Contenuto sponsorizzato

"Puntiamo ai grandi festival, da Berlino al Sundance". In Val di Non un corto d'autore 'made in Trentino': ecco The Cat's Secret. "Il protagonista? Ha lavorato con Tarantino"

Ecco il progetto di Davit Ghulinyan, giovane regista trentino al suo debutto: protagonista del corto sarà Sylvester Groth, noto per diversi ruoli nel panorama cinematografico internazionale (tra i quali l'indimenticabile Joseph Goebbles di Quentin Tarantino in Bastardi Senza Gloria). Le riprese sono in programma nel corso del 2025 in Trentino, in Val di Non: "La storia - racconta Groth a il Dolomiti - è incredibile. Interpretare un ruolo del genere è il sogno di ogni attore"

Di Filippo Schwachtje - 08 febbraio 2025 - 22:45

TRENTO. Una location isolata, una baita immersa nel panorama mozzafiato della Val di Non, due protagonisti che cercano nella natura di superare un terribile lutto e un doloroso viaggio introspettivo, che coinvolgerà tanto gli attori quanto gli spettatori. È questa la ricetta che Davit Ghulinyan, giovane regista trentino, punta a portare sullo schermo nel cortometraggio "The Cat's Secret", una nuova produzione 'made in Trentino' che vedrà protagonista tra gli altri Sylvester Groth, noto per diversi ruoli di peso nel panorama cinematografico internazionale (tra i quali l’indimenticabile Joseph Goebbles di Quentin Tarantino in Bastardi Senza Gloria).

 

Nelle scorse settimane l'intera crew di produzione, per la maggior parte formata da giovani professionisti trentini, ha delineato il programma per i prossimi mesi, con le riprese previste come detto in Val di Non nel corso del 2025. Il Dolomiti ha parlato con i protagonisti del progetto per raccontare il dietro le quinte del corto e gli obiettivi della produzione, che punta alla partecipazione ai più importanti festival cinematografici a livello internazionale.

 

L’idea è nata diversi anni fa – racconta il regista – con un obiettivo ambizioso: portare sullo schermo una storia memorabile, che si imprima nella mente degli spettatori, che faccia pensare”. In altre parole: un racconto per immagini che evochi più domande di quante risposte, almeno in superficie, possa fornire. Il tutto avvolto nel silenzio delle montagne, nella penombra d’una baita speciale che racchiude dolore e ricordi, mistero e catarsi: “Di fatto protagonista è una coppia di mezz’età – continua Davit – che si trova ad affrontare il lutto per la scomparsa della figlia. L’evoluzione della storia avviene per la quasi totalità tramite una narrazione non verbale, facendo leva sulle capacità e l’espressività dei due attori protagonisti”. 

 

Entrambi, ovviamente, vivono una fase di profonda tristezza e prostrazione, ma oltre al dolore c’è qualcosa in più: un dialogare silenzioso tra passato e presente, sempre in bilico sul filo del mistero.

 

“Lavoro a questa storia da almeno cinque anni – dice ancora Davit – ma ho voluto aspettare che i tempi fossero maturi per portarla sullo schermo come l’ho immaginata fin dall’inizio”. Fin da quando, insomma, il regista trentino (nato in Armenia e arrivato in Italia giovanissimo) ha trovato nel cinema il mezzo più adatto a veicolare la propria creatività. L’intera troupe è formata da giovani professionisti: una squadra motivata e pienamente coinvolta a partire dal direttore della fotografia, Emanuele Zarlenga, un nome di spicco nel panorama cinematografico italiano

 

D’altra parte, una prima (importante) conferma delle potenzialità del progetto era già arrivata negli scorsi mesi, quando Sylvester Groth (uno che, come detto, ha lavorato con giganti del settore come Quentin Tarantino e Guy Ritchie) ha accettato il ruolo di protagonista del corto, Conrad

 

“Quando il suo agente mi ha risposto – racconta il regista – ero al settimo cielo e sono volato a Berlino per incontrarlo. Per quanto pensassi di aver fatto un buon lavoro, ricevere una conferma da un attore del suo livello è stata una grande spinta a livello morale. Senza contare che un nome come il suo aiuta non poco, per un progetto di debutto, da una parte a mettere insieme una troupe importante, e dall’altra ad ottenere finanziamenti”. Al momento The Cat’s Secret punta a partecipare a due bandi dedicati della Trentino Film Commissione e di Fondazione Caritro, ma vista la presenza di Groth nel cast si sta lavorando anche ad una co-produzione con la Film Commission di Berlino. Le riprese, come anticipato, inizieranno in primavera in Val di Non, a Coredo, e la durata finale prevista si aggira tra i 25 e i 35 minuti

 

“Non voglio affrettare né dilungare i tempi della storia – conclude Davit –: l’obiettivo è che, una volta finito, lo spettatore sia spinto a ripercorrere quanto accaduto fin dall’inizio, per cogliere di volta in volta un significato diverso, magari più profondo, di quanto ha visto”. E proprio qui sta il “segreto del gatto”, che spetterà ad ognuno svelare: “L’ambizione rimane quella di partecipare ai grandi festival internazionali, a partire proprio da Berlino fino al Sundance, negli Stati Uniti”. Un obiettivo non da poco ma le premesse, vien da dire, ci sono tutte. 

 

Il Dolomiti ha potuto poi parlare anche con Sylvester Groth, chiedendo al protagonista del corto di raccontarci il suo ruolo e la sua visione del cinema al giorno d’oggi: queste le sue parole. 

 

Nel corso della tua carriera, hai lavorato con alcuni dei registi più importanti e riconosciuti a livello internazionale, da Quentin Tarantino a Guy Ritchie. Cosa ti ha convinto a partecipare a un progetto diretto da un giovane regista emergente?

 

Per quanto mi riguarda credo che per tutti gli attori, alla fine, sia la storia, la sceneggiatura, a spingerti verso un progetto piuttosto che un altro. Questo è quanto. E la storia, in questo caso, è incredibile. Dopo aver ricevuto e letto la sceneggiatura ho poi chiesto a Davit di incontrarmi qui, a Berlino, per conoscerci, e fin da subito mi è sembrato uno splendido essere umano. A quel punto ho deciso di accettare il ruolo di Conrad. La storia è misteriosa, ci sono molte possibilità dal punto di vista attoriale e per me è un fattore molto importante: ogni sceneggiatura deve essere un viaggio, se conosci ogni cosa fin dall’inizio il rischio è che il viaggio poi sia noioso. Sono molto curioso di vedere come si svilupperanno le dinamiche sul set. 

 

Secondo te, quali sono i punti di forza della storia che porterai sullo schermo? Come ti senti riguardo al tuo personaggio e, in particolare, rispetto alla sfida di interpretare un ruolo che si basa principalmente sulla comunicazione non verbale?

 

Come detto, la sceneggiatura è stupenda. Ci sono molti elementi interessanti, a partire dalla location, da una serie di problemi e questioni che inizialmente non sono così chiari e che vengono man mano mostrati al pubblico. Poi, soprattutto, c’è il tema della comunicazione: i personaggi non usano mai le parole per comunicare l’uno con l’altra e questa non è solo una sfida, è un sogno per ogni attore. È difficile spiegare come ci si può preparare ad un ruolo del genere, certamente però riuscire a veicolare emozioni, pensieri al pubblico senza usare la parola è una cosa molto speciale: usare il proprio corpo, la propria gestualità in un rapporto con un partner sulla scena, personalmente credo che questa sia la cosa che più mi intriga in questo progetto. Mi affascina l’idea che il pubblico possa guardare le scene e ‘vedere’ quel che le persone vogliono vedere, sentire quello che vogliono sentire senza che io come attore debba ‘spiegarlo’ a parole, che possano usare la loro immaginazione per capire cosa stia succedendo. Non bisogna mai sottovalutare il pubblico: le persone vogliono ‘entrare’ nel film insieme a te, sentirsi parte di quello che vedono.

 

L'ambientazione che farà da sfondo all'intera storia è una cabina immersa tra le montagne del Trentino. Questo scenario montuoso offre, da un lato, una bellezza mozzafiato e, dall'altro, un forte senso di isolamento. Pensi che questi elementi giocheranno un ruolo importante nella narrazione? Sei contento di lavorare in un luogo del genere?

 

Diciamo che ho emozioni contrastanti in merito alla location, principalmente perché la natura, il contesto naturale, è tanto più forte, più potente della recitazione, di noi umani, di qualsiasi cosa. E come attori dobbiamo fare molta attenzione a quello che ci circonda: in un contesto del genere devi combattere per emergere, per essere ‘visto’.

 

L'intera troupe dietro al progetto è composta da giovani professionisti. Pensi che l'industria cinematografica, in particolare in Europa, sia ancora in grado di attrarre nuovi talenti emergenti?

 

Non sempre, diciamo che spesso si tratta di una combinazione di qualità e di un tocco di fortuna. Chiaramente, se il materiale iniziale non è all’altezza organizzare una produzione, convincere tutte queste persone che il tuo film sarà un buon lavoro, è complicato. Nel mondo del cinema in particolare i giovani oggi devono cogliere l’occasione: molti hanno delle buone idee, ma non si buttano, tergiversano. Alla fine arrivano magari a modificare la loro storia, la loro visione, vengono persuasi e influenzati. Davit, al contrario, ha un progetto ben chiaro e una sceneggiatura forte e come attori noi dobbiamo obbedire: è la sua storia, non la nostra. Il mio personaggio, certo, è ‘mio’ ma è lui a raccontare la storia, a dirigerla.

 

Come professionista affermato a livello internazionale, hai avuto l'opportunità di lavorare con grandi registi e produzioni importanti, continuando però anche a prendere parte a progetti emergenti. Quali sono gli aspetti che apprezzi di più di questi due mondi, così vicini ma così distinti?

 

Per me non c’è nessuna differenza: si tratta di lavoro. Come attore devi puntare sulle storie che ti attirano, che pensi siano di qualità. Sulla base di questo prendi la tua decisione all’inizio del progetto, e se la decisione si rivela sbagliata l’errore è tuo. Ma tra grandi e piccole produzioni non c’è di fatto una differenza: è il nostro lavoro, e deve essere stimolante.

 

Quali emozioni pensi che il pubblico proverà dopo aver visto il film?

 

La storia è tragica, e tutti hanno vissuto momenti tragici nella loro vita. Di fatto si tratta di una storia ‘semplice’, perché permette di seguire le emozioni dei personaggi, il grande problema che si trovano ad affrontare in un puzzle che si costruisce man mano durante la narrazione. Una narrazione che, di fatto, si evolve tra due persone che si relazione per ragionare sulla decisione che hanno preso e, più in generale, sul senso della loro vita, sul senso di tutte le cose. E questa è esattamente la reazione che mi piacerebbe vedere nel pubblico: che le grandi questioni che si pongono i protagonisti di The Cat’s Secret escano dallo schermo e arrivino fino alle persone, che si interroghino a loro volta sulla loro esistenza.

Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
In evidenza
Cronaca
09 febbraio - 21:19
Avrebbe potuto avere conseguenze tragiche l'incidente verificatosi attorno alle 19.30 di oggi - domenica 9 febbraio - in val di Ledro. La [...]
Cronaca
09 febbraio - 20:39
Il sindaco di Baselga di Pinè, Alessandro Santuari, ha condiviso due video, tra cui le immagini di DiscoverySaimon, per spiegare cosa sono le [...]
Esteri
09 febbraio - 19:59
La svolta a destra della Cdu, il ruolo di Afd (che ha ricevuto l'endorsement di Musk) e una grande coalizione probabile (ma molto complicata): [...]
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato