Crisi climatica, carne in laboratorio e lavoro, Illy a Il Dolomiti: ''Rinunciare a benessere e felicità per progredire è una ricetta fallimentare: l'adattamento è biocapacità''
L'imprenditore Andrea Illy punta sull'economia rigenerativa per una gestione efficiente delle risorse e fronteggiare le crisi della società odierna: "Ridurre i consumi non funziona, servono standard nuovi"
TRENTO. "Ridurre i consumi e compiere un passo indietro in termini di benessere non è una soluzione credibile e sarebbe un approccio fallimentare". A dirlo a il Dolomiti è Andrea Illy. "Non è una strada percorribile e non è sufficiente a fronte di una crisi di sistema che parte dal clima ma che ha un impatto sulla vita nella sua interezza. La situazione è critica, ma il ragionamento deve essere approfondito e ci sono segnali importanti verso la transizione".
Gli ultimi anni, in particolare, si sono rivelati complessi. La pandemia Covid ha solo accelerato trend avviati da decenni e ha amplificato le policrisi. Gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più eventi, gli eventi estremi, siccità e alluvioni, più intensi e più familiari.
"La crisi climatica - aggiunge il presidente di Illy Caffè e co-chair di Regenerative society foundation - ha una portata che cresce in modo esponenziale e bisogna investire nella prevenzione per mitigare e gestire questi eventi più violenti: si deve investire per mettere in sicurezza i territori". L'altra direttrice è quella sviluppare progettualità sul lungo periodo per adattarsi. "Ma non credo nell'approccio riduzionistico. Non è possibile chiedere una rinuncia di benessere, felicità, salute e longevità".
Innovazione, ricerca, coraggio e adattamento. Questa la ricetta di Illy. "La sostenibilità è cultura e oggi dobbiamo gestire tutti gli strumenti: intelligenza artificiale e digitalizzazione per ottimizzare la gestione delle risorse, efficientare la produttività e rafforzare la nostra biocapacità. Si deve essere contrari solo all'innovazione inutile".
La carne prodotta in laboratorio è centrale e divide. Può essere una soluzione? "La premessa è che alle radici dei problemi socio-ambientali odierni c'è un modello economico, superato, sulla crescita a ogni costo", evidenzia Illy. "Ormai ci avviamo agli otto miliardi di abitanti e la popolazione continuerà a crescere. Consumiamo più risorse di quelle a disposizione, non danneggiamo solo le prossime generazioni ma anche il presente. La bioetica è certamente importante ma è etico e progresso l'allevamento intensivo in cui si crescono gli animali solo per la macellazione con scarti elevati, emissioni nocive e altissimi scarti di produzione? La carne sintetica è una strada perché permette di salvare l'ecosistema, come il vertical farming".
La sostenibilità attraverso la capacità rigenerativa si basa sull'equilibrio tra la sua biocapacità (superficie e clima) e la nostra impronta ecologica. "L'economia per definizione deve andare in crescita perché è un motore. Tuttavia è evidente che abbiamo trascurato i servizi ecosistemici che producono le condizioni per la vita stessa: l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, le difese che ci proteggono, le risorse che consumiamo e la stabilità climatica. La strada di una nuova consapevolezza è quella di efficientare e di ottimizzare la produzione: energia green, mobilità a basso o nullo impatto, un agricoltura industriale che spreca meno e utilizza meno risorse".
La ricerca deve essere naturalmente quella di un equilibrio tra sostenibilità economica, sociale e ambientale. "La sfida è nuova: ogni cittadino deve avere una quantità minima procapite di riserve naturali, che sono gli ecosistemi con la più elevata produttività di servizi ecosistemici. Si devono individuare delle regole per la conservazione di riserve naturali in dimensione proporzionale alla popolazione. Non si deve parlare di crediti di carbonio, acqua o biodiversità, la conservazione naturale deve essere a 360 gradi senza barriere. Per raggiungere questo traguardo è necessario una fase di investimenti sproporzionati, un salto tecnologico che ci permetta di superare gli ostacoli attuali. Le imprese possono guidare la transizione ma anche i cittadini possono influenzare un'organizzazione, un posto di lavoro e la politica: le scelte sono prese anche singolarmente".
A generare maggiori incertezze, la trasformazione della globalizzazione. Un altro paradigma venuto a mancare con le catene saltate a causa dell'epidemia Covid. "Ci siamo abituati a questa cornice - continua Illy - ma la modifica degli equilibri era già in corso: la delocalizzazione in Cina era 'conveniente' fino a quando il Paese era in via di sviluppo, oggi è il principale competitor degli Stati Uniti e questa formula è finita. Adesso il modello è multifattoriale e gli accordi geopolitici contano nella decisione di come e dove produrre un bene: serve ancora tempo per avere una stabilizzazione".
La demografia globale ci dice che tra 40 anni avremo il doppio dei consumi di oggi. "L’impatto di alcune azioni umane è reversibile: dobbiamo agire per evitare di superare i punti di non ritorno, con un approccio sistemico. Il cambiamento climatico, la gestione delle risorse idriche, la sicurezza alimentare e la salute sono sfide che richiedono uno sguardo integrato e una cooperazione internazionale senza precedenti nonostante le tensioni geopolitiche. Ma è un errore pensare che la soluzione stia banalmente nel ridurre i nostri consumi. Dobbiamo intervenire sull’efficienza e con la massima urgenza, senza attendere la fine del ciclo di vita della tecnologia installata".
La lotta alla povertà e il contrasto all'allargamento della forbice delle disuguaglianze sono temi stringenti. Oggi ci sono più opportunità ma il costo della vita è cresciuto mentre gli stipendi sono rimasti sostanzialmente fermi negli ultimi decenni. "Il lavoro non è più il posto fisso e non è più una vocazione quasi identificativa, non c'è più un mestiere quanto un'occupazione. E' il paradigma che è diverso e questo è destabilizzante. La situazione è fluida perché non ci sono più i modelli dei decenni scorsi e serve un salto in avanti nella cultura civica e nuove regole, come per lo smart working che cambia è efficiente e cambia le dinamiche, serve però equilibrio perché il confronto in presenza e la socializzazione sono aspetti fondamentali. I luoghi di lavoro devono essere ripensati a livello infrastrutturale".
C'è carenza in tanti settori ma, complice anche Covid, i bisogni sono evoluti in modo diverso. "C'è una crisi di vocazione e c'è una difficoltà nel tramandare le conoscenze alle nuove generazioni, un ricambio che fatica perché le aspettative dei figli sono diverse rispetto a quelle dei genitori. E' vitale saper valorizzare e fare emergere i talenti, in particolare artigiani e manufatturieri: qui si prova a puntare sugli istituti tecnici ma siamo ancora in ritardo rispetto al resto d'Europa".
Resta il nodo salari. "Un tema che merita analisi e dibattiti. A mio avviso ci sono due strade: aspettare che evolva da solo nel caos perché il mercato e la società evolvono indipendentemente, una politica non governata è comunque una decisione. Altrimenti si interviene con una riforma, però serve una strategia e una visione. A ogni modo la scelta è inevitabile: questa situazione genera una democrazia instabile e l'instabilità porta cambiamenti.
Un altro rapporto complesso è quello con lo sviluppo tecnologico, osteggiato o esaltato, più che gestito e accompagnato. "I grandi cambiamenti spaventano ma, per esempio, la green economy può portare nuovi e tanti posti di lavoro. C'è margine per aumentare il potenziale e l'economia deve essere a misura d'uomo. La sfida rigenerativa passa da un modello estrattivo a quello rigenerativo per un nuovo equilibrio. Si deve puntare alla consapevolezza, alla circolarità e alla conservazione. Partiamo dalla conoscenza, per colmare le lacune esistenti, condividiamo buone pratiche per arrivare a definire assieme alle istituzioni dei nuovi standard in grado di indirizzare ricerca e investimenti. Il punto di svolta è vicino, se vogliamo che ci sia un futuro per l'essere umano", conclude Illy.