I sogni così forti che ti fanno sanguinare. Una vigilia particolare con Bubola, uomo di songs e scrittura, a Predazzo
Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)
Segnata dal Massimo Bubola che suona e scrive, serata di suoni e di sogni e di scritture, alla vigilia del gran sogno dei Magi (sapienti di scrittura), il 5 gennaio a Predazzo. Proposta da Federica Giannuzzi, direttrice della Biblioteca comunale (che presto avrà una nuova sede saggia e scintillante) e dalla giunta municipale di Predazzo schierata in forze nel bel cinema teatro restaurato nel 2016: ci sono la sindaca Maria Bosin, l’assessore al turismo Giuseppe Facchini, l’assessore alla cultura Giovanni Aderenti, il quale, “umile operaio nella vigna del Signore” per dirla con Ratzinger, non considera disdicevole accompagnare in sala gli spettatori diversamente abili manovrando il telecomando del servoscala.
È decisamente controcorrente perché a Natale, e maggior ragione intorno all’Epifania, nelle proposte “spettacolari” tengono banco la mielosità dei canti di Natale, spesso mal rifatti, la coglionaggine dei film di Natale con la comicità di Natale, le parodie befanesche e gli intrattenimenti a buon mercato.
Certo, non hanno osato, a Predazzo, metterci un ingresso a pagamento (sarebbe stato appropriato) ma hanno comunque osato mettere in cartellone un concerto-reading con un cantautore-autore non di massa ma di culto, il veronese (della bassa quasi polesana) Massimo Bubola, ben noto per aver dato un essenziale contributo, giovane assai, a due album imprescindibili di Nostro Signore il Cantautore per eccellenza, Fabrizio De André (Rimini e l’Indiano).
Il pubblico ha risposto con passione, riempiendo il teatro. In un’ora e mezza di parole dette, più che di canzoni cantate (meno di una decina: un asterisco di eccellenza per la versione “rallentata” di “Volta la carta”) Bubola ha poi rischiato a sua volta l’impopolarità sia con un allestimento musicale ridotto al minimo (qualche frammento di voce femminile, Lucia Miller, e Alessandro Formenti al basso elettrico, lui stesso con la sua chitarra acustica Martin M28) ma soprattutto scegliendo un linguaggio non corrivo, non popolare, non ammiccante ma colto. Per cui, come il Callimaco, poeta ellenistico che ha convocato come protagonista dell’ultimo libro “Sognai talmente forte”, ha condotto una passeggiata letteraria, tra l’altro sussurrando non poco le parole in uno dei due microfoni (“stazione uno” per la poesia, “stazione due” per la canzone), a cui si alternava, il che ha costretto tutti alla massima attenzione per non perdere le parole.
Del Bubola scrittore così ha detto Claudio Zonta sulla “Civiltà Cattolica” del 5 novembre 2022: “Ha fatto rivivere in musica le figure di poeti, come «Dino Campana» o «Dostoevskij», con quell’incipit straordinario «Avrei voluto diventare Dostoevskij per curvare le parole». Infine, ha composto stupende canzoni capaci di descrivere paesaggi geografici e allo stesso tempo esistenziali, come «Il cielo d’Irlanda», interpretato spesso da Fiorella Mannoia, o ha riletto storie bibliche, come nei brani «Marabel» e «Tutto è legato»”.
E a Federico Oselini su “ilT” del 5 gennaio così ha spiegato l’importanza della poesia: “La poesia, come scrivo nel libro, è l’unica koinè, cioè lingua comune, che abbiamo: una lingua compresa e condivisa dall’intera umanità». E intergenerazionale, in un’epoca in cui le generazioni non si parlano e non si comprendono e ogni 5 anni sembrano cambiare i riferimenti culturali e musicali “generazionali”.
Con accenti donmilaniani (il priore di Barbiana era un nemico giurato del concetto stesso di “divertimento”, come lusso dei ricchi e oppio dei poveri), il Massimo veneto ha contestato l’idea di “ingannare il tempo” dicendo che il tempo va preso sul serio e mai sprecato. E poi, con una goccia di accettabile moralismo, ha attaccato causticamente la degenerazione del concetto di “amici” in certi storditi, finti e infiniti programmi tv di successo, nonché nel social più diffuso tra le vecchie generazioni non digital-native.
“Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso”. Uno dei versi più belli della canzone “totemica” di Bubola-De André è emerso da un ricordo d’infanzia del Bubolino: “Quando andavo a dormire nella casa di mio nonno, mi faceva stare nel lettone con lui e a volte mi capitava di svegliarmi per un’epistassi notturna, che mi capitava. Allora, mentre mi ripuliva il sangue, mi rassicurava raccomandandomi di non sognare così forte”.
E invece, dice oggi il Bubola senior, saggio come un poeta filosofo, non solo si può sognare ma si deve: si deve sognare forte, sognare tutta la vita, cercare strade e inseguire mète (come la nostra verde Irlanda, isola di cantori, musicisti e poeti, oltre che di prati, pecore e pub… di preti ormai non più).
Il sangue dal naso evoca il sangue innocente di un massacro. Uno dei tanti della storia. Uno dei più feroci. La ballata “Fiume Sand Creek” commemora una strage di nativi indiani (soprattutto donne e bambini) ad opera delle giubbe blu dell’esercito degli Stati Uniti d’America, comandate da un giovane generale “figlio di un temporale”.
Qui la riflessione buboliana si è fatta teologico-esistenziale, quando si è domandato che fine facciano tutte le invocazioni a Dio degli innocenti massacrati nella storia. “Dio lo si chiama sempre, non arriva mai”. La domanda sul dolore innocente, antica come l’umanità, e rilanciata definitivamente da Dostoevskij, è in effetti cruciale per ogni discorso sulla storia (Bubola si è commosso rievocando i soldati ragazzi inghiottiti a milioni dalla grande guerra) che non voglia essere mero intrattenimento, passatempo o tempo ingannato.
Tre giorni dopo la serata di Predazzo, la Chiesa ha celebrato, sabato 7 gennaio, la memoria dei santi innocenti, cioè dei bambini uccisi da Erode infuriato per non aver trovato – per il rifiuto dei Magi ad essere suoi complici – la culla del presunto salvatore del mondo. È in effetti mistero sconvolgente che la venuta al mondo di quello che i cristiani chiamano Redentore coincida con una orribile strage di bambini (e di donne madri) ovviamente senza colpa.
Il testo di Matteo 2, 13-18, proposto in chiesa, si conclude così: “Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi.
Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più”. Il commento della comunità di Bose, tra le più attente in Italia a leggere e interpretare i testi sacri, stavolta mi è parso un esempio di insufficienza della esegesi cattolica, e perfino di “omertà”.
L'omertà riguarda la citazione finale del profeta Geremia: il fratello commentatore di Bose non prende minimamente in considerazione lo scandaloso dolore di Rachele, che non vuole essere consolata, constata il turbamento suscitato dalla nascita del Redentore ma evita di interrogarsi su come sia mostruoso, diabolico che l'ingresso nella storia di Gesù possa avere provocato indirettamente questa bufera di violenza e di morti innocenti, viceversa fa del moralismo papal-episcopale (“tutti noi siamo un po' Putin...”, il che dà una bell’attenuante al dittatore stragista): "Se non ne saremo capaci (di prenderci cura delle fragilità) il prezzo sarà altissimo: consciamente o inconsciamente finiremo per agire come Erode".
La conclusione suona così: i martiri innocenti dovrebbero indurci a testimoniare un po' (almeno un po') di più la nostra fede!!! Dunque lo scandalo del dolore innocente si risolve con un appello a vivere con più coerenza la fede cristiana... Nessuna consolazione per le madri (e i padri) degli innocenti, neppure un'ammissione sconsolata di impotenza... I conti devono tornare con un consiglio pratico per i fedeli; sul dolore di Rachele è meglio far cadere un silenzio tombale. I bambini dormono sul fondo del Sand Creek. Senza risposta (e passi) ma perfino senza l’eterna domanda, scandalosa e radicale, rilanciata da Bubola: com’è possibile che Dio lo permetta, o comunque che non ascolti?
E vedete dunque come a Predazzo abbiano fatto benissimo a chiamare, alla vigilia dell’Epifania, un cantautore-scrittore che, prendendo sul serio la parola (una delle cose più serie della vita, che maneggiamo tutti i giorni con fin troppa disinvoltura) ci ha ricordato che la parola apre mondi vasti e domande scomode. Non solo sotto il cielo d’Irlanda, blu e verde e infinito, ma anche sotto il cielo di Fiemme, nero sulla neve bianca delle montagne.
Continuiamo a sporcarci le mani, dalla parte degli indifesi, nella storia. Ma continuiamo anche a sognare. Forte.