dispositivi debba essere accompagnato a un doveroso percorso educativo (come d'altronde avviene per scialpinismo o ciclismo privi di assistenza elettrica) in modo che vengano adoperati con la necessaria consapevolezza.
Spesso infatti le tecnologie arrivano senza il libretto di istruzioni. Questo è il cuore del problema. È quindi necessario avviare o potenziare i percorsi formativi affinché i territori vengano vissuti con cognizione di causa (anche per alleggerire il lavoro del soccorso alpino).
Il problema credo dunque non sia il mezzo, ma il suo uso inappropriato, che non dipende dal fatto che sia elettrico o meno.
Foto in apertura: E-Skimo
Antropologo e scrittore interessato ai contesti alpini. Nel 2020 inizia a curare il blog Alto-Rilievo / voci di montagna. Ha lavorato per il Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua. Ha riorganizzato e curato i contenuti della testata online del Club alpino italiano Lo Scarpone. Oggi collabora con Il Dolomiti curando il quotidiano online L’AltraMontagna. Ha pubblicato Sottocorteccia, un saggio-diario sull’emergenza bostrico scritto a quattro mani con Luigi Torreggiani. Ha curato Scivolone olimpico, un volume sulla vicenda della pista da bob in programma di realizzazione a Cortina.