Dall’accordo italo-jugoslavo ai trasferimenti dei tedeschi dell’Est Europa: non ci fu solo l’Alto Adige tra le tante “Opzioni” del ‘900 europeo
Il 23 giugno 1939 Italia e Germania stipulavano l'accordo delle Opzioni con cui decine di migliaia di sudditi di lingua tedesca decidevano di rinunciare alla cittadinanza italiana e di trasferirsi nel Reich. Questa soluzione non venne utilizzata solo in Alto Adige, ma fu uno strumento piuttosto comune per risolvere questioni nazionali. E un caso interessò anche dei tirolesi di lingua italiana inviati in Bosnia
TRENTO. Il 23 giugno 1939, nella sede del Comando generale delle SS di Berlino, le delegazioni italiana e tedesca stipularono l’accordo con cui, oltre al rimpatrio dei cittadini ex austriaci (l’Austria era stata annessa con l’Anschluss nel marzo dell’anno precedente, QUI un approfondimento) e germanici, si stabiliva la possibilità per i cittadini di lingua tedesca delle province di Bolzano, Trento, Belluno e Udine di optare tra la conservazione della cittadinanza italiana rimanendo nelle proprie terre o l’acquisizione di quella tedesca con l’obbligo di trasferirsi nel Reich.
Le Opzioni, dunque, sancivano il tentativo delle due dittature di chiudere la questione sudtirolese attraverso uno strumento che permettesse di mantenere l’Alto Adige nei confini italiani e potesse saziare la “fame di uomini” del pangermanesimo nazista – cosa che trovò molti sudtirolesi, già predisposti verso l’autoritarismo, particolarmente entusiasti (QUI un approfondimento). Ma si trattava, quella degli spostamenti concordati, di una soluzione originale e innovativa?
L’Europa, specialmente ad Est, è sempre stata crogiuolo di culture e popoli, mescolati tra di loro in maniera tanto eterogenea ed irregolare da rendere ogni operazione di costruzione dei confini particolarmente complicata. Dal secolo XIX, però, l’imporsi del principio nazionale e della logica dell’omogeneità etnica degli Stati-Nazione ha posto non pochi problemi, a cui i trasferimenti di popolazione hanno cercato di ovviare.
Nel caso altoatesino, a determinare questo tipo di scelta, sancita con accordo verbale dagli organigrammi nazisti e dalla diplomazia italiana, furono alcuni aspetti determinanti: l’ammirazione di Hitler verso Mussolini e la considerazione hitleriana dell’Italia fascista come dell’alleato naturale della Germania nazista fecero calare sui 200mila tedeschi dell’Alto Adige “Die Parole des Schweigens”, la “parola d’ordine del silenzio”. Tale diktat resisterà fino all’8 settembre del 1943, quando la Wehmacht da tempo in transito dal Brennero per raggiungere il Sud Italia invaso dagli Alleati prese possesso della provincia di Bolzano, tra scene di giubilo della popolazione sudtirolese (QUI un approfondimento) ed una sanguinosa resa dei soldati italiani.
Lo storico Mauro Scroccaro scrive: “Sono ben quindici gli accordi ai quali ricorrerà la Germania di Hitler per sistemare ed ordinare etnicamente quando per ragioni diplomatiche o strumentali non le era stato fino ad allora possibile risolvere con atti di forza”. Accanto alle annessioni, la Germania nazista ricorre così ai trasferimenti per risolvere il problema delle minoranze tedesche sparse in giro per l’Europa, per un totale di circa 7 milioni di persone.
Fu la Germania nazista, però, la prima a stipulare accordi analoghi? No. Il primo trattato di trasferimento risale addirittura al 1817 e viene siglato da britannici e turchi per la cessione alla Turchia della cittadina greca di Parga, nell’Epiro. Quasi 800 famiglie, per un totale di oltre 5000 persone, abbandonano l’isola e vengono ospitati a Corfù, nell’attesa (eterna) degli indennizzi delle proprietà.
Passerà un secolo, circa, quando sempre la Turchia si renderà protagonista di altri trasferimenti concordati. Grandi spostamenti spontanei di popolazione si verificano nel corso delle guerre balcaniche, preludio della Grande Guerra. L’accordo turco-bulgaro, dunque, ne corona gli esiti sulla carta, formalizzando ciò che già era avvenuto nei fatti. Come noto, l’Impero ottomano, impegnato nelle operazioni di nation building su basi autoritarie e di forte omogeneizzazione etnica, aveva già imboccato altre strade, particolarmente brutali (su tutti lo sterminio degli armeni).
La popolazione greca, a questo punto, diviene principale oggetto degli scambi fra Turchia e Grecia, con cifre che nel primo dopoguerra raggiungono numeri impressionanti (tra accordi e spostamenti spontanei si parla di quasi 2 milioni e mezzo di persone). La Prima guerra mondiale, nondimeno, rappresenta un primo spartiacque.
Il territorio tirolese, d’altronde, non era stato del tutto estraneo a spostamenti di popolazione, come avrà modo di vedere l’Italia fascista. L’1 marzo 1939, a qualche mese dalla stipula delle Opzioni, il regime fascista conclude con la Jugoslavia un accordo riguardante la popolazione di lingua italiana residente nella prefettura di Banja Luka, nell’attuale Republika Srpska, la parte serba della Bosnia. Poco meno di 500 persone, tutte di origine trentina e partite come sudditi fedeli dell'Impero per il paesino di Mahovljani, sulle sponde della Sava, nel giro di qualche mese finiranno per partecipare alla colonizzazione dell’Agro Pontino.
Cosa ci facevano, d’altra parte, dei trentini in Bosnia? Inviati dall’imperatore in una zona caratterizzata dalle diatribe religiose fra musulmani e ortodossi, i tirolesi di lingua italiani dovevano assieme ad altri sudditi dell’Impero riequilibrare la demografia, portando con il loro credo cattolico un elemento di stabilità. Partiti nel 1883 dai propri paesi, specialmente da Rovereto, quegli emigrati trentini vennero trattati come potenziali cittadini italiani da rimpatriare. E così avvenne.
Se nella fase che va dal 1919 al 1938 furono poco meno di 800mila le persone trasferite sulla base di accordi internazionali, nel periodo successivo, dal ’39 al ’42, tali processi subirono un’accelerazione. Soprattutto in Europa centrale i trasferimenti coinvolsero oltre 900mila persone, avviate in molti casi verso una patria mai vista (Scroccaro).
Ad “aprire le danze” - per i soli tedeschi - sarà appunto l’accordo delle Opzioni. A questo ne seguiranno uno germano-estone (13mila tedeschi rimpatriati), uno germano-lettone (50mila tedeschi rimpatriati) ed uno frutto del patto segreto firmato con l’acerrimo nemico ideologico dell’Unione sovietica. In base all’accordo, nella Polonia spartita, quasi 135mila tedeschi vennero avviati verso il Reich, mentre circa 35mila furono gli ucraini, i bielorussi e i russi spostati ad Est. Il trasferimento, in base agli accordi, doveva essere facoltativo e allargato a tutto il nucleo familiare. Di fatto, invece, finì per trasformarsi in un’evacuazione forzata.
Transilvania (occupata dall’Ungheria), Bessarabia e Bucovina del Nord (cedute dalla Romania all’Urss), Romania, Croazia, sono alcuni dei teatri di ulteriori accordi, che coinvolgono centinaia di migliaia di tedeschi. L’evoluzione della guerra e l’avanzata dell’Armata rossa trasformarono definitivamente la demografia dell’Est Europa, cancellando in molti casi, tra esodi, fughe, massacri, la secolare presenza tedesca in questa parte del continente.