Dagli attacchi ai lavoratori alle marce sulle città: le violenze fasciste del maggio 1922
La primavera del 1922 segnò un’ulteriore tappa nell’escalation delle violenze fasciste. Scontri con gli avversari, aggressioni, spedizioni e imboscate puntellano il mese, mentre le squadre puntano alla conquista delle città con delle prime e massicce marce sui centri della Pianura Padana. Continua l’avvicinamento al centenario della Marcia su Roma, con la rubrica “Cos’era il fascismo”
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TRENTO. Denso di episodi di violenza politica, il mese di maggio del 1922 segnò un’ulteriore tappa verso la conquista del potere da parte del fascismo e del suo carismatico leader Benito Mussolini, che a fine ottobre dello stesso anno, con una duplice azione diplomatica e muscolare, acquisirà dal re Vittorio Emanuele III il compito di dar vita ad un nuovo governo, ponendo così fine alla travagliata stagione liberale e dando avvio al Ventennio (QUI e QUI degli approfondimenti).
La cronaca delle violenze non può che prendere avvio dalle diffuse azioni contro i festeggiamenti del 1º maggio; dalle pagine de Il Popolo d’Italia, il giorno successivo Mussolini commentava trionfante: “Da trent’anni a questa parte, non vi fu mai, nella storia del socialismo italiano, il 1º maggio più squallido e funereo di quello del 1922”. Ma cos’era avvenuto nel corso della giornata festiva dedicata ai lavoratori?
Nel solco degli anni precedenti – e di quelli successivi, in cui il regime cancellò di fatto il 1º maggio sostituendolo con il 21 aprile, “Natale di Roma” (QUI l’articolo) – nel 1922 si acuirono le azioni di forza da parte squadrista nei confronti dei lavoratori, delle loro organizzazioni e delle loro sedi. Da Roma al Ravennate, da Rovigo al Novarese, passando per l’Umbria, la Toscana e la Puglia, le camicie nere sfruttarono la giornata di sciopero e di festa per assaltare e disperdere i cortei e le manifestazioni popolari.
La circolazione dei treni viene garantita dai fascisti, che non si lasciano perdere nemmeno un’occasione per reprimere l’atmosfera gioiose di quella giornata: a Rivabella di Zola Predosa, nel Bolognese, due fratelli perdono la vita e 8 loro compagni rimangono feriti in un’azione brutale dei fascisti. La loro colpa? Avere cantato inni socialisti in un’osteria. L’assalto ai ritrovi dei lavoratori, nondimeno, talvolta si ritorce contro gli stessi assalitori. A Ponticelli di Imola, uno squadrista rimane ucciso durante un’aggressione a un gruppo di socialisti a pranzo in osteria. Stessa sorte per ben 3 camicie nere, mortalmente ferite nel corso di un analogo episodio a Medigliano, nel Padovano.
Non sempre alle spedizioni e alle devastazioni fasciste, tuttavia, corrispondono reazioni violente da parte degli assaliti e la bilancia, in quel 1º maggio 1922, pesò ancor più verso le camicie nere, protagoniste di diffuse devastazioni su tutto il territorio nazionale. Due giorni dopo la Festa dei lavoratori, lo sciopero delle campagne del Bresciano viene stroncato dagli squadristi vicentini, giunti in massa con centinaia di crumiri per bastonare gli scioperanti. Le Camere del lavoro della zona, compresa quella di Brescia, vengono assaltate e distrutte.
Le spedizioni, nella primavera del ’22, sono costanti: il 4 maggio tocca alla Toscana, con devastazioni e pestaggi in tutta la regione. Il giorno 7 diversi episodi di violenza si registrano in tutto il Paese, con invasioni delle Camere del lavoro in Umbria, Toscana e Lombardia, mentre a Salerno i carabinieri si trovano a dover disperdere le numerose camicie nere mobilitate in città per assaltare un raduno di seguaci del ministro delle Colonie Giovanni Amendola.
A Tatti, nel Grossetano, tra il 22 e il 23 maggio la spirale di violenza lascia sul campo due comunisti, un repubblicano e un fascista. La cooperativa viene data alle fiamme e le abitazioni degli antifascisti perquisite e saccheggiate. Lo stesso 23 tocca a Venezia: la Camera del lavoro viene assaltata dai fascisti e negli scontri perdono la vita a calci e bastonate due lavoratori socialisti. Il 25, a Genova, il saccheggio di un caffè, ritrovo delle sinistre, e della sede locale dell’Avanti! provoca 6 feriti.
Aggressioni ad antifascisti, lanci di bombe contro la folla, imboscate e incursioni rapide e spesso letali nei paesi puntellano anche questo mese, in un’escalation che vuole gli squadristi convergere dalle campagne alle città. Il giorno 5 a Guastalla, nel Reggiano, un comizio dell’onorevole socialista Guido Albertelli viene interrotto dal lancio di una bomba a mano. Allo scompiglio provocato dallo scoppio segue la bastonatura del deputato. Il giorno 23, a Siena, tocca al suo collega Fabrizio Maffi, fuggito in auto da un’aggressione, raggiunto e malmenato.
Al centro del dibattito pubblico, la violenza politica produce scontri fisici anche in Parlamento. Il 10 maggio, infatti, il dibattito alla Camera sul diffuso illegalismo degenera in schiaffi e pugni fra i deputati fascisti e quelli socialisti, con il presidente dell’aula costretto a sospendere la seduta. Una settimana dopo, a Cremona, i fascisti del ras Farinacci interrompono il Consiglio provinciale, disperdendo i presenti.
Giovanissimi e quindi spesso improvvidi e inesperti, gli squadristi sono protagonisti anche di incidenti mortali: ciò accade il giorno 21 a un 18enne di Corticella, nei pressi di Bologna, seduto al bar con una pistola legata alla cintura. Avvicinato dai carabinieri, nel nascondere l’arma finisce per spararsi, uccidendosi. Il giorno 26 gli incidenti sono addirittura due. Il segretario del Fascio di Santa Viola, sempre nel Bolognese, rimane dilaniato da una bomba che si apprestava a scagliare contro una cooperativa. A Genova, invece, uno squadrista 19enne perde la vita di ritorno da una spedizione, colpito probabilmente da un camerata.
Come detto, dalla primavera del ’22 sono le città a finire nel mirino delle squadre d’azione. Numerose adunate degenerano in violenze contro militanti e organizzazioni antifascisti. A Firenze, il giorno 28, migliaia di camicie nere si riuniscono per un grande raduno dei fascisti toscani, alla presenza del segretario del Pnf Michele Bianchi, e analoga situazione si presenta a Padova. In tutti e due i casi, alle adunate corrispondono diffuse devastazioni e assalti a sedi socialiste e cattoliche.
Attorno alla memoria della Grande Guerra, nel giorno dell’anniversario dell’ingresso italiano nel conflitto (24 maggio 1915), si combattono battaglie non solo simboliche. A Roma un corteo con alla testa la salma di Enrico Toti, bersagliere divenuto celebre per aver lanciato una stampella al nemico, degenera in scontri per tutta la città, in particolare nel popolare quartiere di Testaccio. Perdono la vita due lavoratori, un fascista e due guardie regie, ma i feriti sono decine e gli arrestati centinaia. Nello sciopero antifascista proclamato in città nei giorni successivi, numerosi episodi di violenza producono 3 morti e 44 feriti.
Delle marce sulle città – che racconteremo in dettaglio nei prossimi articoli – coronano infine queste terribili settimane. Dal 12 al 14 tocca a Ferrara, dove il ras Italo Balbo guida un’agitazione di disoccupati, organizzandoli militarmente e prendendo così controllo della città. A Rovigo, tra il 19 e il 21 maggio, migliaia di camicie nere occupano il centro, in protesta contro la commissione parlamentare aperta dopo l’elezione a deputato dell’onorevole Ottorino Piccinato. Le forze dell’ordine rimangono a braccia conserte mentre la città è messa a ferro e fuoco dai fascisti.
La mobilitazione più consistente, però, interessò Bologna. Dal 27 maggio prende infatti avvio la marcia sul capoluogo emiliano. Il fascio cittadino delega a un comitato segreto un attacco decisivo alla città. Bloccata la circolazione dei servizi pubblici, gli squadristi assaltano le sedi avversarie, assediando infine la prefettura, in cui siede Cesare Mori. Le richieste di trasferimento del prefetto, più volte contestate per essersi fermamente opposto alle violenze, porteranno ad esiti positivi nel mese d’agosto. Sulla città, intanto, convergono gli squadristi di Modena e Ferrara, che per la strada non si risparmiano fra distruzioni e bastonature.