Nucleare in Italia? Il governo accelera, Tabarelli: “Si deve provare, ma ci vorrà un nuovo referendum. Dopo il via libera almeno 10 anni per la prima centrale”
In un'intervista al Sole 24 Ore il ministro Pichetto Fratin ha confermato d'aver firmato lo schema del disegno di legge delega sul nucleare, ma quali sono le prospettive nel settore per il nostro Paese? Il Dolomiti lo ha chiesto a Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia
TRENTO. Tra la transizione energetica e la crisi climatica, tra la geopolitica degli idrocarburi e la necessità di rendersi indipendenti sul fronte dell'approvvigionamento energetico: in un mondo che punta convintamente verso l'elettrificazione dei consumi, le sfide legate all'energia sono, anche in Italia, sempre di più una priorità. E mentre nel 2024, come riportano i dati di Terna, oltre il 41% del totale del consumo energetico nel nostro Paese è stato garantito da fonti rinnovabili, dal governo è arrivata un'accelerazione su un altro settore considerato strategico per quanto riguarda il bilancio energetico nazionale: il nucleare. Dopo gli annunci che si sono susseguiti negli ultimi mesi infatti, il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha firmato lo schema del disegno di legge delega che mira a creare "un contesto normativo stabile e favorevole agli investimenti per riabilitare l'uso del nucleare in Italia". A riportare i dettagli è il Sole 24 Ore, al quale lo stesso ministro ha assicurato che “testo unico e programma nazionale” saranno pronti “entro il 2027”. In ogni caso, è bene ricordarlo, l'orizzonte temporale di riferimento sarebbe molto lungo, come spiega a il Dolomiti il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, nel fare il punto sulle prospettive del nucleare nel nostro Paese.
“Anche nel più ottimistico dei casi – dice – dal momento in cui arrivasse il via libera ci vorrebbero almeno 10 anni per l'entrata in funzione della prima centrale. In ogni caso però, l'Italia ci deve provare: il nucleare è necessario se vogliamo avere una fonte di energia pulita e controllabile nell'ottica della transizione energetica”. E a parole, soprattutto di fronte agli effetti della crisi climatica, in molti sono d'accordo: diverso è il discorso quando si cercano di concretizzare progettualità relative a nuove centrali. “Negli anni '60 il nucleare fu scelto, anche in Italia, perché era una soluzione pulita, a basso costo e in grado di renderci più indipendenti dalle importazioni di energia dall'estero – continua Tabarelli –. Poi il settore si è, per così dire, arenato. Nei Paesi democratici è infatti difficile trovare oggi un consenso sulla costruzione di nuovi impianti: pensiamo che l'ultima centrale americana è stata ordinata nel 1973. Da allora i disastri di Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima hanno ostacolato lo sviluppo di questa tecnologia”. Di fronte però alla mutata situazione geopolitica da una parte e all'attenzione (seppur calante, Qui Articolo) sul tema ambientale dall'altra, anche le prospettive sul nucleare stanno cambiando.
In Svizzera per esempio il governo federale ha presentato una proposta per annullare il divieto di costruzione di nuove centrali in vigore dal 2018 (Qui Articolo), negli Stati Uniti, sottolinea Tabarelli, si sta discutendo dell'entrata in funzione di nuovi reattori per soddisfare il fabbisogno energetico dei data center legati all'Ia: “In Francia un nuovo, costosissimo, reattore è recentemente entrato in funzione, un altro è in fase di realizzazione nel Regno Unito, un altro è stato completato in Finlandia mentre Polonia e Repubblica Ceca hanno a loro volta deciso di puntare sul nucleare, come i coreani (con tecnologia americana)”. Uscendo dal perimetro democratico poi, il nucleare continua ad andare forte sia in Russia che in Cina: “In molti insomma investono nel settore – spiega il presidente di Nomisma Energia – ma non è certo una passeggiata”. E i problemi maggiori, in Italia, sarebbero proprio di natura politica. Nel nostro Paese infatti il 'no' al nucleare è legato a due referendum (nell'87 e nel 2011, subito dopo i disastri, rispettivamente, di Chernobyl e Fukushima) e, nonostante le parole di Pichetto Fratin (che nell'intervista al Sole 24 Ore ha sottolineato “il percorso che stiamo portando avanti non è assolutamente in contrasto con i precedenti referendum” visto che il “nucleare sostenibile di oggi” non è “tecnologicamente comparabile con quello al quale il Paese aveva rinunciato”), per Tabarelli una nuova consultazione sarà difficilmente evitabile.
“La questione più delicata è proprio quella legata al referendum – dice –. Le opposizioni, nel momento in cui si decidesse effettivamente di provare a dare il via a un programma nucleare italiano, non si farebbero sfuggire l'occasione: si tratta di un tema sul quale è facile raccogliere il consenso. In altre parole un referendum sarebbe necessario. Per questo, ribadisco, immagine di puntare sul nucleare in Italia non è una passeggiata”. Nonostante tutto però, per Tabarelli bisogna provare: “Non solo perché l'Italia è una patria della fisica anche a livello nucleare – continua l'esperto – ma anche perché abbiamo tutto un sistema di imprese che lavorano intorno all'industria nucleare, partendo da Ansaldo nucleare che rappresenta un'eccellenza nel mondo della generazione elettrica, con una filiera legata a componentistica molto sofisticata e con grande contenuto tecnologico”. Proprio a livello tecnologico, al momento si immagina la messa in funzione di reattori di nuova generazione (nel Pniec, il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, si fa riferimento a Small modular reactor e Advanced modular reactor), sistemi modulari con un dimensionamento inferiore alle centrali attive, per esempio, in Francia, realizzati in serie e collocati vicino ai centri di consumo. “Per l'Italia – aggiunge Tabarelli – potrebbe essere stimolante anche avviare una filiera industriale relativa a queste centrali, non solo per la produzione ma anche per l'utilizzo sul territorio nazionale”.
Anche in prospettiva futura poi, conclude il presidente di Nomisma Energia, le forniture di uranio attualmente non destano preoccupazioni: “Attualmente non sembra un problema, ci sono riserve in Asia Centrale, in Africa, e le quantità presenti sono maggiori rispetto alle fonti fossili. All'interno del Pniec, che abbiamo approvato e inviato alle autorità europee, si fa riferimento a un 15% di produzione elettrica dal nucleare nel nostro Paese entro il 2040 (in Francia, per esempio, la percentuale è poco al di sotto del 70%): se consideriamo che, nell'intero sistema energetico del Paese, l'elettricità pesa per un 25% possiamo intuire che non si tratterebbe comunque di un intervento risolutivo, ma sarebbe un primo passo. La parola d'ordine oggi è 'diversificare' e il buon senso suggerisce di cominciare”.