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Lavoro, popolazione tra 50-64 anni al 23%, giovani tra 15-29 al 15%: sistema al collasso? L'esperta: “Può essere occasione per ridurre disoccupazione giovanile e femminile”

In Italia sono molti di più i cittadini che fra qualche anno andranno in pensione rispetto ai giovani in grado di prendere il loro posto. La crisi demografica però, dice a il Dolomiti la professoressa di Demografia all'Università di Trento Agnese Vitali, potrebbe in qualche modo rappresentare un'opportunità: "Se ci sarà la volontà politica in futuro si potrà investire per spingere all'interno del mondo del lavoro chi oggi ne è (per buona parte) al di fuori, principalmente quindi i giovani e le donne"

Di Filippo Schwachtje - 02 giugno 2022 - 06:01

TRENTO. Attualmente la fetta di popolazione italiana che si avvicina nei prossimi anni alla pensione (prendendo in considerazione la fascia tra i 50 e i 64 anni) è il 23% del totale, mentre la coorte che dovrebbe avvicinarsi al mondo del lavoro, e quindi sostituire chi invece quel mondo lo lascerà (dai 15 ai 29 anni), si ferma al 14,9%: osservando questi dati in ottica futura il sistema italiano, già oggi in difficoltà per la cronica assenza di lavoratori, pare essere destinato a collassare sotto al peso della crisi demografica che da anni ormai ha investito il Paese, con una differenza sostanziale tra il numero di cittadini che nel breve periodo andranno in pensione e quello di giovani in grado di prendere il loro posto.

Ma questa condizione, dice a il Dolomiti la professoressa di Demografia all'Università di Trento Agnese Vitali, va letta anche alla luce dei dati sulla disoccupazione giovanile (al 21,4% nel quarto trimestre del 2021 tra la coorte 15-29 anni) e del tasso di giovani Neet (tra i 18 e i 29 anni in Italia il 27,7% degli italiani non lavora e non studia, si tratta dei numeri più alti in Europa), e potrebbe invece rappresentare in qualche modo “un'opportunità” per avvicinare giovani e donne al mondo del lavoro. “Le problematiche a livello demografico – spiega la professoressa di UniTn – sono sicuramente importanti, ma per spiegare le difficoltà nel trovare lavoratori più che guardare al calo delle nascite bisogna analizzare il mondo del lavoro e le condizioni contrattuali messe sul tavolo”.

 

Se infatti, dice Vitali: “Il problema fosse legato in qualche modo alla 'mancanza' di giovani, non avremmo in Italia un tasso altissimo di disoccupazione giovanile e uno bassissimo (tra i più bassi in Europa) di occupazione femminile, nonché la percentuale più alta di Neet in Europa. Non tutti gli appartenenti alla generazione dei baby boomers, per esempio, sono ora in pensione, ma nel mercato del lavoro già oggi siamo comunque di fronte ad una mancanza di addetti”. In sostanza, dice l'esperta, quando nei prossimi anni coprire le posizioni disponibili nel mercato sarà sempre più difficile, l'attenzione dovrà indirizzarsi verso chi oggi è in buona parte disoccupato o al di fuori dalla forza lavoro. “Se ci sarà la volontà politica – sottolinea Vitali – in futuro si potrà quindi investire per spingere all'interno del mondo del lavoro chi oggi ne è (per buona parte) al di fuori, principalmente quindi i giovani e le donne. Se solo si riuscisse per esempio ad aumentare sensibilmente la quota di donne nel mercato, già avremmo guadagnato molta forza lavoro".

 

Proprio la crisi demografica dunque, spiega la professoressa, potrebbe rappresentare in qualche modo un'occasione, anche se all'interno del mondo lavorativo il progressivo invecchiamento della popolazione porterà notevoli cambiamenti: “In generale la popolazione in età lavorativa diminuirà sempre di più rispetto alla popolazione in età dipendente, quindi bambini ed anziani, e per garantire la spesa pubblica (tra pensioni e sanità) il livello di tassazione dovrà alzarsi. Con il progressivo e inevitabile invecchiamento della popolazione, si richiederanno sempre più addetti per l'assistenza agli anziani. Si tratta di posizioni lavorative con un carico di lavoro fisico e psicologico piuttosto alto, che spesso gli italiani, giovani e meno giovani, non scelgono come prima opzione”. E soprattutto in questo ambito (come già peraltro accade oggi) l'apporto di lavoratori stranieri sarà quindi sempre più importante: "L'arrivo di cittadini stranieri - conclude infatti Vitali - potrebbe contribuire a coprire il nostro fabbisogno, soprattutto per quanto riguarda posizioni non qualificate"

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