Agroalimentare e turismo? Il futuro di due settori strategici (e sempre più connessi tra loro) nel focus di mm&a con European House Ambrosetti: “Ecco i dati in Trentino”
Al Mart si è tenuto un interessante incontro organizzato da mm&a studio in collaborazione con The European House – Ambrosetti dedicato all’approfondimento delle sinergie tra le filiere agroalimentari e turistiche, due pilastri dell’economia nazionale e del Trentino Alto Adige. Ecco i dati ed i temi esplorati da Benedetta Brioschi, partner e responsabile Food & Retail e Sustainability di The European House Ambrosetti
ROVERETO. Dal ruolo strategico che l’agroalimentare gioca nell’economia italiana al sempre maggior interesse dei mercati esteri per i prodotti Made in Italy fino all’attrattività del nostro Paese a livello turistico in Europa (e nel mondo): di questo e di molto altro si è parlato venerdì (11 ottobre) al Mart di Rovereto, in un interessante incontro organizzato da mm&a studio in collaborazione con The European House – Ambrosetti per approfondire le sinergie tra le filiere agroalimentari e turistiche, due pilastri dell’economia nazionale e del Trentino Alto Adige. L’evento (“La roadmap del futuro nel settore agroalimentare e turismo”) ha visto l’intervento di Benedetta Brioschi, partner e responsabile Food&Retail e Sustainability di The European House – Ambrosetti. Ad introdurre l’approfondimento Francesco Dalla Sega, partner di mm&a: “Il nostro obiettivo è metterci a disposizione di quelle aziende che vogliono affrontare percorsi di sviluppo, e lo facciamo con un team di più di 30 persone, per la maggior parte giovani, pronte ad approfondire le sfide future per i vari settori. Ma come farlo? Il fine dev’essere di mettere le imprese nelle condizioni di prendere delle scelte, anche dei rischi, in maniera consapevole. E per farlo vogliamo fornire informazioni di livello, di spessore: oggi ci concentriamo sul food and beverage e sul turismo, analizzando in senso verticale le sfide e le necessità delle aziende interessate”.
Quello di venerdì è stato il terzo appuntamento organizzato dalla advisory firm trentina, in attività da più di 60 anni e con tre sedi oggi a Rovereto, Trento e Arco, in sinergia con gli esperti di The European House Ambrosetti. Una serie di eventi che si inserisce nel costante processo di formazione ed evoluzione di mm&a: fondata come studio di commercialisti, ben presto l’azienda ha infatti iniziato a gestire operazioni extra-ordinarie e complesse finché, 10 anni fa, è arrivata la svolta per orientarsi a una consulenza di stampo aziendalistico e di business. Nel suo intervento, Benedetta Brioschi ha innanzitutto delineato il particolare contesto nel quale, oggi, si muove il settore agroalimentare: “Ci troviamo davanti a una serie di fattori di crisi, ne abbiamo elencati 17 in tutto, che non si erano mai verificati tutti assieme a distanza di così pochi anni: partiamo dalla più grande pandemia in oltre 100 anni per poi arrivare all’instabilità geopolitica a livello mondiale, con gli effetti sul costo del petrolio e le disruption delle catene di approvvigionamento e via dicendo. Dal 2022 si parla di ‘perma-crisi’ per descrivere questa situazione: dal nostro punto di vista sappiamo però che gli imprenditori italiani sono ‘perma-innovatori’ e ‘perma-ottimisti’, cercando di trovare soluzioni e opportunità anche in situazioni difficili”.
E in questo contesto, la filiera agroalimentare è a tutti gli effetti un asset strategico: “Parliamo di un settore che, in via diretta e indiretta, arriva a fatturare 334 miliardi di euro di valore aggiunto, il 19% del Pil italiano”. Le esportazioni nel 2023 hanno segnato un aumento del 69% rispetto al 2015, arrivando a 62,2 miliardi di euro mentre il nostro Paese mantiene una quota di mercato rilevante nell’esportazione di un’ampia varietà di categorie merceologiche, confermandosi leader a livello mondiale per quanto riguarda, per esempio, l’esportazione di pasta, amari e distillati (e un ruolo importante lo gioca in questo ambito proprio il nostro territorio) o la passata di pomodoro. “Ci sono però – ha detto Brioschi – dei punti di attenzione sui quali lavorare per esprimere a pieno il potenziale del settore: innanzitutto l’inflazione alimentare, molto più alta nel picco inflattivo rispetto all’aumento dei prezzi medi al consumo, portando a un incremento superiore al 10% nella spesa di 9 consumatori su 10. Poi è necessario tenere in considerazione le sfide posto dall’aumento del costo delle materie prime: oltre un terzo delle aziende ha dichiarato di aver ridotto in parte la produzione per far fronte agli aumenti registrati”. Da sottolineare infine la curva piatta per quanto riguarda i consumi interni, alla quale fa fronte però una tenuta sostanziale sul fronte dell’export.
“L’Italia – ha aggiunto l’esperta – è il quinto Paese nell’Ue per valore complessivo delle esportazioni agroalimentari: davanti a noi i Paesi Bassi (con 118 miliardi), la Germania (87,5 miliardi), la Francia (76,9 miliardi) e la Spagna (69,6 miliardi). Per quanto riguarda il Bel Paese va però valutato anche il fenomeno del cosiddetto ‘italian sounding’, cioè di quei prodotti che suonano italiani pur non essendo made in Italy. Se guardiamo al valore di questo mercato, epurato dall’effetto prezzo, vediamo che di fatto se questa ‘voglia di Italia’ fosse soddisfatta solo con prodotti effettivamente realizzati nel nostro Paese, il totale dell’export agroalimentare italiano verrebbe in pratica raddoppiato, arrivando a circa 126 miliardi”. Il tutto va infine analizzato alla luce dell’estrema frammentazione del settore: l’83% del totale delle imprese agroalimentare sono infatti ‘piccole’ (con un fatturato sotto i 10 milioni di euro) e solo il 4,7% delle aziende italiane nel settore sono ‘grandi’ (con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro: “Queste però – spiega Brioschi – sono le realtà più propense ad effettuare investimenti e più in grado di rispondere alle crisi citate in precedenza”. A livello numerico, il 4,7% delle grandi imprese contribuisce per il 66,7% sul totale dei ricavi nel settore. L’83% delle ‘piccole’, solo per l’11,1%.
Come anticipato però, al netto dei dati ‘interni’ la filiera agroalimentare in Italia ha una connessione sempre più stretta con il settore turistico, a sua volta ambito strategico per un paese che può vantare un’attrattività unica, con molte sinergie positive attivabili dalla collaborazione tra questi due veri e propri pilastri del sistema economico nazionale. “Si cercano connessione enogastronomiche durante la permanenza nel nostro Paese – ha precisato Brioschi – e si ricercano poi quegli stessi prodotti quando si fa ritorno nel proprio Paese d’origine. Le produzioni agroalimentari e la tradizione culinaria sono al primo posto tra le motivazioni che spingono i turisti stranieri a visitare l’Italia, terzo paese in Europa per presenze turistiche”. E in questo contesto un ruolo molto importante lo gioca proprio il Trentino Alto Adige, seconda regione italiana (dopo il Veneto) per presenze turistiche e quarta per arrivi: “Il Trentino in particolare è un punto di forza, anche grazie ad un significativo percorso di rebranding del territorio che ha pochi esempi simili a livello nazionale. È la sesta Provincia italiana per arrivi turistici nel 2022, la 25esima per valore aggiunto del settore food&beverage, la terza Provincia per qualità della vita e per numero di amari e distillati Ig prodotti. È poi 18esima a livello europeo per competitività turistica regionale e può vantare 10mila ettari di vigne, di cui 9714 rivendicati per la produzione di vini Dop e Igp, una produzione di 333mila ettolitri di vino nel 2022 (per un valore complessivo di 58 milioni di euro) e 162mila tonnellate di mele della Val di Non Dop, per un valore di 65 milioni di euro”.
Tanti poi i temi affrontati nel dibattito seguito all’intervento, a partire dalla frammentazione citata nel settore (“siamo il Paese dei Comuni – ha sottolineato Brioschi – e non sempre siamo bravi a fare sistema. C’è anche un fattore di predisposizione culturale in questo”) fino alla crisi demografica (“nel 2050 avremo 8 milioni di lavoratori in meno, sarà quindi sempre più difficile trovare manodopera mentre i consumi caleranno. Due fattori di crisi sui quali forse non si sta facendo abbastanza”) e alla sostenibilità (“oggi per le aziende è un’enorme opportunità, visto che la finanza guarda alla sostenibilità ambientale con un interesse sempre crescente. La sostenibilità non è un costo: ci sono ritorni significativi e dal nostro osservatorio rileviamo come le imprese più sostenibili siano anche le più produttive”). Si è parlato in conclusione anche di uno dei temi più discussi nell’ultimo periodo: l’overtourism. “Può essere – ha detto l’esperta di The European House – Ambrosetti – una sorta di ‘happy problem’, ma se non viene gestito presenta impatti notevoli sulle comunità locali. Se pensiamo a Venezia o, rimanendo sul territorio, al lago di Garda, vediamo come i flussi turistici siano sempre più destagionalizzati, con i relativi impatti per gli abitanti. Quello che osserviamo è la necessità di lavorare molto sulla distintività del territorio, senza snaturarlo, e sull’offerta. In Trentino per esempio vanno forte gli sport all’aria aperta, e la natura è quindi il primo elemento da salvaguardare: i territori che hanno snaturato la loro essenza per attrarre numeri sul fronte turistico non hanno avuto i benefici che aspettavano. Dall’altra parte non bisogna però guardare con eccessiva negatività al turismo, visto che si tratta di una delle filiere che presenta un effetto moltiplicativo tra i più importanti”.