La montagna ridotta a fast food. Il turismo “mordi-e-fuggi”, un male in costante diffusione per le località montane e che va fermato al più presto
Sono sempre più frequenti le denunce e gli allarmi riguardanti situazioni di sovraffollamento turistico, il cosiddetto overtourism, nelle località montane e non solo in quelle maggiormente rinomate. È un fenomeno a volte malauguratamente alimentato dagli stessi amministratori locali attraverso progetti turistici che fungono da attrattori, e che in fondo rivela una preoccupante carenza di cultura del territorio e di sensibilità verso il suo paesaggio. Si può evitare questo pericolo? E come?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
"Il problema del turismo mordi e fuggi esiste ed è percepibile dal 2020. All’epoca non si poteva viaggiare a causa del coronavirus e si era sviluppato il trend dei camper. Fin qui nulla di male, anzi: il Comune vive di turismo e ha bisogno dei turisti. Parallelamente si è però sviluppato il turismo dei selfie nell’area della cascata di Staubbach, che implica moltissime persone che vanno a sommarsi a quelli che soggiornano da noi. È il nuovo segmento di ospiti che al momento ci causa qualche problema. Gli altri siamo preparati per accoglierli e sono i benvenuti. Questi invece di solito vengono da noi con una macchina in affitto, entrano in valle e intasano il nostro villaggio creando il caos. E naturalmente dopo aver scattato le loro foto ripartono immediatamente".
Sono parole (di qualche giorno fa) di Karl Näpflin, sindaco di Lauterbrunnen, località del Canton Berna, in Svizzera, famosissima per essere al centro di una valle alpina dai cui fianchi rocciosi cadono decine di copiose cascate d’acqua (pare siano ben settantadue!) al punto da essere ritratta un soggetto costante del marketing turistico svizzero. Con le conseguenze denunciate dal sindaco del comune: over tourism fuori controllo, traffico, caos, rumore, degrado paesaggistico e disagio per i locali, con il rischio che pure la bellezza e il fascino del luogo ne vengano intaccati. Conseguenze peraltro ormai comuni a tutti i luoghi che, per scelta o loro malgrado, subiscono il sovraffollamento turistico.
Anche a Lauterbrunner ora si pensa all’istituzione di un ticket di accesso al paese per limitare i flussi turistici, come già attuato e pensato altrove: ma a meno di fissarlo a un costo veramente alto, forse efficace ma ben poco etico per come danneggerebbe i visitatori meno abbienti che avrebbero il diritto di godere del luogo come quelli benestanti (in ogni caso al momento si parla di 5 o 10 franchi), sorgono parecchi dubbi che una misura del genere in un luogo come Lauterbrunnen possa risultare uno strumento efficace di controllo e gestione del sovraffollamento che lo attanaglia. In circostanze del genere il rischio, oltre a quello citato poco sopra, è che venga colpito soprattutto il turismo interno e di prossimità (che per certi aspetti avrebbe maggiore “diritto” di visitare il luogo) piuttosto di quello estero, che in luoghi come Lauterbrunnen rappresenta il grosso dei visitatori e che nemmeno si accorgerebbe del pagamento del ticket, compreso nel costo del tour insieme a mille altri servizi all inclusive.
Tuttavia, al netto di tale questione che comunque diventerà sempre più all’ordine del giorno anche in Italia, il suo vero punto nodale – a mio parere – anche più della quantità è la qualità che connota il modello turistico alla base del sovraffollamento: il mordi-e-fuggi di quelli che "dopo aver scattato le loro foto ripartono immediatamente" come afferma il sindaco Näpflin. Un modello devastante – ad eccezione di quelli che lo gestiscono, ovviamente – soprattutto per luoghi di pregio tanto quanto delicati come quelli di montagna ma che in moltissimi casi è il modello al quale puntano certi progetti, iniziative, idee, manufatti e infrastrutture che così spesso vediamo proporre o realizzare sui monti. È il turismo dei selfies, dei posti belli solo se “instagrammabili”, dei panchinoni giganti, dei ponti tibetani e delle installazioni turistiche similari che esauriscono la propria attrattiva nell’arrivare (in auto) nei paraggi, starci sopra per qualche momento, farsi un autoscatto, postarlo sul social media preferito e addio.
D’altro canto, a ben vedere, la colpa non è nemmeno della panchinona gigante o del ponte tibetano ma della totale assenza, da parte di chi pensa, sostiene e realizza, di un progetto culturale strutturato che utilizzi il manufatto unicamente come primo passo ludico di un percorso di autentica scoperta, conoscenza, comprensione e fidelizzazione del turista nei riguardi del luogo dove si trova. Qualcosa, dunque, che vada ben oltre alla mera fruizione ricreativa del luogo così come all’acquisto del panino o del souvenir negli esercizi locali, ma che informi e educhi il turista alla bellezza e al valore culturale del luogo, facendogli scoprire e apprezzare le sue peculiarità e i buoni motivi per i quali potrebbe e dovrebbe ritornarci a prescindere dalla presenza di qualche divertente e banale attrazione turistica. Inutile dire che ogni luogo di pregio, come lo sono tutti quelli montani, ha proprie peculiarità referenziali e identificative sulle quali poter sviluppare in innumerevoli forme un turismo consapevole e radicante nel luogo rispetto a quello mordi-e-fuggi che il luogo tende solamente a consumarlo e quindi degradarlo. Un turismo virtuoso che per sua natura non si può trasformare in sovraffollamento e che parimenti appare veramente positivo per il luogo e per l’economia locale nonché sostenibile per il territorio e la comunità che ci vive. Un turismo che per tali motivi, come già accennato, facilmente fidelizza il visitatore al luogo perché riesce a trasmettergli e fargli comprendere la sua bellezza e le valenze peculiari che offre nell’alterità con altri luoghi simili, quando viceversa il turismo mordi-e-fuggi comporta regolarmente un’omologazione e un appiattimento generale dei luoghi, i quali diventano utili solo come sfondo alla foto da postare sui social o come spazio da fruire in modi esclusivamente ludici per il poco tempo nel quale ci si sta (spesso senza nemmeno sapere dove ci si trova e cosa si abbia intorno) e poi rapidamente dimenticati. Un turismo, insomma, che inizialmente fa cantare vittoria a quelli che lo sostengono (a volte politici e amministratori locali) che giustificano il proprio entusiasmo con gli alti numeri di visitatori conseguiti ma che, in breve tempo e stante rimarcata la scarsa o nulla qualità della frequentazione del luogo, finisce per banalizzarlo, degradarlo e per svilirne inevitabilmente l’immagine e l’appeal turistico.
È un modello turistico da contrastare in ogni modo, insomma, soprattutto nelle località montane: se non è in grado di farlo la politica locale, i cui interessi sovente contrastano con quelli legati alla buona gestione del territorio amministrato, deve essere in grado di farlo la comunità residente, facendosi massa critica e sfuggendo al pericoloso specchietto per le allodole dell’equazione “tanti turisti = tanto guadagno”. Non è mai così e in ogni caso il vero “guadagno”, quello che dona prosperità a lungo termine all’intera comunità, sta sempre nella salvaguardia della bellezza del paesaggio e dell’equilibrio ambientale del luogo, che comporta un conseguente benessere dei suoi abitanti nel viverlo. Un patrimonio fondamentale del quale i locali sono i primi custodi e che, se degradato e scialacquato eccessivamente, mai nessuna "montagna" di soldi potrà recuperare e rigenerare.
(L'immagine fotografica in testa all'articolo è di Maximilian Jaenicke da Unsplash.)