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"Sara ora va lasciata andare", quattro anni di dolore e ricerca della verità. Parla Emanuela Pedri: "Ora speriamo solo di trovare qualche suo oggetto che possa tornare a noi"

"Oggi è cambiato solo il modo di sentirla e vederla che per noi ha portato a un lavoro e a uno sforzo immenso. In questi giorni non vogliamo ricordare la Sara scomparsa e morta. Vogliamo ricordare la Sara nuova, la Sara ritornata in qualche modo da noi e che ha fatto più rumore di prima. La vedo più colorata di prima, più nitida di prima”

Di Giuseppe Fin - 05 marzo 2025 - 19:03

TRENTO. “La speranza è che dove non arriva l'essere umano possa arrivare la natura. Non siamo più nell'attesa di un corpo fisico, ma abbiamo imparato a lasciarla andare. Sara va lasciata andare. È giusto per noi ed è giusto per lei”. Usa queste parole Emanuela Pedri, sorella di Sara, la giovane ginecologa scomparsa a Cles il 4 marzo 2021. Da quel giorno di lei non si sa più nulla. C'è l'ipotesi di un gesto drammatico, che sembra ormai essere diventata una certezza, e la ricerca di un corpo che prosegue.

 

Oggi Sara è vero che non c'è più” spiega Emanuela. “Ci manca tutta la sua parte fisica, ma siamo riusciti a riavere quella sua essenza che io continuo a vedere. L'essenza sta proprio nei suoi pregi e nei suoi difetti. Lei in vita era estremamente rumorosa, aveva una risata importante, una presenza fisica che riempiva una stanza. Una persona che non si concedeva tempo nemmeno di respirare e questo non l'ha lasciato nemmeno a me in questi quattro anni. Non ho avuto tempo di riposare, non nel senso cattivo della parola. Sono riuscita a sentirmi utile per lei, per gli altri e per me stessa, e questo in qualche modo ha reso questo tremendo dolore, a un certo punto, meno grave”.

 

Un dolore che va avanti da quattro anni, ma che piano piano ha trasformato la sua famiglia e la sua essenza è diventata presenza. “La sua essenza è tanto grande quanto prima, non è cambiato nulla” ci dice Emanuela Pedri, che con una voce in certi momenti tremante ricorda la sorella Sara.

 

Oggi è cambiato solo il modo di sentirla e vederla – ci spiega – che per noi ha portato a un lavoro e a uno sforzo immenso. In questi giorni non vogliamo ricordare la Sara scomparsa e morta. Vogliamo ricordare la Sara nuova, la Sara ritornata in qualche modo da noi e che ha fatto più rumore di prima. La vedo più colorata di prima, più nitida di prima”.

 

A fine gennaio è arrivata la sentenza che segna la conclusione, con l'assoluzione piena, del lungo processo a carico dell'ex primario del reparto di ginecologia dell'ospedale 'Santa Chiara' di Trento, Saverio Tateo, e della sua vice, Liliana Mereu. Una vicenda iniziata proprio con la scomparsa di Sara Pedri. Entrambi erano accusati di maltrattamenti al personale medico. La vicenda si era aperta a seguito dell'improvvisa scomparsa della ginecologa originaria di Forlì, Sara Pedri, e aveva visto anche le testimonianze di diverse colleghe.

 

Questa sentenza è stata una doccia fredda” ci dice Emanuela Pedri. “In un attimo la sensazione è stata quella di tornare indietro. Tutto quello che avevamo fatto in questi anni è sembrato vanificato, lasciando l'amaro in bocca”.

 

L'ennesimo schiaffo, l'ennesimo non essere creduti. “Mi sono messa nei panni delle tante persone che hanno denunciato. Quanto è difficile il non essere creduti. Ma noi, in fondo, in questi anni ci siamo affidati alla legge per la ricerca della verità, ma è una legge terrena e, in quanto tale, è imperfetta. Lo è nella mancanza di una codificazione delle situazioni di mobbing, e ora è al sistema che io voglio rivolgermi per fare in modo che questo reato specifico possa essere confermato”.

 

Un impegno che oggi Emanuela Pedri porta avanti anche grazie a “Nostos", l'associazione nazionale anti-mobbing. “Il nostro obiettivo oggi è quello di fornire gli strumenti a chi non sta bene nel proprio ambiente di lavoro per tornare a casa, per ritrovare se stesso”. E Sara? “Oggi quello che speriamo è che possa trovarsi qualche suo oggetto, una sua scarpa, che essendo di gomma non si sia degradata nell'acqua ma che in qualche modo possa ritornare a noi”

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