Sette anni senza Susanna (morta tornando dalla Gmg di Cracovia) e di battaglie contro vescovi e cattolici che hanno tradito la sua memoria
Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)
Sette anni senza Susanna. Questo primo di agosto, nel 2016, l’ultimo respiro di Susanna. Anima salva, come le anime, gli spiriti irriducibili al branco, che piacevano a De André, che cantava in direzione ostinata e contraria per gli ultimi e i dimenticati. Sette anni. Si fa presto a scriverli. Sette anni come la durata in carica di un presidente della Repubblica, come i sette anni in Tibet di Harrer, come il regno di David a Hebron prima di salire a Gerusalemme. Un periodo dal numero biblico: sette anni di carestia, per dire un tempo lungo. Ma si fa presto a dirlo: sette lunghi anni.
Un’eternità feroce invece è viverli, questi sette anni, questi 2.555 giorni, quando ti capita l’atroce ingiustizia di essere il papà di Susanna, l’unica ragazza che non tornò a casa tra il milione di giovani partecipanti alla Gmg (la Giornata mondiale della gioventù) con papa Francesco, a Cracovia. Non tornò a Roma. Il suo viaggio, con sua sorella minore Margherita e i suoi amici della parrocchia di San Policarpo, si fermò a Vienna, dove la ricoverarono ormai in stato di incoscienza e dove il batterio della meningite, spietato, finì di ucciderla. Dove la rividero, morta e muta, i suoi genitori Leila, professoressa universitaria di fisica, ed Enrico, giornalista di Radio Radicale, voce calda e ben nota agli ascoltatori della rassegna stampa di mezzanotte, tra cui non mancava mai Piergiorgio Cattani.
La tragedia più crudele che può vivere un padre o una madre. L’ingiustizia più assurda, che milioni di genitori nella storia hanno provato, da sempre. Ma in quel 2016, da quella festosa, colorata Gmg, solo lei non tornò. Un’eccezione senza un perché. Ora che ragazze e ragazzi come Susanna, da tutto il mondo, convergono verso il Portogallo, il vescovo Tisi ha deciso di regalare ai trecento giovani trentini in partenza per la Gmg 2023 (e lui con loro) un libro sulla strage di Cutro, affinché tengano gli occhi aperti, il pensiero vigile e il cuore compassionevole nei confronti dei migranti. Giustissimo. Nello zaino dei ragazzi, ci starebbe bene anche “L’alleluja di Susanna”, scritto da Enrico Rufi, con il sottotitolo “L’eredità di lei che non tornò dalla Gmg di Cracovia”. Perché è un magnifico “Gracias a la vida” (il “film” di diciotto anni insieme, e spesso in giro per il mondo, dei Rufi) nonostante la crudeltà della vita.
A proposito di Gmg, sulla rivista dell’Università Cattolica “Vita e Pensiero” Teresa Bartolomei ci ricorda che – davanti a una processione di donne portoghesi sotto la luna piena di una sera del settembre 1935, in un paesino del nord del Portogallo, Póvoa de Varzim – una grande anima (e testa pensante) del Novecento come Simone Weil, lei ebrea francese, intellettuale alla ricerca della verità, viene colta, “all’improvviso dalla certezza che il cristianesimo” è la religione degli ultimi, che gli ultimi “non possono non aderirvi e lei con loro”.
Seguendo il teologo lusitano Bento Domingues, Bartolomei – teologa lei stessa all’Università di Lisbona – parte da Simone Weil per assicurarci che in Portogallo, e nel santuario mariano di Fatima che ne è il cuore cattolico, esiste ancora il cristianesimo come “religione del cuore”: “è ancora una dinamica collettiva e individuale di adesione affettuosa, spontanea, straordinariamente empatica, all’esperienza religiosa, che fa volentieri a meno delle astrazioni teologiche, delle ricognizioni dottrinali e delle inquietudini razionaliste per abbandonarsi con semplicità al carinho, parola intraducibile in italiano che designa un sentimento di tenerezza, amorevole dolcezza, che abbraccia il destinatario in una vicinanza calorosa e gioiosa, fatta di presenza più che di parole”.
Ecco, il carinho che ha abbracciato la famiglia Rufi nell’immediatezza della perdita sconvolgente di Susanna, l’empatia che è continuata con l’affettuosa prefazione dell’allora presidente dei vescovi italiani cardinal Gualtiero Bassetti allo straordinario libro scritto da suo padre Enrico nel 2018 (il Dolomiti 21 ottobre 2019 https://www.ildolomiti.it/societa/2019/susanna-e-morta-a-diciottanni-per-una-meningite-fulminante-il-padre-enrico-rufi-evito-di-domandarmi-perche-proprio-a-lei-tra-un-milione), ha lasciato via via spazio, in questi lunghi sette anni, a un crescendo di incomprensioni, silenzi, censure, addirittura insinuazioni velenose, falsità e rimozioni che hanno costretto la famiglia a chiedere e ottenere un percorso di riconciliazione dentro la loro parrocchia romana, con tanto di supervisione da parte del cardinale Angelo De Donatis, vicario del vescovo di Roma, che come è noto è proprio quel papa Francesco le cui parole avevano tanto entusiasmato Susanna, sorridente pellegrina romana verso Cracovia con centinaia di migliaia di suoi coetanei.
Il processo di riconciliazione, mal gestito e mal compreso, è fallito, ha vinto il partito curiale dell’anti-carinho, e il padre-autore, Enrico Rufi, si è visto costretto a un volantinaggio alle messe domenicali per diffondere il parziale mea culpa del vicario di papa Francesco (il Dolomiti del 7 marzo 2022 https://www.ildolomiti.it/blog/paolo-ghezzi/il-clericale-il-radicale-e-il-cardinale-il-vicario-del-papa-fa-pubblica-ammissione-di-colpa-sullalleluja-di-susanna-rufi-un-caso-di-cattiva-coscienza-cattolica) e poi a compilare un corposo dossier sulla vicenda, convinto che si sia trattato – al di là del dolore su dolore inflitto alla famiglia – di una vicenda che rivela la malattia spirituale e morale di un certo cattolicesimo, seppur bergoglian-progressista, che non ha il coraggio della verità, del mea et nostra culpa. Neppure di fronte alla storia di una ragazza che il cardinal Bassetti ha indicato come “exemplum” per tutti i credenti.
Ma gli esempi possono diventare imbarazzanti se vanno a turbare il quieto vivere o l’armonia di facciata nelle comunità: così il libro sulla ragazza che non tornò da Cracovia non è stato mai presentato nella sua parrocchia romana. Sparito anche – dopo le osservazioni del papà giornalista – il progetto di libro che in un’altra parrocchia progressista, a Chioggia, pensarono di dedicare a Susanna, con il fondamentale impulso di Piergiorgio Cattani (recente amico di Rufi) nei mesi precedenti la sua dipartita (8 novembre 2020). Ma non si può ridurre Cattani, Creatura Futura, a un volonteroso bergogliano, così come Susanna è ben di più di una “papa-girl”. “Susy portava già dentro di sé un mondo” scrive il cardinal Bassetti, definendo il libro di Enrico Rufi “un moderno, forse a tratti inconsapevole inno alla fede e di fede”. Ma la fede in Gesù Cristo è un’adesione intima e radicale, mentre la religione e l’organizzazione ecclesiastica sono altre dimensioni, impastate di politica, di compromessi, di ipocrisie. Perciò le memorie, quelle vere, sono ruvide e scomode: così su Cattani così come su Rufi anche molti bergogliani hanno fatto calare un silenzio addolorato sì, ma pure un po’ omertoso.
Susanna aveva già visto la deriva di certo stile ecclesialese, la rigidità e l’inadeguatezza di certi catechisti, mentre con gli animatori come lei il rapporto con i bambini poteva essere più diretto, più educativo. “Prima l’amore e poi la morale. Prima l’amore e poi la religione”, sintetizza Enrico Rufi nel libro, evocando il suo Camus. Essendo un pannelliano e camusiano di lungo corso (classe 1957), Rufi è allenato all’indagine serrata, all’approfondimento puntiglioso e alla chiamata in causa delle responsabilità. Con nomi e cognomi. Perciò ha individuato nell’ex ausiliare di papa Francesco, Gianpiero Palmieri (Taranto, 1966), dal 29 ottobre 2021 vescovo di Ascoli Piceno e dal 23 maggio di quest’anno vicepresidente per l'Italia centrale della Conferenza Episcopale Italiana, il responsabile “apicale” del tradimento della memoria di Susanna da parte della Chiesa cattolica che è in Roma. Il vertice di una sorta di triangolo delle Bermude cattolico in cui è affogata, dal 2018 del libro sino ad oggi, l’umana e cristiana solidarietà per la famiglia di Susanna.
Simile al Kohlhaas inesorabile nel chiedere giustizia (per i suoi cavalli morelli e per la sua amatissima moglie), Rufi non incendia la Sassonia come il personaggio di Kleist ma metaforicamente infiamma le caselle di posta dei prelati di Santa Romana Chiesa. Implacabile nella ricerca di una verità condivisa, non si è ancora arreso davanti ai silenzi e alle facili parole di compassione delle autorità ecclesiastiche, e così spedisce il suo dossier di 86 pagine “to whom it may concern”, ai vescovi che sono titolati a leggerlo, studiarlo, a rispondere a un papà-giornalista in cerca di una risposta non evasiva alle sue denunce, alle sue domande.
Così, il “dossier Susanna” Rufi l’ha spedito recentemente via mail a tutti i vescovi dell’Italia centrale, incluso il presidente della Cei cardinale Zuppi, dopo che proprio Palmieri, obiettivo numero uno della sua irrituale, indignata iniziativa, è stato eletto vicepresidente della Conferenza episcopale italiana per quell’area geografica: il voto è segreto ma pare che in seconda posizione sia arrivato proprio il trentino Ivan Maffeis, attuale vescovo di Perugia, che peraltro – a differenza di Palmieri, di famiglia maceratese - non ha sgomitato per farsi eleggere. Il dossier è accompagnato da una lettera che suona così.
“Caro don…, sono il papà di Susanna, la ragazza della parrocchia romana di San Policarpo che non fece ritorno dalla GMG di Cracovia del 2016, stroncata da una meningite fulminante. I documenti che Le mando in allegato raccontano la via crucis che noi famiglia ci siamo trovati a percorrere da quasi sette anni a questa parte, vittime di una di quelle malattie dello spirito e di quelle dinamiche perverse che colpiscono le comunità parrocchiali e dalle quali non si stanca di metterci in guardia papa Francesco.
Come scoprirà leggendo, protagonista di questa deriva che ha aggiunto dolore al dolore, portando al tradimento dell’identità umana e spirituale di mia figlia Susanna, è stato purtroppo l’allora nostro vescovo ausiliare di settore per Roma Est, don Gianpiero Palmieri, di recente eletto vicepresidente della CEI dai vescovi dell’Italia centrale. In questi due anni l’arcivescovo Palmieri non ha mai manifestato nei confronti della famiglia di Susanna il minimo segno di pentimento, ravvedimento, vergogna… neanche dispiacere. Probabilmente sa, l'arcivescovo Palmieri, che quelle pagine, qui allegate, forse non sono estranee alla decisione di papa Francesco di allontanarlo da Roma, lui vicegerente del cardinal vicario. L'allontanamento di don Gianpiero arrivò meno di due mesi dopo la consegna di questa documentazione al cardinal vicario De Donatis. Allora riservata, oggi non più.
Come vedrà, questo è uno scandalo eminentemente pastorale. Niente pedofilia, niente sesso, niente soldi. Giusto un po’ di carrierismo. Però, e forse a maggior ragione visto che non si può invocare alcuna attenuante legata alle debolezze e alle miserie umane, questa è una vicenda particolarmente grave, sia umanamente che ecclesialmente, non crede? Fiducioso che Lei saprà vedere in queste righe e in queste pagine lo scandalo nello scandalo, confido in una Sua reazione, inviandoLe intanto i miei più cordiali saluti.
Con tanta amarezza e tanto sconcerto,
Enrico Rufi, papà di Susanna”.
Una pagina è particolarmente dolorosa, nel calvario della famiglia Rufi e nella ricostruzione scritta nel dossier. L’invenzione, da parte del vescovo Palmieri, di una Susanna abortista (forse perché il suo papà è un pannelliano storico?).
“…il Vescovo ha calato il suo asso nella manica: Susanna «era una [una!] che su certe questioni etiche (aborto ed eutanasia) aveva le sue posizioni non in linea con il magistero di Francesco». Ma dove avrà mai trovato scritto il Vescovo che Susanna era favorevole all’aborto e all’eutanasia? Chi mai gli avrà detto una simile corbelleria, oltre che falsità? Il Vescovo cita con la solita disinvoltura la fonte: me l’ha detto Margherita, anzi l’ha detto a noi tutti nel corso della riunione con il gruppo dei giovani. Margherita stava contestando ai vecchi amici di Susanna e suoi, e loro lo hanno ammesso, di proporre ai più giovani una figura idealizzata e piatta di sua sorella, più finta che vera. Una specie di santarella. Nessun accenno ai suoi dubbi, alle sue idee, al suo forte senso della giustizia, alle sue critiche alla parrocchia e alla Chiesa documentate nel suo Alleluja (e tanto preziose agli occhi di papa Francesco…), e men che meno alle dinamiche scatenatesi dopo il 2016 ‘‘per colpa sua’’.
Nessun accenno, tanto per fare un esempio, alla proposta da lei avanzata (e respinta) all’interno del gruppo di discutere una volta al mese delle cose che diceva papa Francesco e che tanta eco avevano nell’opinione pubblica oltre che nel mondo cattolico. Per scuoterli ricordò anche che Susanna era contraria ad abrogare la legge sull’aborto, precisando, a scanso di equivoci: «Favorevole alla legge, no all’aborto, come ben sapete». Nessun accenno invece all’eutanasia, su cui Susanna non aveva avuto il tempo di maturare un’idea precisa.
Secondo il vescovo Palmieri, quindi, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana ha salutato come esemplare la testimonianza di una ragazza favorevole all’aborto, oltre che all’eutanasia! Anche sulla parola «santarella» è intervenuta la manipolazione del Vescovo, che la ritocca in «santarellina»: effettivamente «santarellina» funziona meglio trattandosi di una ragazza eticamente disinvolta, no? E magari pure moralmente”. Fin qui Rufi. Che, pur ferito a morte dalla vita, non demorde. Qualche risposta, mi dice Enrico, dai vescovi arriva. Certo, risponde un’esigua minoranza perché con quel “molestatore radicale” è meglio non avere a che fare. E anche le rade risposte di rado, dice Rufi, mostrano qualcosa di più di una “cristianissima” partecipazione alla sofferenza. Nessun giudizio, nessuna critica, nessuno scandalo. Eppure oportet ut scandala eveniant. È buono e giusto che esplodano gli scandali. E se scandalo c’è stato, andrebbe ammesso, sanato da una vera richiesta di perdono. Come in tutti i cammini di riconciliazione. Laici o religiosi che siano.
Per fortuna “L’alleluja di Susanna” è un libro pieno di vita, più forte dei silenzi e dei tristi boicottaggi monsignorili. Leggetelo, se non l’avete già fatto. Regalatelo ai vostri figli ventenni. È pieno di vita e di canzoni, di vita vissuta. E di memorie vive. Anche del Trentino, dove Rufi ha parenti, affetti e ricordi. “Il profumo dei ciclamini del lago di Cei nel bosco di faggi… Te lo ricordi ancora, Susy?” “Ti ricordi, Susy, quanto ti piaceva ascoltare Ti ricordi ancora di Fabio Concato? “E ti ricordo ancora, dimmi che non è cambiato niente da allora”. Ti ricordi ancora, Susy?”. Certo, l’esergo dell’ultimo capitolo (“Memini”, che vuol dire “io ricordo”, nome della casa editrice italo-francese e bifamiliare messa su da Enrico Rufi, raffinato francofono e francologo, con Claudio Galderisi) è straziante: “Mon Dieu, qu’elle est difficile/ Cette cantate sans toi”. “Mio Dio, com’è difficile questa cantata senza di te”. Cantatina commossa e commovente. Cantava la bella voce di Barbara, raffinata cantante francese. Una carezza, un carinho, per la ragazza che stava imparando a suonare l’Alleluja di Cohen.
Sette anni dopo quel primo agosto 2016, ci pare di sentirla, la sua voce, come un carinho per chi le ha voluto bene, in quell’alleluja: in quel “segreto accordo”, di David re citarista, “gradito al Signore”. Sì, sopra le ipocrisie sacre e i silenzi curiali, i virus ecclesiali, l’alleluja di Susanna vola più alto. Risuona più forte.