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PODCAST. "Lo sport mi ha salvato due volte", la storia di Andrea Lanfri dalla meningite con sepsi che l'ha privato delle gambe e di sette dita delle mani all'Everest

L'atleta Andrea Lanfri è ospite della puntata di "Da Quassù", il podcast de il Dolomiti realizzato da Marta Manzoni

Pubblicato il - 19 novembre 2023 - 20:58

TRENTO. Dalla meningite con sepsi meningococcica che l'ha privato di entrambe le gambe e di sette dita delle mani alla vetta dell'Everest, ma anche l'atletica e le sfide per migliorare giorno dopo giorno. E' Andrea Lanfri l'ospite di "Da Quassù", il podcast de il Dolomiti realizzato da Marta Manzoni

 

Grande appassionato di montagna tra trekking, arrampicata e alpinismo, tutto cambia nel 2015 quando a 29 anni viene colpito da meningite fulminante con sepsi meningococcica. "Era gennaio era freddo fuori ma soprattutto dentro di me: una febbre altissima e decisi di chiamare la guardia medica. Una chiamata poco prima di entrare in coma e di svegliarmi in ospedale. Da lì sono iniziate tante piccole sfide: quel periodo è stata una scalata per riprendere la quotidianità".

 

Un periodo lungo e doloroso, faticoso. Ma Lanfri si getta appena possibile nell'attività sportiva e scopre l'atletica. "La corsa è stata una cosa totalmente nuova e che in quel momento era più facile perché l'arrampicata e la montagna erano impossibili. Ho imparato prima a correre che a camminare con le protesi. Lo sport mi ha salvato la vita due volte e mi ha permesso di riconquistare la libertà. La passione e l'amore per lo sport è stata la mia chiave riabilitativa".

 

Dopo un'intensa e prolifica esperienza nell'atletica leggera, ha riabbracciato la sua passione per l'alpinismo scalando, in una manciata di anni, montagne di assoluto rilievo, con un approccio spesso originale: dal vulcano Chimborazo (6292 m.) in Ecuador, al Monte Rosa, dalla Cima Grande di Lavaredo, al Cervino; fino a superare, nel 2019, i 7.000 metri della Puntha Hiunchiuli.

 

L'atleta paralimpico ha raggiunto anche la vetta dell'Everest. "Più che una scalata, un sogno e un desiderio. La dimostrazione che i limiti possono essere superarti. C'è stato qualche intoppo ma la spedizione è andata bene. E' stato molto difficile gestire l'escursione termica, i cambi di temperatura e di pressione, bisogna stare molto attenti al controllo dei volumi del moncone. Ma ci siamo goduti l'esperienza giorno dopo giorno senza guardare all'obiettivo, poi tutti i pezzi del puzzle si sono composti. La soddisfazione è stata al campo base, lì abbiamo realizzato che è stata una bellissima avventura".

 

Non è stato facile, però, ricominciare con l'alpinismo. Il ritorno sulle montagne è stato il risultato di un costante allentamento. "L'arrampicata è ancora difficile. Ci ho provato fin da subito ma c'è stata una serie di fallimenti. Il 2017 è stato l'anno del cambiamento e ho trovato il feeling giusto nei movimenti. Devo comunque ancora migliorare. I peggiori sfidanti siamo noi stessi e la montagna ci fa conoscere". L'alpinista migliore? "Quello che torna a casa. Per me comunque la vetta non è il punto di maggiore emozione ma il viaggio, che prende avvio quando si inizia a sognare".

 

Si passa poi a parlare dei pregiudizi. "Credo che non bisogna mai fermarsi all'aspetto ma capire le potenzialità di una persona. Fortunatamente non li ho subiti, ho sempre trovato fiducia. Molto dipende da noi e da come ci poniamo nei confronti dell'altro, cerco di essere naturale e semplice per trasmettere il modo di essere. Le sfide sono inoltre uno stimolo, ho voglia di dimostrare che posso migliorarmi, un piccolo obiettivo serve per pensare a quello successivo".

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