Sulle tracce dei camosci tra montagne innevate: racconto di una giornata fotografica indimenticabile
Cronache di un fotografo naturalista #02 / Nella seconda puntata della sua nuova rubrica per L'Altra Montagna, il naturalista e fotografo di natura Giacomo Radi ci porta sulle Alpi Graie innevate, alla ricerca del camoscio alpino
Questa notte ha nevicato sulle Alpi Graie e la Valle Orco abbaglia di bellezza. Il cielo è terso, ma le nuvole che giocano a rincorrersi promettono che la neve tornerà presto a far visita alle montagne, quindi dobbiamo affrettarci prima che l’uscita sia vanificata.
Ero già stato in inverno sulle Alpi a fotografare stambecchi alpini (Capra ibex), ma non avevo avuto fortuna con l’altro ungulato simbolo di questa catena montuosa, motivo per cui mi trovo di nuovo a ciaspolare in questi paesaggi. La neve leggera e farinosa sprofonda a ogni passo fino a divenire fragrante sotto il peso dello zaino fotografico.
Mentre il vento alza una nuvola bianca soffiando sul crinale, vedo comparire il primo camoscio alpino (Rupicapra rupicapra), incastonato in uno scorcio perfetto che mi dona la prima immagine di questa escursione. Nonostante la neve alta, il camoscio avanza senza apparente fatica e con invidiabile eleganza. I camosci, infatti, sono forgiati dalla montagna in migliaia di anni di evoluzione, rintracciabili in adattamenti fisiologici e morfologici che li hanno resi delle perfette creature di alta quota.
I primi fossili del genere Rupicapra risalgono al Pleistocene medio inferiore, tra 250 e 150 mila anni fa, ma i rupicaprini esistevano già 5-7 milioni di anni fa nel Miocene. Uno di questi adattamenti è la conformazione dello zoccolo bidattilo, che ha caratteristiche peculiari. I suoi bordi sono duri e affilati, per poter sfruttare come appoggio anche le più piccole sporgenze rocciose, mentre la parte anteriore dello zoccolo, coadiuvata dai morbidi polpastrelli, è rivolta verso il basso per aumentare l’attrito sul ghiaccio come dei ramponi. Le due dita che formano lo zoccolo sono divaricabili e munite di plica (una membrana) interdigitale, che aumenta la superficie di appoggio per un’andatura migliore sulla neve. L’equipaggiamento biologico da vero montanaro è completato da un cuore voluminoso, un elevato numero di globuli rossi (11-13 milioni per mm³ contro i 5 milioni dell’uomo) e una grande capacità polmonare che gli rendono possibile una rapida ed efficiente ossigenazione del sangue ad alta quota dove l’aria è più rarefatta.
Nicola* conosce bene la zona e seguendo alcune tracce mi porta su un sentiero che conduce a un versante su cui i camosci pascolano durante l’inverno. Nella stagione della neve questi animali si nutrono prevalentemente di graminacee secche, aiutandosi con gli zoccoli a farle emergere dalla coltre di neve. I camosci sono erbivori opportunisti, un po’ brucatori, un po’ pascolatori, quindi ricercano anche licheni sui tronchi e sulle rocce e aghi e germogli di conifere. La perfezione immacolata del suolo mi rapisce e ogni volta che avanzo rompendone la forma quasi me ne rammarico.
Raggiungiamo il lariceto perché le tracce proseguono lungo un sentiero che lo attraversa. Dentro il bosco il silenzio mi sorprende e ammanta gli alberi spogli, che lasciano cadere spolverate di cristalli ghiacciati. Aperto il sipario tra i tronchi rossastri, ecco un altro camoscio. Imperturbabile, osserva la vallata da uno sperone di roccia e poi comincia a osservarmi mostrandomi la guaina spezzata che riveste il corno osseo. Poi si allontana. Il periodo riproduttivo, che va da fine ottobre alla seconda metà di dicembre, è ormai concluso e questo camoscio potrebbe aver avuto un duro scontro durante il combattimento tra maschi per la conquista della femmina ed essersi parzialmente “mutilato”.
Le nuvole sono tornate a coprire le vette e il sole adesso è una sfera bianca leggibile. Poco lontano, la neve inizia a cadere. Decidiamo di scendere a ritroso godendoci la luce tenue che disegna le montagne ricoperte di larici e abeti rossi, lasciandoci alle spalle un paesaggio che sembra tagliato a metà: una foto in bianco e nero in basso a contrasto con una cianotipia in alto.
Dal crinale da cui siamo arrivati sta salendo un bel maschio dal caratteristico manto invernale scuro, che interrompe la sua attività e ci guarda col muso coperto di neve, incorniciato tra le rocce e le bacche di una rosa selvatica. Per lui siamo troppo vicini e lancia il fischio di allarme. Non lo avevo mai sentito prima dal vivo, ma più che un fischio vero e proprio è un soffio flautato che mi ricorda i miei tentativi maldestri di imitare il richiamo di una poiana. Dopo l’avvertimento sonoro e finalmente a suo agio su questo crinale, ci snobba e continua a salire, mentre noi lo fotografiamo in tutto il suo splendore.
La neve è arrivata e mi bagna il viso. Non siamo molto distanti dall’auto e certi di avere un riparo ci fermiamo per osservare lo scenario che diventa sempre più rarefatto. Per un animale di costa e collina come me, è un’occasione imperdibile per godersi suoni, colori e forme che poi diventeranno ricordi esotici e astratti, come il paesaggio impalpabile creato dalla neve che cade.
Su un roccione di granito, appaiono due camosci alpini che sembrano fondersi con l’ambiente. Un’ultima foto, quasi un disegno e un saluto agli spiriti dell’orizzonte montano, subalpino e alpino.
Era il Gennaio 2014 e quell’inverno cadde molta neve sulle Alpi.
* Nicola Destefano, amico, fotografo e grande conoscitore dell’area alpina del Parco Nazionale Gran Paradiso, mi ha accompagnato in questa escursione. Oltre alla bellezza di condividere momenti in natura insieme, è utile ricordare che è sempre raccomandabile uscire in compagnia in situazioni di potenziale pericolo, come in sentieri innevati che non si conoscono.
Naturalista e fotografo di natura. Si occupa di divulgazione scientifico-naturalistica, conservazione della natura e realizzazione di progetti legati alla tutela e promozione della biodiversità. Ideatore e direttore scientifico della rassegna “Le notti della natura” per i comuni di Scarlino, Follonica, Gavorrano e Parco nazionale delle colline metallifere (GR). Collabora con il Museo di Storia Naturale della Maremma e come esperto al programma GEO (Rai 3). Ha pubblicato per Quercuslibris “Di malerbe, tritoni, lucciole e altre storie”, un volume di racconti e fotografie.