Condannato in Svizzera imprenditore trentino: sfruttava e sottopagava i dipendenti (trentini e rumeni)
Andrea Ravanelli è stato condannato al risarcimento (di più di 100mila euro) dei 5 lavoratori che lo hanno denunciato, a 6 mesi di detenzione (sospesi condizionalmente) e ad altri pagamenti. Il procuratore generale del Ticino: "Costringeva i dipendenti a dormire in 8/9 persone contemporaneamente nello stesso appartamento". L'Unia: "Pagava un terzo del dovuto i dipendenti"
BELLINZONA. Alla fine è arrivata la condanna per usura, coazione, falsità in documenti, impiego ripetuto di stranieri sprovvisti di permesso, incitazione all'entrata, alla permanenza o al soggiorno illegale e per frode fiscale. La causa era di quelle davvero pesanti per sfruttamento padronale transfrontaliero e la denuncia era arrivata direttamente da 5 lavoratori stranieri portati in cantiere come manovalanza a basso costo, fatti dormire, stipati, in abitazioni fatiscenti e fatti lavorare a un terzo del prezzo di mercato. Poi venivano mandati via dopo pochi mesi di lavoro così da non dovergli pagare contributi e indennità di malattia.
Normalmente incipit del genere vengono corredati da commenti tipo "ecco il classico straniero disonesto così ci ruba il lavoro a noi italiani, sfruttando altri come lui che lavorano a basso costo". Peccato che il "classico straniero" sia un imprenditore trentino, di Gardolo, e che "quelli che accettano di essere sfruttati" sono italiani (anche trentini) e rumeni. Già perché secondo quella logica che c'è sempre un nord, più a nord del nord, e un sud, più a sud del sud, ecco che il primo febbraio è arrivata la condanna del procuratore generale del Canton Ticino per Andrea Ravanelli proprietario della ditta Muvartes Sa attiva nel campo del gesso (membro della famiglia proprietaria del Gruppo Ravanelli di Gardolo della cui inchiesta avevamo già scritto).
E il decreto d'accusa del ministero pubblico ticinese si è tradotto nella condanna al risarcimento ai 5 operai per un totale di 107.000 franchi svizzeri (l'equivalente di 100.000 euro) già saldati dallo stesso Ravanelli, alla condanna alla pena detentiva di 6 mesi (sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 5 anni), alla multa di 5.000 franchi svizzeri (con l'avvertenza che in caso di mancato pagamento scatterà la pena detentiva di 50 giorni), al sequestro di 12 mila franchi svizzeri dal conto della Muvartes al pagamento delle tasse di giustizia e delle spese giudiziarie (7.000 franchi svizzeri).
Insomma, tanta roba. D'altronde l'imprenditore trentino è stato giudicato colpevole su tutta la linea. La vicenda è cominciata a fine ottobre 2016 quando il sindacato Unia (l'equivalente della Cgil svizzera) ha assistito 5 lavoratori dello stesso Ravanelli nel denuncia al Ministero pubblico di una serie di crimini ritenuti particolarmente odiosi in Svizzera. "In pochissime parole - spiegano i rappresentanti dell'Unia - Andrea Ravanelli produceva delle buste paga con un numero dimezzato di ore mentre i suoi operai lavoravano a tempo pieno. Con questo sistema, l’imprenditore trentino pagava la sua forza lavoro con salari italiani, ossia attorno ai 10 euro l’ora". Piccola precisazione: non cadete nella trappola di pensare che sia tanto. In Svizzera, infatti, la media è sui 22 euro l'ora (24 franchi svizzeri). Sarebbe come se qui si pagasse un dipendente intorno ai 3 euro l'ora.
"Per assicurare la viabilità del suo sistema di sfruttamento - prosegue l'Unia - Ravanelli ricorreva a un continuo ricambio di operai: due o tre mesi e poi le squadre venivano cambiate. Grazie alla disponibilità di 5 operai, i quali hanno deciso di rompere questa catena di brutale sfruttamento, è partita la denuncia. L’ottima collaborazione con il Ministero pubblico ha permesso un’azione rapida che si è tradotta con il recupero delle spettanze salariali dei cinque operai, per un totale di 107'000 chf. La denuncia al Ministero pubblico non mirava unicamente a recuperare i salari rubati. L’obiettivo andava oltre: confermare i crimini penali ipotizzati per dimostrare la profonda degenerazione che sta minando il mercato del lavoro ticinese".
E la condanna pare confermare integralmente le ipotesi di reato penale avanzate. In primis usura ripetuta. Nella sentenza si legge che l’imprenditore Andrea Ravanelli si è reso colpevole di usura ripetuta, poiché "nel periodo gennaio-settembre 2016 [ha] ripetutamente sfruttato lo stato di bisogno e l’inesperienza di diverse persone dando loro, come corrispettivo economico di una prestazione, vantaggi pecuniari in manifesta sproporzione economica con la loro prestazione. (…) sfruttando lo stato di bisogno degli stessi". Usura, infatti, per il codice penale svizzero (ex articolo 157 al paragrafo 1) si definisce: “Chiunque sfrutta lo stato di bisogno o di dipendenza, l'inesperienza o la carente capacità di discernimento di una persona per farle dare o promettere a sé o ad altri, come corrispettivo di una prestazione, vantaggi pecuniari che sono in manifesta sproporzione economica con la propria prestazione è punito con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria" (non è quindi legato a prestiti e tassi d'interesse illegali come in Italia).
E lo "stato di bisogno" in cui versavano i lavoratori (anche trentini) lo stesso procuratore generale lo lega "alla congiuntura economica italiana, alla loro necessità di provvedere alle rispettive famiglie, nonché alla loro inesperienza circa le normative salariali svizzere e ai loro diritti quali lavoratori sottoposti a contratto collettivo (dei gessatori)". Andrea Ravanelli avrebbe, quindi, pagato a questi 5 operai un totale di 33.250 franchi svizzeri netti (circa 31.000 euro), quando avrebbe dovuto pagarne 140.605 netti (poco più di 126.00 euro). "E questo per 5 lavoratori - prosegue l'Unia - ma gli operai sottoposti a usura dal Ravanelli sono stati almeno una quarantina. Secondo una stima prudenziale, per il 2016, la Muvartes SA avrebbe così realizzato attorno ai 400.000-500.000 franchi svizzeri netti sulle spalle dei lavoratori"
Poi c'è la coazione ripetuta (art. 181 codice penale svizzero: "Chiunque, usando violenza o minaccia di grave danno contro una persona, o intralciando in altro modo la libertà d’agire di lei, la costringe a fare, omettere o tollerare un atto, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria"). Andrea Ravanelli si è reso colpevole di coazione ripetuta poiché avrebbe costretto, nel luglio 2016, 3 operai a sottoscrivere dei contratti di lavoro a tempo determinato con la Muvartes SA, retrodatati al mese di maggio 2016, nei quali gli stessi erano qualificati come gessatori anziché carpentieri, "minacciandoli - si legge nella sentenza - di interrompere ogni futuro rapporto lavorativo in caso di mancata apposizione della firma, consapevole delle urgenti necessità economiche di questi ultimi". La coazione è scattata anche quando Ravanelli ha "riportato falsi conteggi ore, da lui stesso taglieggiate, con una dicitura del tipo “… confermo le ore lavorate e pagate…”, minacciandoli - si legge sempre negli atti - di non corrisponder loro gli stipendi se non avessero sottoscritto tali documenti".
Ricade sotto questo crimine anche il fatto di aver costretto almeno 2 operai "a vivere a Sementina in un appartamento di 4,5 locali in affitto alla Muvartes SA, in 8/9 persone contemporaneamente, facendoli dormire a coppie su letti matrimoniali e/o con materassi stipati sul pavimento, facendo capire loro che, in caso si fossero rifiutati, avrebbe interrotto ogni futuro rapporto lavorativo, come peraltro già avvenuto con operai precedentemente assunti". E ancora per aver costretto almeno 2 altri operai "a vivere a Massagno in un appartamento di 3,5 locali in affitto alla Muvartes SA, in 5 persone contemporaneamente, facendoli dormire a coppie su letti matrimoniali e/o con materassi stipati sul pavimento, facendo capire loro che, in caso si fossero rifiutati, avrebbe interrotto ogni futuro rapporto lavorativo".
Il Procuratore generale ha ravvisato anche la falsità in documenti (art. 251, cifra 1, CP), in quanto l’imprenditore ha, al fine di procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, formato documenti falsi o fatto attestare in un documento, contrariamente alla verità, un fatto di importanza giuridica. Nel concreto, il Ravanelli ha fatto attestare, sulle buste paga degli operai, ore lavorative inferiori a quelle realmente effettuate, buste paga che sarebbero state inserite in seguito nella contabilità della ditta quali giustificativi di pagamento dei salari, a disposizione anche di eventuali autorità, per esempio l’Istituto delle Assicurazioni Sociali del canton Ticino. Questo reato si è pure manifestato con l’aver formato o fatto formare almeno 5 contratti di lavoro falsi, "tutti riportanti un salario orario conforme al CCL gessatori sebbene quello realmente corrisposto fosse di molto inferiore, al fine di far risultare in regola la società alle Autorità del Canton Ticino, quali ad esempio l’Ufficio per la sorveglianza del mercato del lavoro, la Commissione Paritetica Cantonale Edilizia e rami Affini o la Commissione di Vigilanza LIA".
Infine, la frode fiscale. "Questa - ci spiega l'Unia - è stata realizzata dal Ravanelli sulla base delle buste paga falsificate, iscrivendo e pagando solo una parte delle ore effettivamente lavorate dai suoi operai. Queste buste paga false hanno così generato una sottrazione fiscale, in particolare in materia d’imposta alla fonte. In questo senso, per soli 5 operai, l’Ufficio delle imposte svizzero alla fonte ha perso 13.788,75 franchi svizzeri".
Insomma tutto confermato e la pena sarebbe stata attenuta (i 6 mesi di reclusione sospesi condizionalmente) perché il Ravanelli, una volta incastrato ha immediatamente risarcito i 5 operai. Ma la Unia ammonisce: "Diciamo che Andrea Ravanelli non sembra voler mollare l’osso, non ha nessuna intenzione di abbandonare il mercato ticinese. Gli sarà servita la lezione? Pur dando il beneficio del dubbio, diciamo che la nuova era della Muvartes SA non nasce sotto i migliori auspici. Infatti, il nuovo amministratore unico della società è Daniele D’Onofrio, persona attiva nel settore dell’edilizia e affini ticinese. Ebbene, il D’Onofrio ha partecipato alla gestione di 10 società, 9 delle quali cancellate o fallite. Ma se è vero che una buona parte degli imprenditori al centro delle nostre denunce proviene dall’Italia e che la crisi economica spinge verso il nostro cantone imprese particolarmente senza scrupoli, è ancora più vero che la quasi totalità dei “committenti” è formata da indigeni. Fino a quando questi potranno fomentare direttamente il dumping sociale acquistando sottocosto prestazioni erogate solo ricorrendo a forme criminose come l’usura, la coazione, ecc., il processo di degenerazione continuerà a espandersi".
Un'amara riflessione che fatta a fronte del comportamento di una delle nostre imprese artigiane non può che lasciare tanto amaro in bocca anche a noi trentini.