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"Due Italie" a confronto: il 18 aprile 1948 la Dc con il trentino De Gasperi andava al Governo con la più combattuta campagna elettorale

Settantadue anni fa la Democrazia Cristiana otteneva una schiacciante vittoria elettorale sul Fronte Democratico Popolare formato da comunisti e socialisti. La campagna elettorale, piena di colpi bassi e tensioni, segnava definitivamente un cambio di paradigma valoriale: al centro della politica italiana l'anticomunismo prendeva il posto dell'antifascismo

Di Davide Leveghi - 18 aprile 2020 - 12:47

TRENTO. Tra il 18 aprile 1948 e il 25 aprile 1945 non passò semplicemente una manciata d’anni; l’Italia divenuta repubblicana assisteva al cambio di paradigma tra la contrapposizione fascismo/antifascismo e quella tra comunismo/anticomunismo in un turbinio d’eventi che nella difficile ripresa del secondo dopoguerra videro la penisola entrare nella galassia occidentale, sostenuta dai copiosi fondi giunti dagli Stati Uniti e compresi in quello che sarebbe passato alla storia come il “Piano Marshall”.

 

Io non vorrei vedere quel giorno in cui al governo andassero coloro che si sono compromessi in una lotta contro l’America, non vorrei vedere quel giorno perché temerei che il popolo italiano, attendendo alla riva le navi cariche di carbone e di grano, le vedrebbe volgere la prora verso altri”, dichiarava con tono minaccioso il leader della Democrazia Cristiana Alcide De Gasperi. A Roma erano cominciati ad affluire i finanziamenti per la ricostruzione inviati da Washington: l’Italia, ammoniva il politico di Pieve Tesino, avrebbe compiuto un passo indietro con la vittoria dei social-comunisti, presentatisi in una lista unitaria sotto il segno di Garibaldi.

 

Al primo appuntamento elettorale dopo la ratifica della Costituzione, il Paese ci arrivava in un crescendo di tensioni: tra le macerie materiali e morali della guerra voluta dal fascismo, il movimento resistenziale aveva già subito un riflusso, beffato persino da una paradossale persecuzione giudiziaria. Il clima politico era mutato sulla scia della cristallizzazione del mondo in blocchi contrapposti: il mondo capitalista e liberale da una parte, guidato dagli Stati Uniti, e il mondo comunista e sovietico, guidato dall’Urss, dall'altra.

 

Divenuta una Repubblica, l’Italia sanciva nella Costituzione approvata nel dicembre 1947 i valori fondanti della vita comunitaria, su tutti l’antifascismo. Un valore che a detta degli sconfitti nelle elezioni del 18 aprile 1948 sarebbe stato prontamente sostituito dall’anticomunismo, nuovo collante della vita politica del Paese.

 

L’avvicinamento all’appuntamento elettorale con cui si sarebbe dato avvio alla vita democratica del Paese e alla I legislatura marcava infatti uno scarto decisivo. La “linea del fronte” passava proprio dalla contrapposizione tra fascismo/antifascismo a quella tra comunismo/anticomunismo, e nel farlo non si lesinavano certo colpi bassi e toni accesi, mettendo in campo tutti gli strumenti e le risorse possibili, degni di un vero e proprio “scontro di civiltà”.

 

Il fronte democristiano si avvalse dell’alleato più forte nella cattolicissima Italia: il Vaticano. “E’ l’ora della prova”, dichiarava papa Pio XII in persona, sceso in campo per guidare la crociata contro i “senza Dio”. In giro per il Paese il culto mariano subiva un’impennata, tra miracoli di statue piangenti e peregrinazioni anche nei borghi più sperduti. “Nel segreto della cabina Dio ti vede Stalin no!”, recitava uno dei più celebri manifesti elettorali.

 

L’accusa di essere foraggiati dallo straniero rimbalzava vicendevolmente tra i due schieramenti maggioritari. Il volto barbuto di Garibaldi (!) veniva raffigurato come un Giano bifronte che nascondeva i ben più inquietanti baffoni di Stalin, mentre foto di Battisti impiccato accompagnate dalla didascalia che “De Gasperi approvò” facevano la loro comparsa in giro per la penisola. Il passato di parlamentare austro-ungarico diveniva stigma con cui accusare il democristiano trentino d’essere al soldo dello straniero.

 

Il passato, dal Risorgimento alla Grande Guerra, entrava nel tritacarne elettorale subendo un rimescolamento tutto finalizzato a presentarsi, soprattutto da sinistra, come la forza nazionale per eccellenza, l’unica in grado di rialzare un’Italia prostrata dalla guerra fascista. Sicuri della riscossa del Paese, i social-comunisti avrebbero però sofferto un sonoro tonfo.

 

I voti ottenuti nella Costituente subivano infatti una rilevante evoluzione: la Dc vinceva con quasi il 50% dei voti (48,7%), incrementando il proprio seguito di più di un quarto percentuale. Il Fronte, invece, tracollava dal 40% al 31%, indebolito dalla scissione socialista che gli sottrasse oltre il 7%. “Non la paura ha vinto, ma la paura è stata vinta – rispondeva ai comunisti il democristiano Piccioni in un editoriale de Il Popolo, voce ufficiale del partito – la Dc ha confermato e garantito la progressiva attuazione delle riforme sociali: i socialcomunisti le promettono, noi le attuiamo”. E così De Gasperi diventava il Presidente del primo Consiglio dei ministri dell'Italia repubblicana (dopo essere stato l'ultimo del Regno d'Italia).

 

“La consultazione elettorale non è stata né libera, né democratica – aveva prima accusato Togliatti dalle pagine de L’Unità – il governo ha seminato odio e veleno per realizzare un inganno fatto al popolo italiano per distoglierlo dal suo cammino. Il clero e la Celere sono stati gli strumenti per spargere il terrore nelle popolazioni, specialmente in quelle contadine dell’Italia meridionale. E con la paura è passato il ricatto”.

 

L’obeso ventre della storia d’Italia”, per usare un’espressione adoperata da Ferruccio Parri negli anni ’70 in riferimento alla caduta del governo d’unità nazionale nel ’45, incise certo sugli esiti elettorali del ’48, confluendo in massa nelle file democristiane. Tutto quell’apparato, di persone – dai funzionari alla classe dirigente – e di retaggi mentali del passato regime, posero le basi per un decennio, quello dei ’50, in cui il paradigma antifascista fu sacrificato sull’altare dei voti decisivi per la formazione degli esecutivi, più volti chiesti e ottenuti al Movimento sociale. Ogni istanza dei lavoratori, invece, subiva la feroce repressione nelle piazze sotto i colpi della nuova Celere di Mario Scelba.

 

Le “due Italie” si confrontavano sommamente in quel momento drammatico, rischiando poco dopo le elezioni, a seguito dell’attentato a Togliatti compiuto da un giovane simpatizzante qualunquista, di venire nuovamente alle armi. Sarebbe dovuto passare più di un decennio perché il dialogo potesse tornare a essere un’opzione messa sul tavolo, aprendo l’altrettanto accidentato percorso del “centro-sinistra”.

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