Parità di genere: la legge sulle donne la fanno gli uomini
La stessa maggioranza ha mille dubbi sulla legge sulla doppia preferenza. Ostruzionismo dell'opposizione, una valanga di emendamenti.
TRENTO. La legge sulla doppia preferenza di genere approderà nell'Aula del Consiglio tra pochi giorni. Venerdì si aprirà la discussione generale e poi tutti a casa. Chissà quando se ne riparlerà. “Speriamo sia poi ricalendarizzata a brevee non ci siano ripensamenti dell'ultimo minuto – dicono preoccupate dalle parti del Comitato Non ultimi – se si perdesse questo treno se ne riparlerebbe l'anno prossimo”.
Ma oltre al quando, a preoccupare è il come. “Come si arriverà in aula lo sappiamo, con il testo unificato licenziato dalla commissione. Il problema – affermano – è come ne usciamo”. La legge in discussione prevede che le liste per le elezioni provinciali siano composte con il 50% di rappresentanti del genere femminile, e che i nomi in lista siano alternati a pettine: uomo, donna, uomo, donna. Ma anche sulle preferenze ci sono novità: non saranno più tre ma due soltanto, e se l'elettore volesse esprimerle tutte e due, la seconda preferenza dovrà per forza essere di genere diverso dalla prima.
Questa sforbiciata alle preferenze, e la percentuale del 50% di donne in lista, sta però mettendo in ansia i consiglieri. I consiglieri maschi, ovviamente, che in provincia sono la stragrande maggioranza. Sui banchi dell'aula di piazza Dante sono le loro terga a occupare il maggior numero di posti, le consigliere sono sei, i consiglieri ventinove. Quattro donne elette con i PD, una con il PATT, e Manuela Bottamedi entrata in consiglio con i 5 Stelle, transitata tra gli autonomisti e ora unica rappresentante femminile della minoranza.
“Ovvio che i consiglieri si guardano intorno e sanno che se passasse la legge qualcuno di loro al prossimo giro rimane a casa – ammettono le attiviste delle associazioni che si battono per l'approvazione della norma sulla doppia preferenza – e sanno bene che sarà difficile riempire le liste delle prossime elezioni provinciali”. Patt e Upt sono infatti partiti territoriali che negli anni hanno formato una classe dirigente quasi esclusivamente maschile, senza la presenza di donne. E sarà difficile che riescano a trovare figure femminili attrattive elettoralmente. Se passa la norma devono trovarne ben 17. “Non semplici figuranti che fanno presenza in lista – precisano – ma donne capaci di incassare voti di lista, considerando che proprio i partiti territoriali usano il sistema delle preferenze per dividersi le aree di interesse a livello territoriale”.
Il Pd sembra essere il partito con meno problemi, “raccoglie un voto spesso ideale e nel tempo ha allargato il partito alla differenza di genere”. E non a caso è il più convinto sostenitore della legge. Il Patt, che alle ultime elezioni è riuscito a far entrare tra i banchi autonomisti soltanto una donna, Chiara Avanzo, è tra i dubbiosi. Così come l'Upt che non ha mai nascosto le proprie perplessità.
L'opposizione è di fatto contro, con l'eccezione di Giacomo Bezzi e Manuela Bottamedi, per motivi di merito ma soprattutto per motivi politici. Si dividerà soprattutto tra quelli che faranno le barricate e quelli che questa battaglia la faranno in modo meno pugnace. Rodolfo Borga è il più barricadero. Ha già annunciato l'ostruzionismo presentando una caterva di emendamenti, una mossa che ha sperimentato di recente, con un certo successo, in occasione della legge contro l'omofobia. La Lega non ne parliamo, Maurizio Fugatti non perde occasione per remare contro la maggioranza: ha già annunciato l'ostruzionismo a prescindere. Nereo Giovanazzi, che con il genere femminile si è sempre scontrato, per lo meno politicamente (memorabile il suo match, nella scorsa legislatura con l'ex consigliera Margherita Cogo), non si tirerà indietro e andrà contro la legge a muso duro.
Claudio Cia questa volta non sarà un falco: non è certo il genere che lo spaventa, è il gender... Ha delle perplessità ma per questo non si straccerà le vesti. Come Walter Viola che ultimamente, nei confronti di Ugo Rossi, cerca i punti di incontro piuttosto che quelli di scontro. E poi ci sono le mosche bianche dell'opposizione, Manuela Bottamedi e Giacomo Bezzi, quest'ultimo primo firmatario - con Lucia Maestri del Pd - della legge in discussione. Anche lui, dall'opposizione, ha promosso questa iniziativa: “Non nella minoranza, è nella variegata maggioranza di governo che si annida il dissenso verso una delle più basilari proposte di democrazia per la rappresentanza di genere”.
E questo lo pensano anche le esponenti del Comitato. “Che il problema sia nella maggioranza si sa, se non tiene non si fa nulla”. Il tema della doppia preferenza è nel programma di legislatura, Rossi ha addirittura firmato al gazebo per il sostegno alla legge. Cosa potrebbe mai succedere? A svelarcelo è una voce della minoranza: “L'opposizione farà ostruzionismo, bloccando di fatto la discussione, e parte della maggioranza sarà contenta. Approfitterà della situazione per spingere alla mediazione”.
Una mediazione al ribasso, ovviamente. In queste ore si sta discutendo sulla percentuale del 50 e 50. Si vorrebbe arrivare ad una proporzione meno stringente, l'asticella della partecipazione femminile in lista al 40%. Ma lo scenario peggiore è quello legato alle preferenze. La paura del Comitato è quella della riserva indiana, quella che prevede il mantenimento della terza preferenza. In questo caso solo l'ultima preferenza dovrebbe obbligatoriamente essere destinata ad un genere diverso dalle prime due. Per capirci: se rimane l'ipotesi due preferenze con l'obbligo di differenza di genere se l'elettore esprime la seconda, significa che sulla scheda si può scrivere Mario Rossi e se si vuole mettere un altro nome per forza deve essere di genere femminile. Ma se di preferenze ne rimangono tre, dopo Mario Rossi si può scrivere Mario Bianchi, e solo se si vuole usare la terza preferenza il nome dev'essere Maria.
Scopriamo che in Trenino, da uno studio dell'università di Trento, sono pochissimi gli elettori che usano tutte le preferenze, numeri insignificanti, trascurabili a livello di percentuale. “Se questa fosse la mediazione si tratterebbe di una gentile concessione, una presa in giro, un provvedimento inefficace che addirittura peggiorerebbe le cose” dicono alcune donne del Comitato. “Una sconfitta per tutti – precisano – non solo per le donne.