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Crisi climatica, Tozzi: ''Le Olimpiadi? Deleghiamo a qualche altra Nazione''. Dai lupi agli orsi, dallo sci alla Marmolada riflessione a 360° sul futuro della montagna

Primo ricercatore del Cnr, divulgatore scientifico, scrittore e conduttore televisivo, Mario Tozzi a Il Dolomiti: "Il turista, per esempio, cerca orsi e lupi: sa che l’incontro è difficile ma sa anche che sono sinonimo di un ambiente in salute. La biodiversità richiede grande rispetto ma è sicuramente un fattore vincente nell’offerta"

Di Luca Andreazza - 03 novembre 2022 - 05:01

TRENTO. "Si deve riflettere sulla possibilità di delegare le Olimpiadi 2026 a qualche altra Nazione". A dirlo a Il Dolomiti è Mario Tozzi, primo ricercatore del Cnr, divulgatore scientifico, scrittore e conduttore televisivo. "Il rischio è quello di assistere alle gare in paesaggi desolanti come avvenuto a Pechino. Oltre a questo dobbiamo pensare ai costi che saranno altissimi a causa della necessità sempre più forte di innevare con i cannoni". 

 

Quelle di Milano-Cortina (con Trentino e Alto Adige) potrebbe essere tra le ultime edizioni dei Giochi a cinque cerchi invernali, almeno sull'arco alpino? "Ammesso che si riescano a organizzare anche quelli del 2026 - evidenzia Tozzi - i presupposti per nevicate abbondanti sono sempre più bassi e le temperature sempre più elevate".

 

Un'estate caratterizzata dalle tragedie, quelle della Marmolada e nelle Marche, effetto del cambiamento climatico. Le gare saltate di coppa del mondo. "Non dimentichiamo la tempesta Vaia", commenta Tozzi. "Eventi gravissimi ma purtroppo già dimenticati. Tutto va avanti senza cambiare e senza modificare purtroppo i nostri comportamenti".  

 

La luce a led costa poco e allora via libera alle luminarie nel periodo natalizio e idem per le piste da sci aperte di notte. Si esce da un'estate caratterizzata dalla siccità e le temperature anche in questo frangente del periodo autunnale e invernale si sono mantenute ben superiori alle medie stagionali. Poi inflazione e caro energia

 

Ma c'è una certezza o quasi: si farà di tutto per salvare la stagione e si sparerà perché tanto l'acqua viene presa dai bacini e perché sull'energia si troverà in qualche modo una soluzione. L'inversione del trend non dipende dalle Dolomiti o dal Trentino. Anche qui, però, per un motivo o per un altro non si compie mai un passo indietro. Non si molla nulla.

 

La speranza per l'inverno? Che nevichi tanto per ottimizzare le risorse e il ricorso all'innevamento artificiale. Si è quasi all'atto di fede. "E' giusto avere speranza e spero che vada bene. Nelle prossime ore è attesa una perturbazione con neve intorno ai 1.500/1.600 metri. E forse perché lo zero altimetrico sale sempre più in alto. Non si analizzano le evidenze e si continua a posticipare una decisione ormai strategica, si demanda a più avanti. Difficile migliorare, se nessuno affronta realmente i problemi. Un po' come i dati dei bollettini Covid: si possono anche 'nascondere' ma i dati restano e i contagi proseguono comunque". 

 

La quota neve, quando quella naturale arriva, continua ad alzarsi, le inversioni termiche sono sempre più frequenti e le temperature sempre più sfavorevoli. Secondo alcune stime, entro il 2050 non si potrà più sciare a Cortina d’Ampezzo e Torino, ma anche in Austria e in Svizzera. Questo si traduce nell’urgenza di un costante affinamento tecnologico per riuscire a produrre artificialmente l'innevamento necessario per avviare le stagioni e, questione non secondaria, in ingenti investimenti che, solo per i 1.600 ettari delle piste trentine, sforano i 25 milioni di euro.

 

"Produrre neve costerà sempre di più e quindi si mette in dubbio anche la sostenibilità. La natura deve avere i propri spazi e un ambiente incontaminato è sempre più un fattore formidabile di attrattività per il turismo. L’industria della neve è chiamata, però, a riflettere in modo approfondito sul cambiamento climatico e il Trentino dovrà puntare con maggior forza e ancor più decisione su quelle stagioni che, fino a qualche decennio fa, erano forse poco considerate. Ormai ha poco senso prevedere altri impianti di risalita in quota, nuove strade e altre opere: l’infrastrutturazione si è già spinta troppo avanti".

 

Controproducente rinunciare, di punto in bianco, all’azionista di maggioranza relativa dell’economia trentina di montagna, soprattutto nei mesi freddi, ma è evidente che la pandemia ha accelerato una tendenza già tracciata mentre il Trentino sembra rimanere saldamente ancorato ad una concezione classica (e - molto - "conservatrice") dell’inverno.

 

In questo contesto i sistemi di innevamento stanno diventando indispensabili per aprire i caroselli e per sciare. "La neve programmata è però diversa ovviamente da quella naturale: più pesante, grava su altri bacini e attinge da sistemi idrologici di altro tipo. A lungo termine - spiega Tozzi - è evidente la necessità di dover ripensare al turismo in montagna. A meno che non si voglia innevare artificialmente tutto il Nord-Est: una soluzione decisamente poco auspicabile e soprattutto poco sostenibile perché l’innevamento programmato costa e immette nell’atmosfera sostanze alteranti".

 

In Cina il "rischio era calcolato" (le Olimpiadi si sono svolte in una regione molto arida) e c’è stata la precisa volontà di investire in quell’area. Per Milano-Cortina 2026 l’arco alpino dovrebbe garantire le precipitazioni nevose, ma, anche da queste parti, gli inverni sono sempre più secchi e avari di neve.

 

"E’ fondamentale - prosegue Tozzi - puntare sulla riqualificazione dell’esistente. Le opere devono essere leggere e non intaccare il contesto naturale. L’ipotesi di costruire nuove strade oppure un aeroporto a Cortina sono pianificazioni prive di senso. Non c’è più spazio per nuove infrastrutture che consumano suolo, deprezzano i valori dell’area e depauperano l’ambiente”.

 

E se costruire nuovi impianti in quota è sempre più complicato e si cerca di riqualificare l’esistente, un mercato che prende quota è quello delle funivie in città. La società Leitner, per esempio, ha implementato un sistema composto da 7 impianti e 24 chilometri nell'area metropolitana di città del Messico che rende le funivie un mezzo di trasporto pubblico.

 

"Queste soluzioni possono avere un senso maggiore per le grandi aree metropolitane e difficilmente possono essere applicate a zone morfologiche come Trentino e Alto Adige. E’ comunque una forma di riconversione dell’attività per rimanere competitivi. Molto dipende dalle sensibilità e dall’accortezza delle singole aziende, ma le soluzioni si possono trovare se c’è la volontà di farlo: Melinda, per esempio, immagazzina le mele nelle celle ipogee, che è molto sostenibile e permette di risparmiare soldi".

 

Insomma, una parola chiave è riconversione. E se le decisioni politiche spesso tardano a raggiungere gli obiettivi, l’economia potrebbe imprimervi velocità. E’ necessario, però, trovare un equilibrio tra sostenibilità ambientale (sempre più urgente) e quella economica. 

 

Dopo il blackout a causa di Covid, oggi sono gli impatti dell’energia quelli più temuti. “Ma la via è quella, come per l’elettrico nell’Automotive. Il motore endotermico - continua Tozzi - non è efficiente e verrà abbandonato. Ci possono essere difficoltà quali l’assenza di componenti o il prezzo dell’energia, però la strada è tracciata e le soluzioni possono essere trovate e ricercate nelle fonti rinnovabili. Ormai dovrebbe essere chiaro che si devono investire risorse nella transizione e avere il coraggio di riconvertire le attività: serve tempo, che però è sempre meno perché gli effetti del cambiamento climatico rischiano di diventare irreversibili. La visione di oggi è ancora troppo lacunosa e il futuro è adesso perché se un ambiente è sano, funzionano anche le attività economiche". 

 

Quale il futuro della montagna dunque? "Destagionalizzare perché lo sci avrà sempre vita più difficile. Puntare sull'estate e alcune attività potrebbero trovare spazio anche in inverno ma si deve tenere presente che c'è il rischio frane. In questo contesto i territori crollano e rimodulare le stagioni è sempre più complicato. Poi la richiesta di una natura intatta è sempre più forte. Il turista, per esempio, cerca orsi e lupi: sa che l’incontro è difficile ma sa anche che sono sinonimo di un ambiente in salute. Il ritorno della foca monaca a Capraia ha, per esempio, aumentato l’affluenza di dieci volte. La convivenza con i grandi carnivori è sicuramente difficile: bisogna abituarsi e mettere in campo tutte le strategie informative del caso, ma è assolutamente possibile farlo. La biodiversità richiede grande rispetto ma è sicuramente un fattore vincente nell’offerta turistica”, conclude Tozzi.

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