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La "strage dei top gun" compie 22 anni, ma giustizia non è mai stata fatta

Si commemora oggi il 22o anniversario della strage del Cermis. Alle 15.13 del 3 febbraio 1998, un aereo statunitense tranciava i cavi della funivia in Val di Fiemme, provocando la morte di 20 persone. Sottoposti alla giurisdizione militare americana, i piloti responsabili sarebbero stati assolti. A Cavalese le commemorazioni alla presenza delle autorità

Di Davide Leveghi - 03 febbraio 2020 - 16:12

TRENTO. Si dice che la cabina dell'impianto del Cermis con a bordo 20 persone, in quel 3 febbraio di 22 anni fa, ci abbia messo 7 secondi per schiantarsi al suolo. Alla fine di quei fatali 150 metri di volo, il Prowler con a bordo il capitano Richard J. Ashby e il copilota e navigatore Joseph Schweitzer si trovava già a oltre un chilometro di distanza dall'impatto.

 

Quella distanza si sarebbe approfondita negli anni seguenti. La ricerca di giustizia, così come quel cavo tranciato a una velocità ben oltre i limiti consentiti e soprattutto ben al di sotto dell'altitudine permesso, sarebbe stata rotta dall'assoluzione in corte marziale statunitense dall'accusa di omicidio colposo dei due militari a bordo. Per quelle 20 vite spezzate, nessuno avrebbe pagato.

 

Erano le 15.13 del 3 febbraio 1998. La cabina con a bordo 19 passeggeri – 7 tedeschi, 5 belgi, 3 italiani, 2 polacchi, 2 austriaci e un'olandese – e il manovratore, un trentino di Masi di Cavalese, stava scendendo a valle dopo una giornata sulla neve, quando improvvisamente il cavo delle funivie venne tranciato, facendola cadere nel vuoto.

 

Sono passati solo 12 minuti, quando nella base di Aviano le porte dell'hangar si aprono per accogliere il Grumman EA-6B Prowler del corpo dei Marines. L'ala e la coda sono visibilmente danneggiati, l'arrivo alla base non è scontato vista l'entità dei danni. L'eco della tragedia non è ancora arrivata, sul posto, alla bocca della Val di Fiemme, stanno giungendo i tempestivi soccorsi. Non è la prima volta che il Cermis registra drammi analoghi, il ricordo del 1976, quando l'accavallamento di due cavi portò alla caduta di una cabina con a bordo 42 persone, è ancora vivo.

 

Tranciato il cavo comincia la corsa verso l'insabbiamento, una corsa terminata con l'unica condanna pronunciata dalla corte marziale Usa nei confronti di pilota e navigatore nel maggio 1999. L'accusa: intralcio alla giustizia. Arrivati ad Aviano, i militari si sono infatti prodigati per eliminare ogni prova. I video spettacolari dello spericolato volo, filmato dai marines a bordo, vengono eliminati; la scatola nera sparisce, mentre lo smontaggio del velivolo è in procinto d'essere attuato quando però gli inquirenti trentini si presentano alla base statunitense.

 

Com'è possibile che i cavi di una funivia siano stati tranciati da un aereo militare? Perché quel velivolo procedeva ad una quota tanto bassa? Attorno a questi quesiti prendono avvio le indagini. Ne risulta che i militari alla guida del Prowler abbiano violato apertamente i limiti consentiti: la velocità tocca i 540 nodi – pari a 1000 chilometri orari – l'altezza non rispetta le regole italiane (600 metri), e nemmeno quelle del piano previsto dalle autorità militari americane (300 metri).

 

Il volo d'addestramento in vista delle attività di controllo in Bosnia è una “palestra” che i marines accolgono con divertimento. Il “piede sull'acceleratore” pigia oltre al consentito, il caccia s'avvicina pericolosamente al suolo, punta probabilmente ad attraversare lo spazio che divide i cavi dal suolo. Cavi che, a quella velocità, non si vedono nemmeno.

 

Ma nell'attraversamento sconsiderato l'ala e la coda del velivolo tranciano il cavo che tiene “sospese” le cabine. Le risate e il divertimento dei passeggeri dell'aereo militare, presumibilmente, si trasformano in angoscia. “Non potevamo consentire che quelle immagini che ci riprendevano divertiti e sorridenti finissero nelle mani delle televisioni e accostate al sangue delle vittime – avrebbe ammesso il navigatore Joseph Schweitzer a riguardo dell'eliminazione dei video – quello non fu un incidente durante un'esercitazione: fu una strage dei top gun sulla neve”.

 

La “strage dei top gun” è chiara sin dall'inizio – grazie appunto alla prontezza con cui gli inquirenti trentini, non senza resistenze, riescono a visionare l'aereo - ma sui marines la giurisdizione italiana non ha voce in capitolo. Alla richiesta dei pm italiani di processare i 4 marines dell'equipaggio, il giudice per le indagini preliminari di Trento Carlo Ancona oppone la Convenzione di Londra del 1951: i militari, in base al loro status, dovranno essere processati dalla giustizia militare statunitense.

 

È il primo schiaffo alla giustizia, anche se in linea con i trattati internazionali. A Camp Lejeune, nella Carolina del Nord, l'assoluzione si fa strada molto presto. La corte accerta che nelle mappe di bordo i cavi non fossero segnalati, ma dimostra al tempo stesso come velocità di crociera e limiti d'altitudine non siano stati rispettati. Ashby si difende, afferma che l'altimetro fosse rotto, che sulla velocità non fossero state comunicate delle restrizioni.

 

Nel marzo 1999, a poco più di un anno dalla strage, arriva la prima sentenza, destinata a suscitare le proteste dell'opinione pubblica italiana e non solo. Ashby e Schwatzer, unici due processati – nel retro dell'aereo sedevano altri due marines – vengono assolti. La corte marziale Usa li sottopone nuovamente a giudizio con l'accusa di intralcio alla giustizia per aver distrutto il nastro video registrato durante il volo. Questa volta, la corte li condanna. Entrambi i soldati sono degradati e rimossi dal servizio, Ashby trascorrerà 4 mesi di detenzione, rilasciato due mesi prima per buona condotta.

 

I due piloti, nel febbraio 2008, avrebbero impugnato la sentenza, richiedendo la revoca della radiazione con disonore. Vogliono i benefici finanziari spettanti ai militari, protestano per il “patto segreto” che accusa e difesa avrebbero stretto per mantenere l'accusa di intralcio alla giustizia facendo cadere quella di omicidio plurimo e colposo, ma la corte marziale non dà loro ragione.

 

Sarebbe stato il colpo decisivo a una vicenda rimasta senza giustizia, alle famiglie delle vittime cui gli Usa avrebbero pagato il 75% dei risarcimenti, erogati in primis dalla Provincia di Trento e poi dallo Stato italiano. Le stesse vittime al centro oggi della cerimonia di ricordo a Cavalese, alla presenza delle più alte cariche militari e civili, dei sindaci della zona in fascia tricolore, dei rappresentanti della Comunità territoriale e della Magnifica Comunità di Fiemme, dell'assessore agli enti locali Mattia Gottardi, del vicepresidente del Consiglio regionale Luca Guglielmi e dei consiglieri provinciali Pietro De Godenz e Gianluca Cavada.

 

Nel corso della commemorazione, di particolare importanza sono state le parole del sindaco di Cavalese Silvano Welponer: “Questa data ha un sapore amaro non solo per i parenti delle vittime, colpiti negli affetti più cari, ma per tutta la nostra collettività. In ricorrenze come questa che oggi celebriamo, vengono alla mente le parole che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, inviò alla nostra comunità: 'Gli accertamenti giudiziari e le vicende processuali, sottoposti ai vincoli degli accordi internazionali, non hanno colmato l'ansia di giustizia di parenti e collettività locali (…). Un Paese democratico e moderno deve porre al primo posto la sicurezza della vita dei cittadini e la serenità della loro esistenza'. Rimangono aperte le ferite e l'ansia di giustizia non è stata colmata. Né il tempo né la storia potranno cancellare dalla mente dell'uomo libero e giusto le cause, l'irresponsabilità e la superficialità di coloro che hanno provocato queste tragedie. La memoria è un dovere morale e dobbiamo fare in modo che gli errori e gli sbagli che la storia ci ha voluto tristemente consegnare, non abbiano a ripetersi”.

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