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Due sorelle a braccetto. Anche oltre la morte. La nuova sfida di Chiara Benedetti e Aida Talliente per AriaTeatro di Pergine

DAL BLOG
Di Paolo Ghezzi - 15 dicembre 2022

Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)

Forte come la morte è l’amore”, certifica l’antica saggezza biblica del Cantico dei cantici, riecheggiato nei millenni successivi, fino e oltre l’amoroso Maupassant di fine OttocentoFort comme la mort. L’amore tra due esseri umani, non necessariamente due amanti, due corpi congiunti. L’amore tra le anime, i volti, gli sguardi, i respiri vicini, che può legare due sorelle come Lia ed Enza, due donne udinesi che fino alla fine dei loro giorni camminavano per le strade della città friulana sempre a braccetto, sempre vestite in abiti eleganti d’altri tempi. Alla fine ne rimase una sola, e dopo un po’ anche lei, forse incapace di sopravvivere alla fine di una relazione simbiotica, se ne andò da questa terra.

 

Dalla loro storia sono partite due valenti attrici-autrici, Aida Talliente e Chiara Benedetti, per inventare il duetto di bravura e verità, che mercoledì sera ha debuttato in prima nazionale al teatro di Pergine, produzione “ariaTeatro”. E che scenderà per quattro repliche, meritate, a Roma.

 

Sul palcoscenico fiocamente illuminato, all’inizio, a luci ancora accese in platea, le due donne sulle sedie accostate, schienale contro schienale, appaiono come due manichini inanimati. Oggetti. Non soggetti. Poi, quando comincia il racconto, un manichino (Aida) si alza e comincia a camminare legnosamente nella casa immaginaria di due anziane sorelle che si sono fatte compagnia per una vita. Incede sghemba, asimmetrica, a mezza via tra sua nonna e Charlot. Poi si muove anche l’altra sorella, Chiara, forse meno sgherla ma più stramba, fa solletico ai pesci rossi con vocina di bimba.

 

E bambine grandi, ragazze ritornano, le due sorelle, quando smesse vestaglie e cuffie della vecchiaia, nella penombra del palco e senza mai uscire di scena, riprendono ritmo e vita grazie a due vestiti a fiori, due cappelli, due paia di scarpe rosse col tacco e due slip rossi come le scarpe. Così ancheggiano, passeggiano, circumnavigano il palco-casa, come quando camminavano a braccetto nella loro città, a guardare e farsi guardare, allegre e spavalde.

 

Poi, certo, quando si ferma il rumore di pioggia e tace Radio Nostàlghia che con accento slavo propone Buscaglione e i Platters, insomma il paradiso, Aida muore per un attacco cardiaco, muore gesticolando e protendendo mani mute, senza riuscire ad avvertire Chiara dormiente, che così resta sola e insalutata. “Sentiamo – dicono le due autrici – che nello spazio del teatro è necessario attivare un pensiero sulla relazione, sulla vita e sulla morte, perché mai come in quest’arte così tridimensionale (la più tridimensionale di tutte) si possono trovare modi straordinari per codificare e comprendere gli elementi che compongono l’esistenza e che danno un senso alla nostra presenza nel mondo”.

 

Anche l’uso della “clownerie”, in “Dopo la pioggia”, diventa così in una cornice terribilmente seria, esistenziale, esigente. Un gran lampo pasoliniano – “ed è tremendo, e dolce: che non c’è  mai disperazione senza un po’ di speranza” – illumina il finale e appare sullo sfondo del palcoscenico, a suggellare 50 minuti mai parlati (semmai mugolati, masticati, mimati) dalle attrici in scena, movimenti senza parole, accompagnati solo dalla radio e dalle canzoni. Oltre che dalla pioggia, che lava dilava e alluviona le nostre vite.

 

Sempre misurate e plausibili, anche quando si muovono come marionette slogate, Benedetti e Talliente si guardano e ci guardano: semoventi, incespicanti, ambivalenti e convergenti, claudicanti e saltellanti, giovani e vecchie e sempiterne, le due sorelle ci accompagnano a ritroso e in avanti, dalla giovinezza alla stazione finale, che forse finale non è. Perché forte come la morte è l’amore. E perché c’è un filo di speranza, perfino nel fiume della pioggia che allaga il nostro lutto.

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