Pannelli solari in alta quota: una valida alternativa all’eolico e all’idroelettrico? Tra entusiasmi e opposizioni la Svizzera dà il via ai primi impianti
La Confederazione Elvetica, nell’ottica del proprio percorso di transizione alle energie rinnovabili, ha deciso di sostenere la realizzazione dei primi grandi parchi solari sulle Alpi, impianti dotati di innegabili vantaggi energetici, ma che non mancano di criticità. Invece in Italia, il paese del Sole per eccellenza, al momento non c’è alcun dibattito al riguardo
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La scorsa estate è iniziata la costruzione del primo grande parco solare sulle Alpi svizzere, a Sedrun nel Cantone Grigioni. L’impianto sarà composto da 5.700 pannelli solari su una superficie di circa 300mila metri quadrati e avrà una capacità di produzione di 19,3 Megawatt, sufficiente a coprire il fabbisogno di 6.500 famiglie. Il progetto, dal costo previsto di 85 milioni di Franchi (poco più di 90 milioni di Euro), è stato approvato in votazione pubblica dalla comunità locale e ha ottenuto anche il benestare delle associazioni ambientaliste, che hanno valutato positivamente l’attenzione al contenimento dell’impatto visivo del parco solare e la sua ubicazione su un versante già antropizzato, sul quale già si trovano piste e impianti sciistici, strade di servizio, barriere paravalanghe.
Quello grigionese è il primo progetto avviato di una serie di altri cinquanta presentati a seguito della modifica urgente della legge sull’energia grazie alla quale il Parlamento svizzero ha deciso di favorire la realizzazione di grandi impianti fotovoltaici sulle Alpi. Impianti che, nelle intenzioni, dovrebbero essere in grado di generare almeno 2 dei 45 terawatt/ora all’anno di cui il Paese avrà bisogno nei prossimi decenni, nell’ottica delle proprie politiche di contenimento dell’uso dei combustibili fossili e di transizione alle energie rinnovabili. Per arrivare a una produzione complessiva in Svizzera di 2 terawatt la Confederazione garantirà un finanziamento pubblico del 60% agli impianti che generano almeno 500 chilowattora e una produzione annua minima pari a 10 gigawattora. La condizione è che i progetti vengano depositati entro il 2025 e sino a raggiungimento dell’obiettivo. Bisogna segnalare che ad oggi solo quattro di quei cinquanta progetti presentati hanno ottenuto i necessari permessi di realizzazione.
La realizzazione dei parchi solari in quota, principalmente sui versanti esposti a meridione, possiede tre vantaggi sostanziali: un’insolazione maggiore rispetto agli impianti di pianura e a minor quota, l’ubicazione che evita le nebbie invernali sovente presenti alle basse quote – il che permette agli impianti di produrre la metà dell’energia in inverno, quando è più necessaria e altre fonti di produzione energetica calano l’efficienza – e la maggiore efficienza generale dei pannelli grazie alle basse temperature dell’alta montagna: dai test eseguiti dalle aziende energetiche risulta che la resa invernale dei pannelli solari bifacciali in altitudine è fra il 30 e il 70 per cento più alta che in pianura. Di contro, il primo e più evidente svantaggio di questi parchi è l’impatto visivo sui versanti montuosi che li ospitano e sul loro paesaggio: nel caso del parco solare di Sedrun la disposizione dei pannelli è stata studiata per diminuirne il più possibile la visibilità dai pendii vicini, al punto che la responsabile del WWF Grigioni Anita Mazzetta ha dichiarato che "L’ubicazione è ben scelta, su un terreno già sovrasviluppato, tra le piste da sci e le barriere antivalanghe. Non ci sono grandi conflitti con la natura o col paesaggio".
Altrove le proposte di parchi solari nei territori montani svizzeri non sono state accolte con pari consenso come a Sedrun: molte sono state respinte dalle comunità locali, mentre altri progetti, ad esempio quello previsto sul Passo del Bernina a poca distanza dal confine italiano, è stato ridimensionato a seguito delle resistenze delle organizzazioni ambientaliste. In ogni caso da uno sguardo complessivo a tali progetti pare intuibile la strategia attraverso la quale la Svizzera intende muoversi al riguardo: impianti in zone già antropizzate e prive di particolari valenze naturalistiche, ad esempio come quelle sulle quali già insistono comprensori sciistici, e con la produzione energetica destinata innanzitutto al fabbisogno delle comunità locali, il che dovrebbe anche servire a limitarne l’estensione e di conseguenza l’impatto ambientale. A tutto ciò si aggiunge l’altro ambito della produzione energetica fotovoltaica nel quale la Svizzera già da tempo sta realizzando numerosi progetti, quello dell’installazione di pannelli solari sui muri di alcune grandi dighe alpine da parte delle stesse società dell’energia idroelettrica: si tratta di impianti relativamente piccoli (il più grande, quello della diga di Muttsee, produce 2,2 MW, quasi nove volte meno del parco solare di Sedrun), ma virtualmente replicabili su quasi ogni sbarramento montano e con l’evidente vantaggio di utilizzare manufatti già esistenti senza occupare terreno naturale libero in quota.
Perché è interessante valutare come la Svizzera si stia muovendo su tale questione? Perché nel cammino verso la necessaria transizione energetica quella dei parchi solari in quota è un’opzione che potrebbe essere presa in considerazione anche in Italia, ancor più per il fatto di avere a disposizione il versante meridionale delle Alpi, quello maggiormente baciato dal Sole.
Tuttavia al momento pare non essere attivo alcun dibattito sul tema tanto nel panorama politico quanto nell’opinione pubblica. Vero è che su scala nazionale l’Italia, protesa col proprio territorio verso meridione con le sue aree massimamente assolate, ha meno bisogno della Svizzera di recuperare spazi sfruttabili sulle montagne per l’installazione di pannelli solari; di contro, come osservato, la produzione fotovoltaica alpina sulle montagne svizzere è mirata ai fabbisogni locali e in Italia è proprio nelle vallate alpine – Valle Stura, Valle di Viù, Val Soana, Vanoi – che si stanno ipotizzando nuove dighe con relativi invasi: l’energia ricavabile da parchi solari non sarebbe paragonabile in quantità a quella idroelettrica, ma avrebbe costi estremamente più bassi, rapidità e facilità di realizzazione, capacità di coprire i fabbisogni dei territori che li ospiterebbero, oltre a un generale minor impatto ecologico e ambientale. Ciò non per perorarne la realizzazione, ma per evidenziare quanto sia in effetti piuttosto sorprendente che in Italia – il paese del Sole per eccellenza - non se ne parli ancora. Proprio a tal proposito, seguire quanto avviene nella Confederazione Elvetica risulta e risulterà senza dubbio interessante e istruttivo per valutare al meglio, nel caso in cui anche in Italia si avvierà un dibattito al riguardo, i pro e i contro della questione “sfruttando” la consapevolezza acquisita dall’esperienza svizzera, soprattutto a vantaggio dell’opinione pubblica e ancor più della salvaguardia, sempre più necessaria, dei paesaggi montani.