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“Abbiamo perso Stava”: 268 le vittime di uno dei peggiori disastri della storia trentina e nazionale

Si celebra (particolarmente) oggi il 34esimo anniversario del disastro di Stava. L'incuria e la gestione criminale dei bacini spazzarono vie un paese e le vite di 268 persone. “Ciò avviene quando si minimizzano i costi e si massimizzano i profitti”

Di Davide Leveghi - 19 luglio 2019 - 13:44

TRENTO. Era il 19 luglio 1985 quando verso le 12.30 l'argine del bacino di decantazione superiore della miniera di Prestavel cedette, rilasciando una massa di fango che travolse una seconda vasca, più a valle. Il cedimento dei due bacini diede vita ad un'inondazione che spazzò via, ai 90 km/h, l'abitato di Stava, nel Comune di Tesero.

 

Non poteva che crollare”, scrissero i membri della commissione ministeriale incaricata di indagare sui fatti. Né gli uffici competenti né le società concessionarie della miniera avevano, in oltre 20 anni, sottoposto a verifiche ponderate la tenuta e la sicurezza dei bacini, dove decantavano i materiali di scarto. 268 furono le vittime, inghiottite dall'ondata di fango e detriti che calò giù per la valle.

 

180mila metri cubi di fango e acqua si rovesciarono sull'abitato spazzando via case, alberghi, alberi e persone, per fermarsi solo alla confluenza con il torrente Avisio. “Se a suo tempo fosse stata spesa una somma di denaro e una fatica pari anche soltanto ad un decimo di quanto si è profuso negli accertamenti peritali successivi al fatto, probabilmente [...] il crollo di quasi 170 mila metri cubi di fanghi semifluidi non si sarebbe mai avverato”, recitava la sentenza del giudice istruttore del Tribunale di Trento.

 

La violenza con cui la colata scese a valle non risparmiò niente e nessuno. I soccorsi, che, giunti immediatamente, videro la messa in campo di quasi due migliaia di uomini e di un imponente dotazione di mezzi, si trovarono dinnanzi ad uno scenario apocalittico. Una sola ragazza fu estratta dalle macerie. Sarebbe morta qualche giorno dopo.

 

Lo stesso lavoro di recupero delle salme fu complicato e straziante. Decine le persone dichiarate inizialmente decedute per morte presunta, in mancanza della salma. Furono poi recuperate tutte, dopo tre estenuanti settimane, molte senza poter essere mai riconosciute. Il fango infliggeva un'ulteriore sofferenza ai parenti delle vittime, cancellandone l'identità, determinandone il riconoscimento presunto, non certo.

 

La determinazione delle responsabilità portò a sette anni dal disastro alla condanna di 10 individui imputati di disastro colposo ed omicidio plurimo. Vennero condannati i responsabili della costruzione del bacino costruito in un secondo tempo più a monte, i direttori della miniera ed alcuni tecnici. Colpevoli di aver omesso del tutto i controlli sulle discariche, vennero condannati pure i responsabili del Distretto minerario della Provincia di Trento. Montedison, Industria marmi e graniti Imeg Spa per conto della Fluormine Spa, Snam Spa per conto della Solmine Spa, Prealpi Mineraria Spa, tra le concessionarie della miniera di Prestavel, oltre alla stessa PAT, furono condannati al risarcimento danni- per una somma attorno ai 132 milioni di euro- in quanto responsabili civili per la colpa dei propri dipendenti.

 

È un paese di associazioni di vittime, purtroppo, il nostro, e ciò fa riflettere. E anche per Stava, l'importante lavoro di “memoria, informazione e formazione” è portato avanti da una Fondazione sorta dagli sforzi dell'Associazione 19 luglio Val di Stava, che dal disastro in poi si è assunta il compito di dare operatività ad un ente che facesse in modo che le 268 vittime “non siano morte invano”.

 

“Ho perso, oltre ai genitori, anche Stava- dice Graziano Lucchi, presidente e promotore dell'Associazione per le vittime del disastro-e questo per la mancanza di etica professionale, di responsabilità civile e d'impresa, di coscienza delle proprie responsabilità, per lo squilibrato rapporto tra la ricerca del profitto e la sudditanza verso una grande impresa, per la vera e propria attività di rapina da parte delle aziende concessionarie della miniera”.

 

Stava va compresa a partire dal contesto da cui la tragedia prese forma, racconta Lucchi. “Siamo tra gli anni '50 e '60, la nostra valle è terra di economia di sussistenza e di emigrazione, verso le miniere del Belgio, della Francia. L'attività industriale doveva portare progresso al nostro territorio, e per un momento lo portò. Le autorità locali, il Comune, la Provincia, la Regione, che al tempo manteneva le competenze in materia mineraria, accettarono il ricatto dei posti di lavoro. Questa sudditanza, assieme all'arroganza di chi per massimizzare i profitti minimizzò i costi, portarono a Stava”.

 

Noi non esistiamo solo per ricordare- continua il presidente- ma per spiegare, per raccontare a chi ha e avrà responsabilità affinché questo tipo di tragedie non si ripetano. Ci impegniamo nel divulgare informazioni, questo è il nostro lavoro”. Sull'attività della Fondazione, prosegue, “facciamo formazione attraverso conferenze, promozione della memoria, con scolaresche di superiori e università. Sono circa 6000 i visitatori che ogni anno visitano il nostro percorso di memoria e la nostra Fondazione”.

 

Nel fare informazione, la Fondazione non può che rivolgere l'attenzione alle “tante altre Stava” che in tutto il mondo, ogni anno, avvengono per una gestione criminosa dei rifiuti. “Se si pensa al rifiuto solo come a un costo, le conseguenze possono essere queste- chiosa Lucchi-. Sono ben 72 i disastri che si succedono a Stava, che rimane comunque uno dei più gravi incidenti al mondo di questo tipo. Per ultimo (per gravità non per ordine cronologico), quello in Brasile”.

 

Sono passati 34 anni dal disastro di Stava, e l'uomo, come sempre, sembra aver imparato assai poco dal solito profondo errore: il profitto al di sopra di tutto.

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