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Crisi alimentare in Afghanistan, il Paese in mano ai talebani sull'orlo della carestia: "Nemmeno loro erano preparati ad una presa del potere così veloce"

Il regista e attore afgano Raziu Mohebi, a Trento dal 2007, racconta a il Dolomiti la terribile situazione nel suo Paese d'origine, dove quest'inverno: "Mancheranno grano, farina, olio ed altri prodotti alimentari". A causa del conflitto e della prolungata siccità quasi il 50% della popolazione afgana è in situazione di grande insicurezza alimentare

Di Francesca Cristoforetti - 11 novembre 2021 - 19:25

TRENTO. “La preoccupazione per l’inverno in Afghanistan è molto seria: è un fallimento della democrazia, dell’umanità, dei diritti umani”. Questo è il commento del regista e attore afgano Razi Mohebi, rifugiato politico che vive dal 2007 a Trento, riguardo all’attuale crisi alimentare che sta spingendo il suo paese d’origine sull’orlo della carestia. “Non si tratta solo di mangiare e di bere – prosegue - stiamo parlando anche di una mancanza di medicinali, e l’arrivo dell’inverno porterà con sé un aumento delle malattie, come l’influenza”.


Sono infatti 18,8 milioni, il 47% della popolazione, gli afgani in condizioni di grande insicurezza alimentare registrati tra settembre e ottobre scorso, a causa della prolungata siccità, del conflitto e del collasso economico. Sono peggiori però le previsioni per questo inverno, nel periodo tra novembre 2021 e marzo 2022: potrebbero arrivare soffrire la fame 22,8 milioni di persone, il 55% della popolazione, approssimativamente il 35% in più rispetto alla stessa stagione dello scorso anno. Sono questi i dati della dalla World Food Programme (Wfp) che riportano il report della Ipc (Integrated Food Security Phase Classification) pubblicato a fine ottobre (Qui i dati). Secondo questo studio è probabile che l'accesso al cibo da parte delle famiglie tra la fine dell'inverno e la stagione primaverile successiva verrà compromesso ulteriormente a causa di diversi fattori, tra cui il persistere del fenomeno climatico della Niña, che porta precipitazioni invernali al di sotto della media per il secondo anno consecutivo, l'impatto dei prezzi elevati dei prodotti alimentari, la crescente disoccupazione e l’assenza degli aiuti internazionali.

 

La situazione quindi è bloccata: “Grano, farina e olio sono solo alcuni dei prodotti alimentari che mancheranno quest’inverno – sostiene Mohebi – l’Afghanistan è un paese che ancora sotto il punto di vista alimentare non produce abbastanza rispetto a ciò di cui ha bisogno, soprattutto manca il grano che non viene più prodotto all’interno del paese ma che arrivava dall’esterno”. Ai confini però tutto è fermo: “Tanti prodotti provenienti dall’Afghanistan, – prosegue - che dovevano essere esportati e negoziati, sono andati a male, non potendo spostare le merci che sono rimaste ai confini per mesi, per il blocco dei trasporti. Non c’è possibilità di scambio con l’esterno”.

 

Con la presa di potere dei talebani il 15 agosto scorso la scena è cambiata in un attimo, forse troppo rapidamente: “Kabul è cambiata completamente e troppo bruscamente – racconta il regista – è come la scena di un film che cambia di colpo. E’ stata una cosa inaspettata, nessuno era preparato, nemmeno i talebani pensavano di prendere il potere così velocemente. Non erano pronti per governare perché loro sono innanzitutto combattenti, non governanti o politici”.

 

La sharia e i provvedimenti estremi imposti dal nuovo regime renderanno ancora più difficile la crescita economica di un paese che già prima del reinsediamento dei talebani, si trovava in una situazione complicata: “Tutto il mercato è cambiato con l’imposizione delle nuove leggi, da agosto è tutto più difficile. Non è solo un problema di materia prima, spesso non ci sono nemmeno i soldi per comprare i prodotti. A volte si hanno soldi ma non ci sono gli alimentari, a volte ci sono gli alimentari ma non ci sono i soldi”.

 

La mancanza di materie prime è quindi strettamente legata anche alla crisi economica, “non essendoci lavoro soprattutto nella città. Quelli poi che hanno lavorato con organizzazioni internazionali e con l’Occidente non percepiscono più lo stipendio da tre mesi”.

 

L’unica speranza per alcune famiglie è avere qualcuno al di fuori dell’Afghanistan “magari in Europa o in America, che riesca a mandare dei soldi per chi è rimasto”. Ma per chi non ha nessuno oltre i confini il problema rimane grave.

 

“Dal 2001, con l’insediamento delle prime truppe statunitensi – continua a raccontare Mohebi – è cambiata la vita in Afghanistan sotto molti aspetti: comunicazioni, crescita e tecnologia sono aumentate, così come circolazione della moneta. Aprendo poi i confini per importare e esportare, sono iniziati a cambiare i bisogni degli abitanti. Da vent’anni tanti terreni sono stati abbandonati e non sono più stati coltivati”.

 

Il popolo afgano si è ritrovato dall’oggi al domani in un mondo completamente diverso, “come se si fosse tornati a duecento anni prima, così, bruscamente. È stata una rivoluzione sotto ogni punto di vista, per questo è pericoloso”.

 

Qual è la più grande preoccupazione degli abitanti ora? “La prima preoccupazione per gli afgani ora è sopravvivere – risponde il regista – pensiamo al significato della parola stessa: per sopravvivere esiste un'unica legge, il poter rimanere vivo e la gente fa di tutto per riuscirci, ma alcuni ce la fanno, altri no”.

 

Emigrare è la forma più comune per fuggire dal pericolo: “La gente fugge, e se non riescono cercheranno altri modi – conclude – io ho paura non solo per il mio paese ma per l’umanità intera, ho paura che cambi l’intera scena globale”.

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